La strada è illuminata da lampade con luce fioca e
rossastra, l’asfalto è lucido dalla pioggia, ma la sera è tiepida, non fa
freddo. Sono ad un incrocio che conosco bene, ho due posti dove posso andare
a dormire, due stanze mi aspettano. Scelgo, vado a sinistra. La strada è
nota, palazzi con la facciata in finta pietra, negozi chiusi e bui, cancelli tra
un palazzo e l’altro. La strada è vuota, ci sono solo io, anche se l’ora non è
tarda e siamo nel centro della città.
Ecco il portone; mi è noto, in questa casa vi ho abitato per quasi 10
anni, ma quanti anni sono passati da allora. Ma cosa ha la serratura? La mia
chiave non trova la toppa. Mi accorgo che la toppa non c’è più! Al suo posto
una scatola nera in cui la mia chiave non trova la possibilità di
funzionare. Ma quanto sono sciocco, c’è una chiave dentro la nuova toppa, non
è di quelle vecchie, ma di tipo nuovo, di acciaio con la cifratura sul fusto
piatto. Giro la chiave ed il portone si apre, la luce fioca illumina
l’androne del palazzo: è ancora quello di una volta, con i gradini subito dopo
l’entrata che portano all’atrio vero e proprio da dove partono le scale verso i
piani superiori. Conosco quelle scale e mi avventuro sicuro sui gradini di pietra. Ecco
sono sul pianerottolo ed esco sul ballatoio, è una casa di ringhiera, non ho mai
abitato in una casa di ringhiera, ma non mi meraviglio, sono tranquillo, sono a
casa mia. Ecco la porta, una porta di legno spesso, con la maestà lavorata e
ben dipinta con vernice marrone scuro. Provo ad aprire, ma la serratura
resiste. In fondo al ballatoio, a poca distanza c’e la veranda illuminata
della padrona di casa, vado là. All’ingresso, ridosso alle vetrate, ci sono
enormi ficus verde smeraldo, il soggiorno è arredato con mobili vecchi, del
periodo della seconda guerra mondiale: legno impiallacciato con forme
tondeggianti. La vedo sdraiata su divano sul fondo con una coperta color
cammello sul corpo, ha i capelli disordinati anche se raccolti e mi fissa con i
suoi occhietti furbi che ti dicono che lei sa come fare.
- Signora - la interpello tranquillo- non riesco ad
entrare nella mia stanza - Si, c’è mia figlia che ci dorme, è arrivata da
poco da un lungo viaggio e ho pensato che lei non viene mai
qui...
Non mi agito e la decisione è presa. - Signora, anche
se da anni non vengo qui, le pago tutti i mesi l’affitto perché la stanza sia a
mia disposizione; se ora non è disponibile non mi serve più e la può tenere.
Senza darle neanche il tempo di rispondere, ritorno sui
miei passi. Altre stanze mi aspettano in cui potrò trovare un riposo tranquillo
e sicuro, ma nel scendere le scale mi accorgo che lo spazio a mia disposizione
si è ridotto, ogni giorno è sempre più piccolo.
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