“Ebbi anche da tenere in considerazione che il fascismo non era più un partito politico tra gli altri, ma era lo stesso governo italiano. Non era il partito ma lo stato. Negli ultimi anni vivendo a Parigi e negli Stati Uniti, lessi una buona parte della storia e della letteratura italiane e giunsi alla conclusione che il genio italiano non ebbe mai una forte inclinazione verso le istituzioni democratiche. Le forme di governo, che mostrano l'originalità e corrispondono al carattere del popolo italiano, sono il Comune o un'oligarchia, e la Signoria o il governo di un uomo forte. Successivamente l'Italia ebbe principi autocratici o dominazioni straniere. Quando Optò per le istituzioni democratiche, con il Risorgimento, queste furono cattive imitazioni del formalismo inglese e della demagogia francese con il risultato che l'Italia passò attraverso tre dittature, camuffate da governi democratici.” Così si esprimeva Giuseppe Prezzolini, fondatore de “La Voce”, in un memoriale scritto su richiesta dell’ FBI nel 1943 per rappresentare i suoi rapporti di fuoriuscito italiano in USA col regime fascista che era allora alla resa dei conti (Il fascismo ed io - Giuseppe Prezzolini - Un memoriale).
Le parole di Prezzolini mi paiono di una chiarezza esemplare e credo si debbano condividere senza tanti tentennamenti, senza se e senza ma.
Si ricorderà che pure Aldo Moro, in epoca repubblicana, teorizzò e scrisse che la democrazia italiana era “una democrazia speciale” a causa della mancanza di alternanza nella gestione del potere, determinata, si, dalle pressioni e dalle imposizioni della guerra fredda che fece seguito alla guerra vera quella in cui il fascismo precipitò l’Italia, ma anche da quella innata tendenza del popolo italiano ad essere comandato più che governato.
Allora la Democrazia Cristiana era “costretta” a governare e il Partito Comunista confinato all’opposizione. A ciò stava provando a porre rimedio, insieme a pochi altri, Aldo Moro, quando fu rapito il giorno stesso in cui, dopo molti sforzi, stava portando a termine il suo progetto politico più importante: coinvolgere il PCI nella gestione del potere.
Il rapimento fermò quel processo di allargamento democratico e determinò, prima il proseguimento, poi il declino del partito armato, quello delle Brigate Rosse, che aveva nutrito l’illusione di poter, attraverso l’uso delle armi, determinare una nuova era di giustizia sociale per le classi subalterne. Ma le classi subalterne non la pensavano come loro, di li a poco avrebbero premiato il partito di Bettino Craxi, che tanto si era battuto per una trattativa fra lo Stato e le B.R. che portasse al richiesto “scambio di prigionieri” che fu invece negato, fino al tragico esito finale, dalla Democrazia Cristiana e dal Partito Comunista, stretti in un’anomala alleanza in difesa dello Stato.
Ai giorni nostri, nel recentissimo passato ci siamo sollazzati con le vicende della destra berlusconiana al governo Prodi.
Quelle azioni di massimo disturbo e di totale mancanza di collaborazione fra governo ed opposizione sono state all’origine del ritorno al governo del personaggio politico italiano che, in epoca repubblicana, più si è avvicinato al populismo mussoliniano .
Pare proprio che la democrazia sia una bella parola con cui noi italiani andiamo poco d'accordo; molto più ci piacerebbe o forse ci piace avere "un uomo solo al comando" ... almeno piacerebbe alla maggioranza di noi.
Curioso pare, infine, il fatto che ci riteniamo nel novero di quei Paesi Occidentali che hanno voluto esportare la democrazia, ma per fare questo non abbiamo disdegnato l’uso delle armi, anzi lo abbiamo propugnato.
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