Negli ultimi anni rileviamo un interesse crescente per le fiabe e approfittiamo di avere tra i nostri collaboratori un’esperta, Rosa Tiziana Bruno, per chiarirci le idee sul mondo delle fiabe.
Perchè la fiaba?
Trovo che la fiaba sia paragonabile ad un filo, sottile ma fortissimo, in grado di tenere unito il mondo. Infatti il racconto fiabesco è un genere narrativo universale. La tradizione popolare di ciascun popolo o gruppo etnico ne è ricca. Le fiabe si tramandano da una generazione all’altra adattandosi ai cambiamenti di tempo e di spazio, perfino a quelli climatici.
Attraverso di esse cogliamo le differenze tra i modi di vivere dei vari Paesi; possiamo entrare per un momento nella vita quotidiana di un villaggio, di una terra e di un popolo. Al tempo stesso scopriamo analogie e somiglianze tra contesti sociali e luoghi tra loro distanti. Il bene e il male, le tappe della vita, l’eroe, gli spiriti malvagi sono motivi presenti nella narrazione di qualsiasi Paese. La fiaba ha dunque il potere di congiungere trasversalmente popoli e culture e, nello stesso tempo, di raccontarne le specificità.
Per questo le fiabe uniscono il mondo.
Esse racchiudono una rete di significati attraverso i quali l’uomo interpreta e spiega l’universo, le sue leggi e il vivere sociale. Pur nella estrema varietà di lingue, situazioni e ambienti, l’immaginario collettivo riconduce sempre alle scoperte essenziali sulla condizione umana: la vita e la morte, l’amicizia e l’amore, la paura e i desideri.
Le fiabe piacciono ai bambini, ma attirano sempre più spesso anche gli adulti. Allora sono, oppure no, “Letteratura per l’infanzia”?
Un’idea molto diffusa sulla fiaba è che essa appartenga alla “Letteratura per l’infanzia”. Non c’è nulla di più sbagliato. Quando uno scrittore scrive fiabe non è ai piccoli che si rivolge, non solo a loro, perlomeno.
La fiaba, contrariamente a quello che i più credono, non è un testo semplice né “da bambini“, poiché richiede la comprensione di diversi livello di significato (la storia, le qualità caratteriali dei personaggi…). Del resto basta pensare alle origini del racconto fiabesco per capire come non sia mai stato destinato prettamente all’infanzia.
La fiaba non è altro che il materiale grezzo delle leggende popolari incastonato in trame narrative articolate. A partire dall’Alto Medioevo, le leggende popolari vennero trasmesse ai figli dei nobili attraverso il racconto dei contadini a servizio nelle loro case. Tali leggende erano ovviamente racconti per un pubblico adulto, che il popolo imbastiva per se stesso. Descrivevano la vita della povera gente, le sue credenze, le sue paure, il suo modo di immaginarsi i re e i potenti. Poi, sul finire del 1600, i nobili cominciarono a manipolare quei testi con la loro fantasia e ben presto a pubblicarli come veri e propri libri. Fu allora che la fiaba popolare arrivò nelle accademie e divenne letteratura. Divenne narrativa.
Quale è il “compito” di uno scrittore di fiabe?
Scrivere una fiaba è creatività allo stato puro. E’ dare vita ad un racconto godibile e complesso. E’ attenzione alla sfumature, alla varietà nelle descrizioni, ai toni sentimentali.
La cultura televisiva e internettiana che invade il nostro mondo lo riduce ad automatismi emotivi dannosi. Spesso non abbiamo nemmeno la possibilità di prendere consapevolezza di noi stessi. Il compito di uno scrittore di fiabe è quello di restituirci il tempo delle emozioni lente.
Personalmente, quando creo una fiaba, cerco di trasmettere un nuovo modo di vedere la quotidianità della vita. Scrivere per me significa parlare di noi, di come siamo e di come potremmo essere in quanto singoli individui ma anche in quanto società. Significa immaginare altri modi, altre possibilità, alternative audaci. Nei miei racconti parlo essenzialmente della lotta contro le difficoltà della vita, contro i soprusi, fornendo un messaggio importantissimo: soltanto chi non scappa impaurito, ma affronta le difficoltà, può superare gli ostacoli. Una fiaba è decisamente un racconto fuori dagli schemi.
Ma se è così, la fiaba diventa un antidoto alla massificazione delle società. Si può supporre che il rilancio dell’interesse per la fiaba degli adulti si leghi proprio al fatto che i format degli spettacoli televisivi ci stancano, creano tensioni e non ci permettono di “sentire” il mondo reale che ci circonda?
Probabilmente è così. E la velocità che tanto inseguiamo alla fine ci stanca e ci opprime.. Per i piccoli, poi, il racconto fiabesco è essenziale. Uno studio dell'università tedesca Ulm ha stabilito che i bambini che leggono fiabe sviluppano più creatività e la capacità di usare meglio il cervello: secondo quel rapporto, hanno più speranze di riuscire nelle università. La fiaba è un’ottima palestra per allenare cervello ed emozioni, ed è molto utile per comprendere meglio se stessi. Non credo che la Televisione potrà mai arrivare a tanto. Di sicuro adesso, lungi dall’essere una palestra, il televisore è un “addormentatore” di anime.
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Il televisore è stato il simbolo della seconda metà del '900, ha contribuito alla massificazione e stimolato il consumismo. La "fiaba" può essere veicolo di contrapposizione a tutto questo? E come?
Il consumismo si regge sulla velocità. La velocità con cui ci appropriamo di quello che ci serve ci impedisce di riflettere e ci rende vulnerabili e insicuri. E più siamo insicuri e più desideriamo appropriarci di qualcosa, nell’illusione che gli oggetti fuori di noi possano darci la sicurezza che ci manca.
Oggi le persone non accettano i limiti, perché ogni limite può essere superato comperando.
Cambiare rotta non è facile. Bisognerebbe rimettere in discussione tutto il nostro modo di vivere, soprattutto quello del Nord del mondo. Ma le fiabe ci vengono incontro e anzi sono un veicolo di cambiamento importante. Nelle fiabe i protagonisti ad un certo punto si scontrano con dei limiti e in quel momento succede loro qualcosa. Accedono a risorse che non pensavano di possedere, fanno un passaggio emotivo importantissimo. La fiaba ci mostra esattamente come si fa a passare dalla stabilità alla rottura di un equilibrio e poi alla ricostruzione di un equilibrio diverso. Ci mostra che superare le frustrazioni è possibile cambiando e migliorando noi stessi.
La televisione ci bombarda di immagini già pronte, create da altri per noi.
Riesce a paralizzare il pensiero e ci rende incapaci di concepire un mondo diverso.
E’ in grado di colonizzare il nostro immaginario.
Non ho nulla contro le immagini, ma c’è una bella differenza tra le immagini che vediamo con gli occhi e quelle che invece si formano nella mente perché qualcuno ci racconta delle cose. L’immagine può essere anche un racconto, può essere trasmessa dalle parole che ci aiutano a costruirla nella nostra mente. E’ enorme la differenza tra certi tipi di immagini di cui ci nutre la televisione e l’immaginario che invece possiamo nutrire con la fiaba.
Nella pubblicità i problemi sono già risolti. Nella fiaba invece il problema si presenta. E poi si presenta il cammino verso la soluzione. Un cammino che non è solo fisico ma è anche interiore. La soluzione non arriva mai dall’esterno, ma da un cambiamento di atteggiamento del protagonista. La fiaba ci racconta che esistono i momenti di smarrimento, che esiste la paura, il dolore, il pianto
La fiaba ci insegna che se ci mettiamo davanti alla vita con una prospettiva di scoperta e di esplorazione, tocca fare anche delle scelte. E che spesso non sappiamo come scegliere.
Scelgo, la via più corta o quella più lunga?
Vado nella casina già illuminata o verso la foresta buia continuando il viaggio?
Se cappuccetto rosso tornasse a casa non avrebbe imparato niente. Invece la fiaba ci mostra il meccanismo del cambiamento: mentre succedono tutte quelle cose complicate, la persona si è trasformata e riesce a trasformare il mondo. E’ diventata qualcos’altro. Perché creare qualcos’altro di migliore è possibile. Partendo da se stessi.
Le fiabe ci insegnano la speranza, non è poco. Assolutamente.
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