Il paesaggio oltre la portafinestra è soffice. La primavera è passata per la
Valle Seriana, ha seminato, è partita promettendo che sarebbe tornata e ha
lasciato Clusone al soffio di un inverno che tenace si aggrappa alla cima degli
alberi.
L’automobile parte, l’Hotel Garden custodisce il piccolo
bagaglio che ci siamo portati. Gianni guida per il breve tratto che ci separa
dalla città, e le uniche cose che ci pesano addosso sono le macchine
fotografiche. Tre, per due persone. Temiamo possa sfuggirci qualcosa?
Clusone è una piccolissima città di montagna, casette ammassate nel centro
storico dominate dalla Basilica addossata alla roccia della montagna. Clusone famosa per l’orologio astronomico, per la danza macabra
e per il trionfo della morte, temi artistici medievali germinati da
centellinate spore in tutta Europa – e in tutta l’Europa proprio qui si trovano
entrambe.
Parcheggiamo, le macchine fotografiche vengono estratte e
comincia la passeggiata. L’occhio con cui guardiamo le strette vie, i vicoli
arrampicati sul pendio, le case da cui sbocciano con nonchalance affreschi
d’epoca, è l’occhio dell’obiettivo. Inquadro un porticato, vi cerco la
prospettiva ideale, focalizzo sul particolare a cui chiedo di spiegarmi l’anima
di questo luogo – e scatto. Ogni scatto è un’interrogazione, un occhio
spalancato e un domandare senza pudore a Clusone di dispiegarsi e farsi
comprendere.
Stradine strette che risalgono le balze
della montagna, il clivio su cui è costruita la città, e forse da cui trae il
nome che in origine era clisone. Quasi da duemila anni controlla i
traffici delle vallate, a fianco della via che delimita la piana dovevano
esserci le case di chi lavorava la terre e degli artigiani, poi sulla seconda
balza le case dei ricchi signori ed in fine sull’ultima balza il centro di
comando con il palazzo del podestà, in fine su tutto la chiesa che dall’alto
domina la città. Di traverso al corso della balza, come negli abitati degli
antichi porti, calli strette e ripide risalgono e collegano velocemente
vari livelli.
Mentre si sale si notano le differenze di ricchezza delle
abitazioni. Appaiono portoni nobili molto belli e lo sono sempre più mentre
si sale. Infine
ecco la piazza, non molto larga, ma lungo tutto il “palazzo del podestà” con porticati e le facciate ricoperte di affreschi che danno la
precisa testimonianza della lunga storia di questo luogo, luogo che è stato fortemente legato alla Repubblica di Venezia e ne vediamo le tracce evidenti. Luoghi che hanno un sapore particolare. Intanto fotografo, toppe sono le cose che mi attirano e che danno il segno dell’importanza che ha avuto questa città nella storia.
(Che strano, con Serena questa volta non ci impalliamo a vicenda nelle foto.)
Percorsa la piazza prendiamo a destra la strada che sale verso il Duomo, lì c’è la mostra che siamo venuti a vedere.
“Eccoci.” dice Gianni, e io
vedo una scalinata snodarsi ripida nell’imponente muro bianco che stiamo
costeggiando. Salgo, ma prima di salire mi apposto accucciata per cercare la
giusta angolazione da cui ritrarre l’imponenza che per un attimo ho percepito.
Salendo – macchina fotografica in mano tenuta stretta, come se dovesse passare
da un momento all’altro un particolare da cogliere al volo – vedo le statue, e
poi le colonne, e poi la Basilica di Santa Maria Assunta.
Pausa, e
trattengo il respiro – perché, chiunque l’abbia edificata, ha rispettato
appieno il volere del barocco: stupire, e io senza fiato corro da un angolo
all’altro cercando di ritrarla per come la vedo, bianco edificio dal cui
colonnato, voltandosi, si riesce ad abbracciare con l’occhio l’intera
Clusone. Di fianco, silente, multicolore su una parete, la famosa danza
macabra osserva me osservatrice.
Dai
sbrighiamoci, che la mostra ci aspetta... deve essere là in fondo
l’entrata.”
Mi dirigo verso un cancello aperto; oltre il cancello c’è un
porta illuminata sul fondo della piazzetta, non mi guardo intorno e vado deciso
in quella direzione, ma quando arrivo vicino mi accorgo che quella non
può essere l’entrata della mostra. Infatti, sono i “servizi”, belli, nuovi e
puliti, ma non sono una mostra di pittura. Mi giro e vedo Serena che, superato
lo shock della visione della danza macabra sta passando anche lei il cancello e
vedo in un angolo una enorme sedia con due vasi rossi appoggiati sul sedile. Mi
dico: “ecco l’ingresso.”
L’entrata al locale della mostra è un
fascio di luce che viene dall’alto – la vetrata posta sul soffitto, che rende
questo spazio ancor più ampio e radioso: pareti bianche e pulite, una scala che
si snoda fino al primo piano e io che osservo il cielo inclinando il collo
mentre la curatrice della mostra, Franca Pezzoli, ci dà con estrema gentilezza
le informazioni necessarie.
Gli affreschi sacri mi osservano con i loro occhi vecchi
secoli mentre io assottiglio i miei, mi chino sulle tele ripercorrendo i solchi
che disegnano le svettanti architetture solitarie, cercando il senso dei
soggetti che, in primo piano, sembrano ritagli di giornali trovati in un
cassetto e apparsi solo per un attimo nel paesaggio. È quell’attimo che
l’artista ha ritratto.
Iniziamo a vistare la mostra,
è interessante vedere queste tele grandi, enormi, ma semplici nella struttura
pittorica che occupano gli spazi vuoti,lineari e essenziali dell’oratorio dei
disciplini.
I “ricordi” frammenti nella
pittura, si sovrappongono ai ricordi dell’architettura, degli affreschi che
affiorano, delle pietre che decorano. Antico e moderno non litigano, ma si
integrano.
Ho sentito un'interessante spiegazione fatta dall’Assessore
alla Cultura di Clusone di quanto c’è nella cappella dei disciplini. Aspetto che
sia libero e mi presento, spiego che vorrei scrivere su Clusone... Subito si
mette a nostra disposizione, chiamo Serena. Così l’Assessore ci spiega la storia
della Città, dell’oratorio, ci mostra i particolari interessanti di questo
fabbricato, che, come tutti il luoghi che hanno una lunga storia vissuta, ha
sovrapposizioni di edifici e di usi. Ci racconta che tra i vari usi a cui è
stato adibito ci sono anche quello di prigione e di lazzaretto.
Il quarto giro è in compagnia dell’assessore alla cultura,
a cui subito dico della mia passione per la storia – che pare essere anche la
sua, e difatti ci guida con piacere all’interno dell’oratorio, ignorando questa
volta le tele per parlarci delle mura, delle fondamenta della struttura
originaria, di come quel pozzo, in quella nicchia, servisse per colare la cera;
di come il ventre di quella statua della Madonna, visibilmente mancante, sia
stato sottratto alla gravida donna perché ritenuto sconveniente a seguito del
Concilio di Trento; di come da questa grata al primo piano le donne guardassero
i flagellanti fare penitenza, chinate per poter osservare. Di come
Clusone abbia orchestrato trame per avere la propria indipendenza di città
montana, sita su un crocevia.
Sapevo che da sempre
Clusone è stata la Capitale della Valle Seriana. È in un pianoro al centro della
confluenza dei due rami della Valla Seriana, quello della Val Bondione e quello
che porta al Passo della Presolana e scende nella quasi dolomitica Valle di
Scalve. Le bellezze naturali in queste valli sono tantissime, ma Clusone si
configura essenzialmente come una città industriale e commerciale, come lo è
stata anche nel passato. Infatti da Clusone si può scendere verso Lovere dalla
Val Borlezza o verso Bergamo dalla valle Seriana e quindi è stato il centro di
confluenza dei traffici e della civiltà della valle. Nel passato sono state
importanti le attività minerarie, ferro e anche altri minerali con la loro
lavorazione. I valligiani sono sempre stati indipendenti dalla città di
Bergamo, specialmente quando vi era il dominio visconteo e sono passati sotto la
Repubblica Veneta prima di Bergamo. Con la venuta di Napoleone hanno resistito
fino all’ultimo momento prima di capitolare.
La danza
macabra ci saluta all'uscita come all'entrata, ma ora non c'è più la fretta
a frenarci, e mi soffermo come ci si sofferma su quegli inquietanti particolari
che sai, ma che per logica non vorresti poi ricordare, e proprio non riesci a non
cercare di farli tuoi. Guardo i teschi danzare e una morte in trionfo,
regina su tutti, re e popolani, santi e peccatori - santa peccatrice che falcia
senza remore.
Ripercorrendo le ripide viuzze di Clusone non posso che
vederle che in ottica diversa. È come se, conoscendone a tratti la storia,
avendone la consapevolezza, riuscissi a vedere la città antica
riaffiorare dalle testimonianze rimaste.
Immagino una notte del 1630, le
campane d’allarme suonate per un fraintendimento, le porte dai battenti decorati
aprirsi all’unisono e le famiglie sciamare fuori in vista del nemico.
L’unico nemico, però, è la peste – e dall’edificio posto poco fuori dalla
città i soldati in quarantena si riversano per le vie, diffondendo il
morbo. Guardo gli affreschi sulle case antiche, quelli per cui l’assessore ha
definito Clusone “la città dipinta”, e penso a quale foga questo luogo si sia
accompagnato nei secoli, donando oggi una se stessa all’apparenza quasi ingenua,
mite luogo in cui ospitare opere d'arte.
Usciamo dalla mostra presso
l'Oratorio dei Disciplini e ripercorriamo la strada verso il palazzo del Podestà con un’altra consapevolezza di quei luoghi antichi. Ora dobbiamo raggiungere l’Atelier di Franca Pezzoli, dove sono esposti altre opere del pittore.
Abbiamo tempo ed è bello passeggiare per la “Via Mazzini”, guardare le vetrine dei negozi e inventarci storie fantastiche o raccontare cose passate, poi una sosta seduti ad un Caffè a guardare la gente che passeggia.
L’atmosfera che si vive qui è strana e facilita l’invenzione, sarà che tutto è ordinato e pulito, che l’antico si sovrappone senza stridere all’oggi, un’armonia che è difficile trovare nelle nostre città.
Riprendiamo il cammino verso il vicino atelier che è alla fine della Via Mazzini, quasi all’incrocio con la statale.
Il luogo è piccolo rispetto allo spazioso oratorio. Ma così le opere hanno uno spazio più intimo per ammirarle.
Tanta gente da incontrare, ma si fa tardi e salutiamo, ripercorriamo la via principale di Clusone per raggiungere l’auto dall’atra parte della città.
Serena accende la sua sigaretta, io ammiro ancora una volta questa città visiva e calda in mezzo alle montagne delle Prealpi Orobie.
Raggiungiamo l’auto un poco tempo e imbocchiamo la via
verso L’Hotel Garden dove, dopo esserci rinfrescati nelle nostre stanze, potremo
sicuramente gustare un’ottima cena presso il Ristorante annesso.
Chiusa la porta della camera sospiro rilassata vedendo la mia
espressione riposata allo specchio. Gianni mi ha detto: “Ti voglio
vestita come una principessa.” Ho deciso di reggere il gioco, e la maglia
che indosso ha i colori pastello della camera, rosata come le mie guance
compiaciute da una giornata d’aria sana.
Ecco Serena che scende dall’ampia scala a spirale. È veramente bellissima con la camicetta rosa e i pantaloni neri che fanno risaltare il suo corpo sinuoso, sono fortunato ad avere una compagna di viaggio così bella ed intelligente.
Ci accomodiamo ad un tavolo della sala ristorante ed il cameriere prende velocemente le ordinazioni. Intanto facciamo il punto sulla giornata e progettiamo per domani un'escursione nelle pinete sopra Gromo, un’altro borgo medioevale di questa stupenda vallata.
È inevitabile che si incominci a parlare e
la cena si svolge con il dovuto quantitativo di public relations. Gianni
è una riserva di curiosità, io amo il suono della mia voce e delle risate
altrui, e il vino che accompagna i piatti leggeri ma gustosi dà quel tocco
finale al tutto. Quando anche il giro caffé è passato - e io, come al solito,
mi sono riservata un americano da sorseggiare zuccherato - la sala si
dirada.
Non ho articoli da scrivere, non politically correct
recensioni - ma ho un fido taccuino di viaggio che porto sempre con me, e lì
vorrei una dedica da parte dell’artista, da aggiungersi ai ricordi che mi porto
appresso. Viene un giro da me offerto, oh, amo offrire da bere. Vengono altre battute, i primi accenni di discussioni sull'arte -
rilassate discussioni, lontane dai riflettori. Poi viene, immancabile
per me, la pausa sigaretta.
I politically correct vadano in fumo
assieme al tabacco, e venga a me l'unicità di poter parlare di arte, vita e
comunicazione in una quieta città di montagna con un romagnolo appassionato di
mare e ricordi; vengano i racconti di vita - delle mie aspirazioni, delle sue
esperienze; delle esperienze che sto facendo, delle aspirazioni; venga il comunicare, al di là dell'arte su tela o
tramite parole, di chi si è e cosa si vuole, cosa si ama, e quanto valga la pena
di vivere la vita che si vive quando ci si ritrova, una sera in una città
orgogliosa e gelosa della propria indipendenza, pensando che - a proposito delle
solitudini esistenziali intraviste nelle tele di un pittore - non si è
soli.
Il discorso prosegue fitto ma poi viene il momento di andare a nanna: domani ci attenderà una nuova bella giornata.
...Buonanotte Serena.
...Buona notte Gianni, a domani.
E saliamo nelle nostre stanze.
Argomenti correlati: #arte, #clusone, #racconto, #turismo
Tutto il materiale pubblicato è coperto da ©CopyRight vietata riproduzione
anche parziale
Il sito utilizza cockies solo a fini statistici, non per profilazione. Parti terze potrebero usare cockeis di profilazione
|