REGISTRATO PRESSO IL TRIBUNALE DI AREZZO IL 9/6/2005 N°8


Anno II n° 9 del 11/05/2006 IL MONDO - cronaca dei nostri tempi


Un quesito che spesso torna nelle discussioni
Cina–Usa: guerra o pace?
Di Giovanni Gelmini


La Cina oggi sta rastrellando materie prime sui mercati mondiali e li sta invadendo con i suoi prodotti a costo bassissimo. Questo porterà ad un conflitto militare? È questa una domanda che la gente giustamente si pone e a cui cercherò di dare una risposta.

Per cercare di capire il “rischio di conflitto” dobbiamo individuare per prima cosa chi sono i soggetti che hanno carte da giocare. Sicuramente gli Stati Uniti; la Russia ormai non ha più la possibilità di pensare ad interventi militari, come l’Europa. Invece c’è un paese, che a noi sembra poco rilevante, ma che invece ha motivi di forte conflitto con la Cina: il Giappone.

Il rapporto Cina-Usa non è mai stato ai limiti di un intervento militare. Anche nel periodo della guerra fredda, la Cina ha assecondato la politica statunitense per contrastare il ben più pericoloso vicino sovietico. Dopo gli attentati dell’11 settembre, architettati da Bin Laden e con la “crisi nucleare” indotta dalla Corea del Nord, la Cina si è adoperata per “risolvere i problemi politici”. Malgrado tutto la Cina e gli Stati Uniti, pur con tanti punti di contrasto evidenti e forti, hanno nell’ultimo secolo sempre perseguito una politica di “stabilizzazione”.

Ci sono degli analisti di geopolitica che sostengono l’inevitabilità di una politica aggressiva da parte di una potenza emergente. Questo porterebbe in modo inevitabile a una guerra fredda o successivamente ad una possibilità di guerra calda. Queste teorie però non sembrano compatibili con la realtà odierna.

Richard Haass, già collaboratore della Brookings Institution, afferma che la Cina esporta solo computer, non ideologia né rivoluzione. Questa mi sembra la chiave di lettura degli attuali interessi cinesi. Non occupare gli Stati, ma inondarli con i loro prodotti. Per realizzare questo progetto non solo non servono i militari, bensì i “commerciali”, ma è anche necessario che i rapporti politici siano buoni e stabili. Se questa è la lettura giusta del rapporto della Cina con la realtà mondiale, i rapporti fra Cina e America sono destinati a migliorare.

La prima motivazione è appunto che gli interessi nazionali legati alla globalizzazione sono convergenti. Entrambi i paesi hanno tanti interessi in comune da rendere molto difficile una rottura dei loro rapporti. Esistono dei problemi di carattere commerciale, come sono ben emersi anche nella recente visita del presidente cinese Hu Jintao negli Stati Uniti, ma la loro soluzione è prettamente politico–commerciale e le tensioni che scaturiscono difficilmente si possono risolvere con conflitti carichi di tensione emotiva o politica.

Anche il concetto di sicurezza, basato sulla “cooperazione fra grandi potenze” in risposta alla crescita delle minacce di tipo non tradizionale, è un motivo di “non conflitto” e questa tesi è sostenuta anche dall’establishment statunitense, che non crede possibile una guerra fra grandi potenze nel mondo d’oggi. Oggi sicuramente per tutti gli Stati il nemico comune è il terrorismo e la proliferazione di armi di distruzione di massa e su questi punti sicuramente la convergenza dei grandi paesi è assoluta.

Viene da più parti messa in evidenza la forte presenza statunitense in tutto lo scacchiere asiatico e questo potrebbe rappresentare un motivo di scontro, ma nella realtà la Cina sembra avere un atteggiamento pragmatico verso la presenza americana. La spina nel fianco della Cina è eventualmente il Giappone, e questo lo si misura in modo palpabile nella controversia su Taiwan.

La Cina rivendica Taiwan come suo territorio e i motivi sono evidenti: da una parte l'immensa capacità tecnologica di questo piccolo paese è un elemento di grande attrattiva, dall'altra la posizione di Taiwan è strategica per il controllo delle coste della Cina e, infine, se Taiwan entrasse in modo definitivo nella sfera giapponese diventerebbe una testa di ponte giapponese sul territorio cinese, e il Giappone ha l’esigenza di espandersi e crearsi uno spazio “vitale” attorno a sé, spazio del quale per ora non dispone. Su queste mire fino ad ora gli Stati Uniti non hanno mai dato l’assenso al loro fido alleato e mantengono ancora la loro presenza a Okinawa, e così hanno uno stretto controllo militare della zona.

© Riproduzione vietata, anche parziale, di tutto il materiale pubblicato