REGISTRATO PRESSO IL TRIBUNALE DI AREZZO IL 9/6/2005 N°8


Anno I n° 2 del 23/06/2005 PRIMA PAGINA


Il quarto potere fa sempre discutere
Diritto di cronaca e libertà di stampa
Una sentenza del Tribunale di Cosenza rilancia alcune considerazioni sul potere della stampa e la necessità di avere una stampa libera
Di Roberto Filippini Fantoni


Facendo riferimento a una sentenza del Tribunale di Cosenza che ha sancito la non punibilità di un giornalista che aveva criticato il “solito” potente politico locale e ha ribadito il diritto di critica in cronaca, approfitto per parlare di un argomento delicato come quello della libertà di stampa. Tra l’altro, come si evince dalla cronaca che riportiamo in calce al pezzo, il giornalista è stato talmente ben difeso dal giudice che alla fine si è "riservato di agire in separato giudizio al fine di formulare una richiesta risarcitoria per i danni subiti a livello fisico e di immagine”.
Che la stampa sia il cosiddetto quarto potere e che la penna del giornalista possa a volte essere più tagliente della lama di una spada è noto e chi pratica questo mestiere, per professione o per diletto, lo può sperimentare direttamente. Chi scrive, sono trent’anni che fa cronaca sportiva, qualcosa che tutto sommato, nella critica, non va mai a ledere sul piano personale gli atleti o i dirigenti sportivi di cui parla, ma solo esercita un sacrosanto diritto di esternare il proprio parere sulle loro prestazioni. Ebbene io stesso parlando di dirigenti di una squadra e criticando, ad esempio, le loro mosse sul mercato, più volte sono stato preso a male parole e in alcuni casi minacciato di querela. Persino gli amici, se osi criticare le loro scelte, mentre sarebbero dispostissimi ad ascoltare – e magari accettare – una tua critica, diventano furibondi quando la stessa critica la vedono pubblicata nei tuoi pezzi. Un mio carissimo amico, ex-nazionale di basket, aveva deciso di intraprendere la carriera di coach e fu esonerato due volte a campionato iniziato da poco e decise pertanto di tentare la carriera di Direttore Sportivo. Io allora scrissi – lo chiamerò Esposito, tanto per non citare la persona e rischiare di litigarci ancora – su un settimanale sportivo locale:”all’Esposito giocatore di notevole spessore e nazionale tanto di cappello; per l’Esposito allenatore il cappello ce lo rimettiamo in testa; per il futuro dirigente sportivo teniamo il cappello a mezz’aria in attesa dei risultati”. Vi parrà impossibile ma ricevetti, il giorno stesso della pubblicazione, una sua telefonata che in breve diceva così: “Se ti incontro per strada al buio ti spacco la faccia”. In fin dei conti avevo fatto una lode per il suo passato di giocatore, una critica per l’esperienza come allenatore – critica rilevata dai due esoneri prematuri e da altri commenti diretti – e avevo sospeso il giudizio in attesa di analizzare il prossimo operato per la carriera di dirigente appena intrapresa.
Ritornammo poi amici, ma ci volle tempo e pazienza.
Immaginate quando i giornalisti vanno a toccare interessi economici e politici. Pur avendo il diritto di critica devono stare molto attenti a come esercitare questo diritto e devono sapere che il rischio di querela fa parte del mestiere.
La sentenza che riportiamo in calce dimostra per lo meno che se eserciti questo diritto con professionalità e stai attento a non offendere “ad personam”, la giustizia …. ti dà una mano! Che la stampa abbia una potenza incredibile lo dimostra la storia e i governi caduti per mano di testate non sono stati pochi. Il caso più noto fu lo scandalo Watergate, nato sulle colonne di un giornale e poi finito con le dimissioni del presidente Nixon.
C’è poi chi ha usato la libertà di stampa per distruggere un sistema e sostituirlo e poi l’ha tolta per mantenerlo. Il caso più eclatante – e a noi italiani ben noto – è quello di Mussolini, che da direttore dell’Avanti, giornale socialista, si è fatto conoscere, ha poi sfruttato la “libertà di stampa” per alimentare l’odio contro la componente comunista che nella fase post-bellica sfruttava il malcontento delle masse impoverite dalla Grande Guerra, indirizzando tale malcontento verso la nascente forza fascista. Raggiunto il potere, grazie anche agli appoggi quasi incondizionati di molta stampa nazionale, ha poi pensato bene, una volta trasformata la democrazia in dittatura, a sopprimere quelle voci di malcontento che si sentivano tradite dalla scelta dittatoriale e tentavano di criticarla. Quella libertà che tanto lo aveva aiutato a prender il potere era ora troppo scomoda per il raggiungimento del gradimento quasi totale di cui una dittatura ha bisogno per appoggiare misure drastiche e molto spesso impopolari o solo demagogicamente popolari. Ma non solo la censura di quotidiani e riviste era sufficiente. Fu istituito il noto e temuto Minculpop (Ministero della Cultura Popolare) che praticamente riuscì ad azzerare quasi totalmente il dissenso al regime.
Sulla libertà di stampa e sulla sua indispensabilità nei governi democratici sono stati scritti libri e non è il caso di spenderci molte parole per convincere il lettore della necessità che tale libertà esista. Mi fermo qui, considerando questo pezzo solo un piccolo contributo diretto, che può far capire meglio quale grande funzione eserciti la stampa e la sua libertà in un sistema democratico e quale sia la sua reale potenza.

Politico senza titolo di studio lamenta"grave campagna diffamatoria"e chiede un miliardo di danni. Il giudice dà ragione al giornalista:"Fatti storicamente veri . Ironia e sarcasmo non fanno reato".

Una lezione dalla Calabria.

Il giornalista si è "riservato di agire in separato giudizio al fine di formulare una richiesta risarcitoria per i danni subiti a livello fisico e da immagine".
Questa iniziativa costituisce un precedente innovativo, che i giornalisti italiani farebbero bene a seguire, quando vengono presi di mira incautamente dalle cosiddette "autorità" a scopo intimidatorio.

Cosenza, 12 giugno 2005. Il Tribunale civile ha rigettato la domanda di risarcimento danni (per un miliardo di vecchie lire) presentata nel 2001 dall'allora presidente dell'Arssa, Antonio Pizzini contro il giornalista Guido Scarpino per "una grave campagna diffamatoria perpetrata ai suoi danni" attraverso la redazione di "numerosi articoli (otto in tutto, ndr) accomunati da un'unica circostanza: la diffusione reiterata di notizie assolutamente false e tendenziose” ……..Era stata chiesta la condanna del giornalista per "i danni arrecati alla reputazione, al prestigio, all'immagine e all'onore" del Pizzini. In una fase successiva, tra l'altro, era stata chiamata in causa anche la società Il Mezzogiorno Spa (editrice del quotidiano "La Provincia cosentina" di cui Guido Scarpino è redattore), che si è costituita con l'avvocato Eugenio Conforti.
Nella sentenza si legge: "Le modalità espressive utilizzate per descrivere e commentare fatti, benché appaiono a volte ironiche e sarcastiche, devono ritenersi giustificate dall'esimente del diritto di critica, posto che le espressioni utilizzate, prendendo spunto da un fatto realmente accaduto, costituiscono il frutto di giudizi e valutazioni personali dell'autore, che nella qualità di giornalista ritiene di valutare l'operato e l'attitudine dei politici locali e dei dirigenti di organismi pubblici, qual è l'Arssa". Arssa sta per "Agenzia regionale per i servizi e lo sviluppo in agricoltura" (un vecchio carrozzone oggi forte di appena 400 dipendenti).
E ancora afferma la sentenza: "L'intento dell'autore - prosegue il giudice in relazione agli scritti sulla presunta mancanza di requisiti del presidente dell'Arssa - sostanzialmente è quello di rimuovere rilievi polemici sul fatto che a capo dell'Arssa sia stato posto un politico che non vanta titoli di studio (avendo il Pizzini conseguito la maturità classica) ovvero esperienza professionale (essendo egli impiegato della Telecom) attinenti allo scopo sociale dell'ente predetto e non già quello di esprimere giudizi sulla persona del presidente, che non è stata affatto interessata ed attaccata con l'attribuzione di fatti disdicevoli".
La dottoressa Viteritti rileva infine che il giornalista "non ha remore" a far pubblicare articoli "interamente a difesa della figura del Pizzini", sottolineando, infine, che gli scritti censurati rispondono ai requisiti di verità sostanziale dei fatti, continenza e interesse pubblico della notizia. "Tenuto conto delle esaustive motivazioni in ordine ad ogni punto della domanda rigettata, le quali appaiono incontrovertibili ed non suscettibili di riforma, accogliendo in pieno la tesi prospettata dall'avvocato Lo Giudice", il giornalista si è "riservato di agire in separato giudizio al fine di formulare una richiesta risarcitoria per i danni subiti a livello fisico e di immagine". Questa iniziativa costituisce un precedente innovativo, che i giornalisti italiani farebbero bene a seguire, quando vengono presi di mira incautamente dalle cosiddette "autorità" a scopo chiaramente intimidatorio.


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