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 Anno I n° 4 del 21/07/2005    -   TERZA PAGINA


Lo Zibaldone
19 Luglio: Paolo Borsellino essendo stato
Il ricordo del giudice affidato ad uno spettacolo teatrale di alto livello con Massimo de Francovich
Di Concetta Bonini


E’ il 19 Luglio 1992.
Sono le 16:58.
Un assordante rumore e una lacerante esplosione stravolgono il cuore della terra calda di Sicilia. La Sicilia, in questo istante, coincide esclusivamente con Via d’Amelio. Dopo solo il cielo, solo il silenzio. Paolo Borsellino sta per abbracciare la morte che attendeva da tempo, la morte con la quale espierà il senso di colpa verso tutti coloro che sono morti per proteggerlo. Oggi era stato felice Paolo Borsellino, oggi il sole, il mare, l’amore della sua terra lo avevano distratto dalla razionalità con la quale accoglieva ogni giorno come l’ultimo. Oggi erano stati felici lui e i suoi uomini, si erano dimenticati di pensare alla morte. Perché la morte ormai era troppo vicina, era quel rumore: Paolo Borsellino sapeva da tempo che il suo ultimo istante sarebbe stato annunciato da un rumore. Per questo aveva scelto di vivere conoscendo e amando ogni rumore che non era stato l’ultimo. Ma adesso il rumore cruciale è arrivato, è scattata la miccia che collega alla morte e Paolo Borsellino sta vivendo il suo ultimo istante. Piccolissimo, strettissimo istante, ma è l’interminabile istante in cui, attraversando schegge di ricordi, prende congedo dalla vita. Ripercorre i lunghi anni in cui, attendendo quell’ultimo istante, decretava ogni giorno la sua condanna per inseguire il sogno di comprendere e sconfiggere la mafia. E lo Stato. E la legge spietata di una macchina che non lascia spazio alla giustizia, quella vera. Lo Stato permette che esistano le cellule sane, lo Stato permette che nascano i batteri, che si moltiplichino, che si organizzino e diventino mafia, poi inventa il medico, il giudice-medico che costituisce il suo alibi e che deve sempre curare e mai guarire. Perché lo Stato deve garantire il più conveniente rapporto con i batteri anche a costo di sacrificare le sue cellule sane e lo Stato ora è lì dove un altro uomo muore solo, muore per lo Stato.
Sono le 16:58.
Paolo Borsellino in questo istante è il sogno di tutti i siciliani che viene ucciso un’altra volta.
Paolo Borsellino in questo istante rivive la sua Sicilia. La Sicilia è la terra della storia. E’ la terra bollente, la terra feconda, la terra dei campi, degli aranceti. E’ la terra in cui il sole è un regalo che abbiamo nelle ossa. E’ il mare. Ma la Sicilia è la mafia. E’ una partita a pallone tra bambini che corrono e urlano sotto il sole cocente e vincono e ridono e sono felici, prima che arrivi chi porta via il pallone. E’ il silenzio di una madre, è uno Stabat Mater doloroso e fiero. E’ il calore e la spudorata genuina bellezza delle Antigoni che onorano i morti. E’ una vita di dolore, una vita che è una camurria, è il mare che si ritira svelando una distesa di ossa. La Sicilia in questo istante è un piano tutto bianco della Procura Generale di Palermo, il Paradiso di tutti i morti ammazzati dalla mafia. Lì c’è una stanza vuota, la stanza adatta a Paolo Borsellino, proprio lì davanti a quella Giovanni Falcone: l’uomo con cui aveva vinto tante battaglie ma che troppe poche volte aveva abbracciato, solo un volta davvero, a lungo, in un momento estremo che non ricorda più, in una non lontana giornata di Maggio in cui la Sicilia aveva consumato il sacrificio di un altro suo figlio. La Sicilia è lo specchio in cui si rifletteva il loro sogno. La Sicilia è Palermo e chissà se Palermo è maschio o femmina, se è alta o bassa, come sono il suo corpo e le sue mani, chissà se Palermo è viva o morta. Palermo è la città che si attacca al corpo dei siciliani e li attacca al suo. Palermo è la città che non piace a Paolo Borsellino, ma proprio per questo lui la ama: per cambiarla. L’ultimo istante di Paolo Borsellino sta terminando, semplice e solenne come tutta una vita, semplice e solenne come tutte le sigarette fumate insieme ad un sogno.
Questo è stato Paolo Borsellino, anzi questo è Paolo Borsellino Essendo stato, magistralmente interpretato da Massimo De Francovich, accompagnato dalle cinque Antigoni dentro una scenografia essenziale, immersa semplicemente nel bianco: il colore della verità, degli eroi, del Paradiso. Musiche e immagini mai invadenti suggeriscono un’atmosfera suggestiva quanto basta per concentrare l’attenzione sui lunghi monologhi di Borsellino-De Francovich, monologhi affascinanti, a tratti quasi poetici ma mai retorici, di notevole spessore ma mai noiosi che catturano l’attenzione del pubblico, invitando i più sensibili persino a commuoversi.



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