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Racconti & Turismo Sabbioneta “La piccola Roma” – parte seconda: visita guidata ai palazzi Nella Pianura Padana, sulla riva del Po, tra Cremona e Mantova un gioiello poco conosciuto, realizzato da Vespasiano Gonzaga tra il 1556 e la fine del XVI° secolo Di Giovanni Gelmini
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Nel pomeriggio ci attende la vista guidata, comprende il Palazzo Giardino, il Teatro ed il Palazzo Ducale. Si tratta di monumenti molto belli ed interessanti perché, anche se hanno subito danni e “ruberie” specialmente nel periodo della presenza francese e austriaca, mantengono intatta la dimensione voluta da Vespasiano Gonzaga. Si può respirare l’atmosfera creata per se da un potente dell’epoca. Infatti qui Vespasiano ha cercato di esprimere se stesso, lui l’ha creata e qui ha riversato tutte le sue forze elevandola a sua “progenie”, progenie che il destino gli ha negato. Per capire Sabbioneta, forse proprio per la sua caratteristica di essere frutto di un'unica idea, bisogna capire Vespasiano Gonzaga e la visita ci aiuta ad avvicinarci alla sua essenza, anche grazie alle spiegazioni di un guida veramente brava e preparata. La prima è a Palazzo Giardino. Forse perché risulta il meno danneggiato, forse perché è la “casa privata” del duca, è quello che mi ha stimolato maggiormente la fantasia. Si entra e si sale con un ampio scalone di marmo al piano nobile. Qui ci accolgono alcune piccole stanze e dagli affreschi si incomincia a vedere l’ammirazione che Vespasiano aveva per la cultura dell’antica Roma. Questa non è quindi la “piccola Atene” come si trova sulle guide, ma la “piccola Roma”. Infatti in tutto il percorso ritroviamo segni di legame con Roma, non con Atene. Non voglio dilungarmi nelle descrizioni, perché una guida, recentemente pubblicata, spiega meglio di me, ma cerco di tradurre quello che ho provato, il crescendo di attenzione verso qualcosa che, malgrado i danni e i saccheggi, traduce un’ immagine chiara di uno spaccato di un modo di pensare ed esistere. Prima la “camera dei miti e poi lo studiolo “di Enea”, studio privato del Duca, ricchi e densi di immagini, che ribadiscono il legame al mito romano, poi “la Sala degli specchi” sfarzosa, in cui gli specchi (oggi questi si sono persi), dovevano allargare le dimensioni, dando l’impressione di spazi ancora più grandi. Sul fondo, una saletta il “Camerino delle Grazie” delizioso per le decorazioni, e una scala che scende nel giardino sottostante attraverso una scala con le pareti decorate con tralci verdi che anticipano la presenza del giardino, che sicuramente sarà stato progettato e gestito accuratamente, come ci mostra ancora oggi il palazzo, ma che adesso è praticamente perso. A sinistra si passa nel “Corridor Grande”. Ecco che i giochi di luce e le prospettive delle decorazioni sui muri lasciano stupefatti: si tratta di un colpo d’occhio straordinario della più lunga ed imponete galleria di regge esistente. Questo stupore resiste da quasi cinque secoli, malgrado sia stato spogliato dei suoi contenuti; era infatti il posto della collezione di lapidi, statue e rilievi romani, che, confiscati per ordine di Maria Teresa d’Austria, vennero portati al palazzo ducale di Mantova. Ora ci attende il “Teatro all’antica”. Contrariamente al nome è il primo teatro dell’era moderna costruito come tale (esistevano già dei teatri con concetti “moderni”, ma erano stati ricavati in costruzioni preesistenti); la dizione “all’antica” è per il concetto che lo lega al teatro classico. Nella realtà introduce elementi d’avanguardia, con entrate separate per pubblico ed attori, foyer, e camerini per gli attori. L’idea a cui ha lavorato l’architetto Vincenzo Scamozzi è quella di riprodurre negli spettatori la sensazione di trovarsi in uno spazio aperto ecco che così inventa il soffitto a forma di carena di nave capovolta per poter dare l’idea di una volta celeste e tutti gli affreschi mostrano attorno gli spazi aperti. Da ciò che è rimasto doveva essere una cosa da mozzare il fiato. Oggi ammiriamo gli affreschi, la Loggia con le colonne bianche e, sul fondo, una facciata di palazzo, purtroppo un orribile soffitto scuro a cassettoni, che quasi si appoggia sulle teste delle statue sopra le colonne, ammazza il tutto ed anche la ricostruzione del palcoscenico fatta nel 1996 è molto lontana dai concetti che il progettista ebbe e realizzò. Il palcoscenico scendeva verso la sala e arrivava fino alle gradinate del pubblico in modo che gli attori potessero interagire, poi c’era una scena fissa che doveva essere molto suggestiva, ma tutto questo è andato perso nel tempo! Per fortuna sono rimasti gli affreschi, il loggiato con le statue, che comunque danno l’idea di quale meraviglia fosse questa opera e che pertanto restano una cosa importate e interessante da vedere. Chissà che qualcuno non si renda conto dei danni fatti e almeno elimini le brutture aggiunte, lasciando almeno gli spazi vuoti perché sia l’immaginazione a ricostruire che riesce. Ultimo il “Palazzo Grande”; questo era la sede istituzionale del duca per questo è anche chiamato “Palazzo Ducale”. Si sente l’atmosfera “di rappresentanza” nelle decorazioni rimaste, nei soffitti a cassettoni, che si sono stupendi, ma non comunicano sensazione di gioia, ma solo di rispetto. Qui si legge, attraverso le decorazioni araldiche, una parte della storia del duca. Le distruzioni, le manomissioni e gli incendi hanno lasciato poche cose, ma sicuramente sono in grado di permettere di leggere la figura istituzionale del duca, personaggio che ha saputo affermarsi come uomo di governo capace ed attento. Sicuramente tra le cose che più mi hanno interessato devo mettere le statue lignee “a cavallo”. Vi sono i famigliari del duca, tra cui il padre Rodomonte e lui stesso il duca Vespasiano Gonzaga. È una immagine che ci giunge strana, diversa dalle altre: alto, con il viso affilato e pallido, forse a causa della sifilide che lo ha colpito a 18 anni. Gli occhi guardano lontano, forse verso la sua Sabbioneta, quella che pensava ancora di realizzare.
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