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Racconto Che culo! Siamo in America! Diario semiserio di un'avventura americana Di Roberto Filippini Fantoni
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Parliamo di viaggi di oggi e divertenti, ma a gente come me, che troppo spesso viaggia per lavoro, possono succedere avventure come quelle che ho vissuto sulla mia pelle nel luglio del 1996 e della quale vorrei farvi partecipi, sicuri che capirete che chi viaggia troppo spesso alla fine non è molto contento di farlo, con grande meraviglia di chi invece viaggia poco e amerebbe farlo. Il racconto è veritiero, ho solo cambiato i nomi dei personaggi e delle ditte coinvolte per chiari problemi di privacy.
Buon divertimento! Che culo! Andate in America? Questa è l'esclamazione di quei "fortunati" che stanno a casa e che invece ci reputano dei privilegiati solo per il fatto che andiamo in America: credono ancora che là ci sia una terra invidiabile, un posto da sogno al quale solo "alcuni" possono aver accesso, sogno che c'è rimasto nell'inconscio dai tempi delle emigrazioni dei nostri avi. Noi, che viaggi di lavoro ne facciamo anche troppi, sappiamo bene che non è vero e cosa si nasconde dietro un tour alla rincorsa frenetica di clienti sparsi per ogni dove ma questa volta, tanto per cambiare dai soliti posti (Francia e Germania per Giovanni e Cina e Brasile per me), un viaggio negli USA non è tutto sommato da disprezzare. L'esperienza è una gran bella cosa ma a volte non basta e riusciamo ancora a farci qualche piccola illusione che i fatti trasformeranno in ben altra realtà: ma così è il mondo e meno male che si riescono ancora a coltivare speranze! Quando non sarà più così vorrà dire che presto quattro assi ci attenderanno! Leggendo il programma dei cinque giorni americani non c'era tanto da star allegri: Atlanta, Greenville, Columbia, Raleigh, New York, Philadelphia, Menphis, Detroit, Chicago. Nove posti diversi e lontanissimi in cinque giorni avrebbero dovuto farci presagire qualche "difficoltà" ma, la speranza è l'ultima a morire. Tanto per cominciare l'arrivo ad Atlanta si prevedeva a rischio già in partenza: Olimpiadi con il relativo traffico aereo e solo 50' di tempo per agguantare il volo per Greenville sembravano tempi impossibili tanto che ci avevano prenotato il volo successivo (due ore dopo) sia pure in lista d'attesa. Rischiavamo di saltare il primo appuntamento del lunedì mattina se avessimo perso il primo e non ci avessero imbarcati sul secondo. Partiti da Milano alle 10 della domenica arriviamo a Zurigo e alle 12.30 via per Atlanta dove sbarchiamo, dopo un tranquillo volo di 9 ore, alle 16.30 puntuali (21.30 ora italiana) e andiamo a raccattare i nostri bagagli con tanta speranza di riuscire a prendere la coincidenza. Sappiamo per esperienza che alla dogana (più terribile di qualsiasi altra e persino di quella di molti dei paesi dell'ex est europeo, Cina compresa) potrebbero farci un interrogatorio per il quale ci troveremmo impreparati dato che questi anglofoni hanno il non trascurabile vizietto di non pensare che abbiamo qualche difficoltà a capirli se parlano, come sono abituati a fare, come Paperino nei cartoni di Walt Disney. Ci va invece tanto bene perché non solo si limitano a qualche domandina facile facile (stiamo bene attenti a non rispondere che andiamo in America "for work" altrimenti rischiamo persino l'arresto) ma anche, miracolo dell'organizzazione americana, perché le valige arrivano in pochi minuti e riusciamo a fare il check-in per Greenville e a spostarci con una monorotaia in un altro settore dell'aeroporto in tempo per l'imbarco. Ci diciamo, soddisfatti, che in Italia non sarebbe mai potuto accadere e, almeno questo, è vero e non il solito autodisfattismo tipico di noi italiani. Che culo! Siamo in America! Già in partenza ci mettiamo in coda per quasi mezz'ora con davanti una ventina di aerei e chiacchierando con un passeggero scopriamo che non è un problema di traffico aereo legato alle Olimpiadi ma solo che il pur bellissimo aeroporto di Atlanta è uno dei più trafficati del mondo. Arriviamo con un po' di ritardo e via a spupazzarci ancora qualche chilometruccio con la macchina su bellissime e larghissime autostrade su cui nessuno, e dico nessuno, corre a più di 65 miglia l'ora (100 km/orari): per noi italiani una sofferenza non poter mangiare i chilometri su quelle meravigliose piste. Cena a casa Martin King, nostro agente negli USA, che gentilmente aveva invitato cognata e marito e ci aveva preparato un accettabile pranzetto all'aperto davanti a un meraviglioso boschetto in cui si vedevano centinaia di lucciole volteggiare per l'aria, uno spettacolo da noi ormai quasi impossibile a vedersi. Che culo! Siamo in America! Ovviamente per il nostro tempo fisiologico sono le tre di notte e ci prende una voglia matta di farci una bella dormita e invece siamo costretti a fare buon viso a cattivo gioco con un po' di conversazione sull'Italia con anglofoni che facciamo fatica a capire chiaramente e oltre tutto non siamo in grado di mantenere l'attenzione per più di pochi minuti per via della stanchezza; per nostra fortuna si trattava di accento sud-africano, un po' più accettabile di quello del sud degli Stati Uniti. Andiamo a letto a mezzanotte ma naturalmente ci svegliamo alle 4 perché per noi sono le dieci del mattino; ci si riaddormenta con frequenti risvegli e così si riesce alla belle e meglio a tirar mattina. Partenza e visita a un cliente, gentilissimo e disponibile che sta a sentire con attenzione le nostre spiegazioni sulla "forza" del nostro Gruppo, sull'enorme potenzialità dei suoi impianti, sulla possibilità di offrire nylons di tutti i tipi. Le difficoltà incominciano quando lui, come fa ormai da tempo, ci chiede notizie su un prodotto che pare essere l'unico polimero di suo interesse e che da due anni è invece il nostro incubo perché non troviamo nessuno che ci dia ascolto più di tanto nel settore produzione. Arrampicamento sui vetri per dire che stiamo modificando gli impianti per poterlo produrre a breve, mentendo e sapendo di mentire su quel "a breve". Alcuni giorni dopo, a più di 10000 km dalla casa madre, veniamo a sapere che la nostra menzogna era invece diventata realtà: infatti King ci racconta che la fabbrica che lo produceva sta inviando 20 ton di quell’inesistente prodotto: pertanto sembra sia in grado di produrlo e naturalmente noi non ne sappiamo nulla. Un'informazione che se non fossimo venuti in America chissà quando avremmo avuto! Che culo! Siamo in America! La contentezza ci assale quando capiamo che il copolimero a cui è interessato il cliente è un tipo che abbiamo già prodotto. Smettiamo di fregarci le mani e cadiamo nella più assoluta disperazione quando il cliente aggiunge, come "piccolo particolare", che deve contenere dal 2 al 3% di estraibili. Già è difficile il non lavato, quello lavato parzialmente è per noi una chimera. Non vi diciamo quali arrampicate tecniche ci è toccato fare (arrossiamo ancora al pensiero della nostra impudenza) per convincere il cliente a mescolare un monomerizzato e un normale per ottenere il desiderato tenore di monomero, con "indubbi vantaggi" di flessibilità. Ci vergogniamo ancora adesso nello scriverlo e chiediamo che tali dichiarazioni non vengano usate contro di noi. Un veloce lunch a base di "cani caldi" o hamburger, patatine e birra in un interessante tavola calda dove i soft drink sono compresi nel prezzo (veramente basso: solo 5 $) e a volontà, ghiaccio compreso. Io mi lascio sedurre da un hamburger con "ring onions" scoprendo mio malgrado che gli anelli di cipolle erano fritti e terribilmente indigesti: verranno digeriti definitivamente durante la notte! Al pomeriggio colloquio con quelli di una famosa ditta produttrice di monofili. Delusione: una fabbrica piccolissima che però ha due autoclavi e polimerizza da anni, producendo copolimeri abbastanza sofisticati che noi mai ci sogneremmo di voler fare. Sorge spontanea la domanda: perché siamo cosi scemi da farci bagnare il naso da queste piccole società? Sorge altrettanto spontaneo il dubbio che a questa domanda non ci sarà mai logica risposta! Veniamo ai fatti. Ci avevano respinto un polimero per l'umidità che a noi risultava 0.08% e a loro 0.12%. Via di corsa a spiegargli che il metodo di analisi è differente (cosa vera del resto) ma ovviamente il cliente se ne frega e saremo noi che dovremo adattarci a lui e non viceversa. Guarda caso i loro impianti non hanno lavatori e pertanto loro producono, per il filo dei tagliaerba (un grosso mercato), del prodotto parzialmente lavato: il panico ci riprende e le arrampicate sui vetri continuano; le cipolle ritornano a farsi sentire! Finito il colloquio via di corsa verso Columbia dove ci dobbiamo imbarcare per arrivare, con cambio a Raleigh, a New-York. The Big Apple ci attende! Ma non sapevamo cosa il destino ci aveva riservato! Arrivati di fronte all'aeroplano cominciamo a farci prendere dal panico e ridiamo con aria di superiorità per non farcela addosso. Un bimotore a turboelica da 19 posti (esiste foto documentante da consultare) dove quella che credevamo essere la hostess, unica e sola, dopo averci fatto accomodare al nostro posto (la cabina era così stretta che i bagagli a mano sono stati posti nel bagagliaio con gli altri), si piazza in cabina di pilotaggio in funzione di co-pilota. Effetto della "deregulation" e del risparmio forzato di cui abbiamo tanto sentito parlare e noi, che pensavamo di poter bere almeno un bicchier d'acqua che ci aiutasse a digerire gli hamburger, siamo rimasti a bocca asciutta: ma meglio così visto cosa doveva capitare. Nell'attesa dell'aereo avevamo appena finito di leggere di un motore che aveva rotto le turbine del reattore in fase di decollo e queste avevano squarciato la cabina ammazzando due persone e ferendone altre otto: immaginatevi la contentezza! Lo "scatolotto" riesce a decollare e si porta sui tre-quattromila metri cercando di evitare, girando loro attorno, le numerose nuvole che ci si parano davanti e che anche noi riusciamo a vedere sul radar della cabina di pilotaggio della quale era stata lasciata aperta la porta. A un certo punto l'aereo entra in una di quelle che non può evitare e per due o tre minuti, dopo un centinaio di metri di vuoto d'aria, l'aereo comincia a ballare, vibrare e saltare, dandoci l'impressione di potersi spaccare in due da un momento all'altro. L'incubo finisce per fortuna abbastanza presto ma da quel momento fino all'arrivo la tensione rimane alta e noi due ci scambiamo battute, anche cretine, sulle quali ridiamo a crepapelle quasi per esorcizzare la paura. A Raleigh abbiamo un'ora di attesa ma pare che l'aeromobile non sia ancora arrivato. Intanto il cielo, già nuvoloso, comincia a diventare minaccioso e si annerisce vistosamente e con rapidità. Proprio quando l'aereo, in arrivo da New York, che dovevamo prendere atterra si scatena il diluvio universale e l'aeroporto viene chiuso lasciando l'aereo fermo nel piazzale davanti al corridoio flessibile di sbarco senza poter sbarcare nessuno. L'uragano dura quasi un'ora e poi finalmente c'è lo sbarco ma il ritardo è già vistoso. Rimaniamo in attesa di essere imbarcati ma non sembra che ciò possa avvenire a breve. Annunci dell'altoparlante incomprensibili per noi ma di una certa difficoltà anche per King. Riusciamo comunque a capire che il maltempo imperversa anche su New York e, a causa dell'intenso traffico aereo che si va per questo generando al La Guardia, non ci fanno partire. Ogni ora aggiornamento sul fatto se partiremo o meno in serata ma già si aprono le "iscrizioni" al volo della mattina. I meno pazienti si iscrivono e vanno a casa ma noi che siamo in transito e "a casa" non ci possiamo andare rimaniamo impavidi e speranzosi ad attendere altre notizie finché, stanchezza, disperazione, differenza di fuso orario non ancora digerita (fame no perché gli hamburgher e le cipolle erano ancora tutti lì ......... da digerire) e sensazione che per quella sera non si volerà più ci fanno decidere, ben oltre le 11, di fare il check-in per il volo mattutino e trovare un posto in un albergo non molto distante dall'aeroporto: prendiamo sonno dopo l'una di notte! L'aereo parte alle 7, il primo Shuttle per l'aeroporto parte alle 6 e così la sveglia è per le 5:1/2 : nemmeno il tempo per addormentarsi. Che culo! Siamo in America! Nelle tediose ore di attesa nei vari aeroporti abbiamo discusso a lungo sulla fauna locale arrivando alla conclusione che in America almeno il 30% delle persone è obesa. Ma non una generica e limitata obesità ma bensì delle balene, maschili ma soprattutto femminili, che abbondantemente superano i cento chili con punte fino a centocinquanta. Giovanni ogni volta che gliene si siede una vicina commenta: "..vuoi vedere che me la mettono di fianco in aereo!". E non è un problema da poco perché ovviamente con quel culo non avrebbe potuto entrare nei braccioli dei sedili e avrebbe dovuto alzarne almeno uno e debordare in quello di Giovanni il quale con la ben nota proprietà di linguaggio e finezza che lo contraddistingue l'avrebbe mandata a quel paese con un elegante "fuck you!". Per nostra fortuna le cure dimagranti forzate a cui eravamo stati sottoposti avrebbero comunque reso il problema meno drammatico. Che culo (mai come in questo caso l'espressione è appropriata)! Siamo in America! Il tempo si è rimesso al bello e arriviamo puntuali a New York dove ci attende un amico di King, tale Polinsky. Saliamo in macchina per raggiungere la Precision Valve nei sobborghi di New York. Che a New York fosse difficile orientarsi lo si poteva immaginare ma con alla guida il Gatto - Martin Polinsky - e la Volpe - King Martin - (Martin: un nome una garanzia) come navigatore la cosa diventava quasi impossibile. Non vi diciamo quante volte abbiamo fatto proibitissime inversioni ad U e quante volte siamo usciti dall'autostrada per poter rientrare dalla parte opposta. Noi due avevamo stabilito, dentro di noi, una regola: ogni volta che il gatto e la volpe dopo attente riflessioni e discussioni sulla cartina decidevano di andare in una direzione noi due già sapevamo che quella giusta era l'opposta. Io, come ex ufficiale topografo, avrei voluto prendere in mano le redini della situazione ma essendo da molto tempo che non mangiavo avevo paura di avere le visioni e di non essere in grado di farcela. Successive e attente riflessioni ci hanno portato a concludere che con noi due, uno al volante e l'altro come navigatore, si sarebbe raggiunta la meta in metà tempo. Raggiuntala comunque, alla Precision Valve abbiamo dovuto lottare con un tedesco-americano difficile da capire e avanzante tra l'altro richieste assurde e stupide che dovevamo far finta di ritenere interessanti e intelligenti. Da lì, alimentati da una sola banana - buccia esclusa nonostante la fame - che è il primo alimento ingerito dopo il famoso hamburger di 24 ore prima, ci trasferiamo all'ufficio commerciale di una ditta che fattura 350 miliardi nella vendita di polimeri di vario genere: all'ingresso la receptionist, 120 kg di pura ciccia, si stava ingurgitando un incredibile piatto di spaghetti che il nostro cervello immediatamente compara con la banana di prima facendoci entrare in crisi. Ci domandiamo subito dove siano finiti i guadagni di quei famosi 350 miliardi di fatturato perché il posto fa letteralmente schifo sia fuori che dentro e pare un'industria familiare di serie C. Parliamo (si fa per dire) con il responsabile degli acquisti a cui naturalmente della nostra poliammide non frega più di tanto ma è assai interessato al dressaggio dei cavalli e si lancia in interessanti discussioni con Polinsky che pare essere un maestro di equitazione. Giovanni difficilmente riesce a trattenere un abbiocco e io sono troppo intento a capire di che cosa stavan parlando e nel contempo ho incubi a base di spaghetti. Che culo! Siamo in America! Alla fine si parte alla conquista del Delaware passando per il New Jersey. Quattro ore di macchina alla folle velocità di 100 km orari (qualche punta da 110 nei momenti di distrazione dell'autista) con aria condizionata a manetta e piedi ovviamente congelati. Il sonno ci assale ma lo stomaco che brontola per la fame ci mantiene svegli. Arrivo in località balneare alle sette di sera. Appuntamento per la sospirata cena alle otto in un bar sulla spiaggia con musica caraibica ad allietare un pasto che non voleva arrivare. Infatti, ahinoi, il gatto e la volpe suggeriscono un paio di birre prima di trasferirci al ristorante. Noi due, a stomaco vuoto e notoriamente astemi, dopo quelle due caraffate cominciamo già ad avere le visioni e a tavola iniziamo a ridere come due cretini raccontando barzellette in inglese: ancora adesso non sappiamo se sono state capite! Entrée di carciofi con una crema sopra, discreta ma pesante da morire, seguita da scampi, cozze e altri "leggerissimi" crostacei. Io mi alzerò alle 2 colto da colpi di dissenteria a viscosità quasi zero (e pensare che non l'avevo mai presa nemmeno in Cina) e alle 3 mi decido a prendere un digestivo per riuscire a chiudere occhio almeno per qualche ora. Sveglia (si fa per dire) alle sette e colazione prevista alle sette e trenta in spiaggia: ovviamente il bar apre alle otto e così ci tocca aspettare per almeno venti minuti. Trasferimento alla New Process Fiber dove tutto fanno meno che fibre e tutto c'è meno che nuovo. Io vengo abbandonato al mio destino per cercare di far andare bene un materiale che so già che non può funzionare. Organizzo così un teatrino di finta competenza e al cambio del materiale con grande non-chalance, visto che non funzionava, tiro su e giù le temperature, tanto per far qualcosa, ma peggioro solo la situazione, come del resto avevo previsto e ho anche il coraggio di spiegare al tecnico i vari "perché". Dopo due ore di finte prove, decido quello che già sapevo prima e con aria da intenditore di prima qualità spiego ai due tecnici presenti il perché il materiale non può funzionare: fine delle prove! La cosa assurda è che per sostituire quel materiale erano stati appena mandati due sacchi di un altro tipo con nome diverso ma praticamente identico. Ci si domanda: ma è possibile tutto ciò? Intanto Giovanni e King vengono accompagnati da Polinsky a Filadelfia e quest'ultimo torna a prendere me che, avendo finito rapidamente le prove, nell'attesa vengo accompagnato in una stanza a farmi ........ i cavoli miei per quattro ore. Arrivo alle 7 a Filadelfia e riesco, non si sa bene come, a convincere quelli della Northwest a cambiare tre voli (Filadelfia-Menphis; Menphis-Detroit; Detroit-Chicago) con uno diretto per Chicago. Non solo me lo cambiano ma anche lasciandomi il rimborso per il terzo volo e mettendomi perfino in 1° classe con l'aiuto di un "paisà", trovato alla biglietteria, che non parlava una parola di italiano ma era molto orgoglioso di essere un discendente della nostra bella patria. Giovanni e King s'imbarcano per Menphis dove nel pomeriggio hanno un appuntamento alla Thomas & Betts. Colmo del culo, dopo un anno e mezzo di inutili tentativi per poter aver udienza, una volta ottenutala il principale interlocutore non può essere presente in quanto la moglie ha appena partorito. Si rimedia con un personaggio "molto competente" nelle plastiche in quanto acquista macchinario e affini. Questi ci assicura che farà un attento riassunto all'assente il quale probabilmente ci riceverà alla nascita del prossimo figlio. Che culo! Siamo in America! Invece di volare a Detroit, come previsto, i due devono tornare a Chicago alla Molex perché costoro, dopo che avevano programmato da ben tre settimane l'appuntamento per venerdì mattina, decidono bene di non esserci per quel venerdì e così è obbligo spostarlo al giovedì mattina. All'insaputa dell'uno e dell'altro, quasi attirati da una forza centripeta, ci ritroviamo perciò a Chicago nello stesso albergo senza saperlo. Ma il bello è che in reception dichiarano a Giovanni che io non sono ancora arrivato (ore 23) e invece è già due ore che sono in camera mia a leggere. Così le due delegazioni non s'incontrano e alla mattina Giovanni e King ripartono per la Molex e poi, digiuni, s'imbarcano per Detroit dove hanno un appuntamento nel pomeriggio alla United Technologies. Ritorno a Chicago giovedì sera e il gruppo finalmente si ricongiunge (io a questo punto non sono più risultato un desaparecido per la reception). Nel frattempo ho avuto, il più fortunato, una giornata di sosta e ho approfittato per tirare insieme questo reportage e per continuare un lavoro per altra ditta, iniziato il giorno prima dal cliente che mi aveva lasciato nella stanza per quattro ore in attesa del ritorno di Polinsky. Verso le 11.30, sciaguratamente decido di scendere in piscina e prendermi un'oretta di sole. Mi sdraio pertanto a pancia in giù a leggermi notizie sull'uragano Bertha che stava avanzando verso la Carolina del Nord, posto che avevamo lasciato da due giorni, per nostra fortuna. Colto dalla stanchezza mi addormento e rimango sotto il sole del mezzodì per un'ora e mezza: alla sera sono pronto per essere servito come gamberone alla brace all'Hotel Hilton di Chicago. Che culo! Siamo in America! Il giorno dopo c'è l'ultima visita prima della partenza e, assente Polinsky, al volante di una macchina a nolo c'è King. Non vedo l'ora di fare il navigatore, sicuro che non mi sarei mai perso. King segnala sulla carta una certa via a sud e io lo dirigo verso quella direzione ma lui improvvisamente, essendoci già stato, dice che si è sbagliato il senso sotto i miei occhi increduli, ben sicuro del fatto mio. Caos generale e poi si scopre che in zona c'erano due vie con quel nome e guarda caso quella verso la quale si doveva andare era a nord. Persi! Nonostante i miei tentativi di far capire a King dove ci si trovava questi non mi ascolta più ma, chiedendo informazioni per strada, riesce comunque e finalmente a ritrovare la via e la fabbrica (ovviamente nella via a nord). Arriviamo alla Panduit in ritardo di circa mezz'ora e ne aspettiamo un'altra per essere portati a pranzo in un posto allucinante, con una scelta da far schifo e un buffet ignobile. Ormai eravamo tanto abituati a saltare i pasti che avremmo "piacevolmente" saltato anche quello ma non era possibile e così con la scusa del buffet abbiamo preso il minimo "to survive". Nel successivo incontro commerciale, scivolato rapidamente in quello tecnico, ci rendiamo conto che due nostri materiali (su cinque spediti nove mesi or sono per le prove di accettazione) non sono stati nemmeno testati, uno è stato ritenuto troppo fragile e l'altro buono come resistenze ma troppo lento allo stampaggio; ci accorgiamo che quest'ultimo era stato scambiato con un altro resistente al calore e quello che era di maggior interesse non era stato nemmeno inserito nei files di prova: a questo punto la confusione è tanta e perdiamo solo del tempo. Capiamo che la voglia di collaborare è quasi a zero e l'intelligenza degli interlocutori di poco superiore: tanto vale non prendersela. Non è dello stesso parere King che all'uscita inizia a salmodiare con una litania di "fuck...." contro la ditta, la gente, le prove che pare di essere in una suburra di Haarlem e non in trasferimento all'aeroporto di Chicago per il tanto sospirato volo di ritorno. Che culo! Stiamo partendo dall'America! All'arrivo a Zurigo ci tratteniamo a stento dalla voglia incommensurabile di chinarci a terra e baciarla a mo' di Papa Giovanni Paolo II, ma nel nostro animo si eleva comunque a Dio una preghiera di ringraziamento per essere tornati nella nostra amata terra. Ragazzi ........ l'America è qui da noi!!!!!! P.S. - Viaggio da consigliare calorosamente a chi vuol iniziare una drastica cura dimagrante Italia 14.luglio.96 - Presa della ...... Pastiglia contro la voglia di tornare in America Due viaggiatori stralunati! Argomenti: #racconto , #usa , #viaggi Leggi tutti gli articoli di Roberto Filippini Fantoni (n° articoli 30) |
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