Questa lente di ingrandimento non pretende di affrontare in modo totale questo argomento, che è molto complesso ed articolato. Quello che abbiamo cercato di mettere in evidenza è il rapporto tra esigenze oggettive dell’abitare ed esigenze soggettive.
Si parte con un brevissimo racconto di Gattaminerva, che descrive i sentimenti del suo recentissimo trasferimento dalla sua città natale, Siracusa, al Nord. Poi si affronta il modo di vedere la casa. Ecco così che la casa può essere la “tana” in cui rifugiarsi, dove ci si sente sicuri o la vetrina dove possiamo farci ammirare. Alcuni articoli affrontano questo argomento “la casa Tana”, altri si occupano di alcuni casi storici del modo di abitare: Il Trullo, tipologia di abitazione che nasce nella notte dei tempi ed è ancora viva, le grotte scavate a Cava Ispica, per proteggesi dalle invasioni ed infine le Ville Venete, un insieme di “vetrina” per farsi notare, luogo di vacanza e di affari. Poi si è cercato di fare il punto su cosa potrà essere la Casa del futuro, il problema dell’edilizia compatibile e della domiotica come sistema per rendere sicura e confortevole la “tana”.
Ora arrivo all’argomento che ho affrontato con i due casi di Zingonia e del Villaggio Crespi. Abitare vuol dire anche avere relazioni con il modo che circonda la Casa. Se l’abitare in campagna implica essenzialmente creare un rapporto tra la Casa e il modo naturale che la circonda, dotarsi così di una serie di servizi “autonomi”, abitare in città vuol dire subire spesso il mondo innaturale che circonda la nostra tana o la nostra vetrina. La carenza di spazio, rende tutto più difficile.
La localizzazione della “Tana” risente sempre della “necessità di sostentamento” cioè della capacità di produrre il reddito e di poterlo spendere per acquisire quello che si desidera. In genere quindi la propria abitazione la si stabilisce in funzione della possibilità di produrre un reddito e della possibilità di avere i beni ed i servizi ritenuti necessari. Questo in zone urbanizzate vuol dire la presenza di una serie di relazioni tra servizi e attività economica, il tutto condito dalla capacità di rendere una vita ed una “Tana” secondo i propri desideri.
Credo che si possa comprendere come tutto questo non sia facile da avere. Spesso il risultato di “Buone Città” è il risultato di aggiustamenti progressivi avvenuti nel tempo. Aggiustamenti che, nelle città storiche spesso corrispondono alla molteplicità di stili architettonici e di vita che si sono integrati in un unicum, perché vissuti. Sicuramente disegni urbanistici di base illuminati possono aiutare questo processo, ma sono convito che è solo il vissuto di chi abita che riesce a trasformare un piano urbanistico in una possibilità piacevole di abitare. Così sono convito che concetti architettonici imposti possono ridurre la vitalità di un centro abitativo. Le più belle piazze d’Italia sono una accozzaglia di stili, ma spesso oggi gli “esperti” rifiutano di inquinare le tracce del passato sono il presente. Con questo non sostengo la mancanza di rispetto per quei monumenti che hanno un grande valore storico, ma se devo costruire oggi è assurdo che imiti il passato per imposizione.
Ecco che mi servo di due esempi, Zingonia e il Villaggio Crespi, per mostrare i limiti della pianificazione urbanistica.
Nel Villaggio Crespi possiamo vedere quanto sia importante la dinamicità. Qui infatti tutto è ingessato dal concetto di chi lo ha realizzato. L’economia che giustifica la localizzazione dell’abitare era la fabbrica. Morta la fabbrica non c’è più motivo per abitare. Questo era prevedibile perché i cicli industriali sono una realtà, ma non è stato fatto. A questo si aggiunge la monotonia architettonica che ha trasformato quello che doveva essere un posto appetibile quando è nato , in un museo.
Il caso di Zingonia invece, mette in rilievo la complessità odierna di realizzare grandi progetti. La complessità delle necessità pone troppi vincoli a chi si appresta a creare una nuova città. Il ruolo degli enti pubblici e delle amministrazioni, che troppo spesso non comprendono le necessità del territorio ampio in cui sono immerse, crea problemi spesso insuperabili. D’altra parte i “progettisti” possono troppo risentire di interessi particolari, nel caso di Zingonia l’interesse dell’immobiliarista.
Casi comunque simili li ritroviamo anche in situazioni più piccole, più semplici come quelle di un quartiere. Ho due esperienze a me ben note da raccontare brevemente: il quartiere dove abito io, “La Marigolda”, ed un altro che chiamerò “Zavaritt” dall’immobiliarista che lo ha realizzato. La Marigolda nasce da alcune lottizzazioni , di cui le prime non certo esemplari, ma l’ultima ha saputo ben equilibrare il territorio. Ampie strade, parcheggi, molto verde, mescolanza di tipologie abitative dalle ville lussuose di industriali, a case civili. Tutte realizzate secondo lo stile di chi ha costruito senza imposizioni. Il risultato è che si è creata una popolazione con molteplici interessi e con diverse culture. Tutto questo, nella fase iniziale ha generato una coesione sociale e l’identificazione del quartiere con la “Tana”. Nessuno di noi dice abito a Curno, ma abito alla Marigolda. Ci si sente legati e si lotta per il nostro quartiere come se si fosse una tribù di pellerossa e questo ben lo sanno le amministrazioni che non riescono ad imporci alcunché.
Al contrario il quartiere “Zavaritt”, molto bello a vedersi, ha una struttura architettonica unitaria, al punto che è facile confondersi nel cercare qualcuno, e una struttura sociale ben limitata dalla classe di reddito. Non si sono create così quelle forze vitali del quartiere, ma solo dei rapporti interpersonali tra le varie famiglie.
Credo che quando si decide di costruire la propria “Tana” in un posto si deve tener conto anche di questi meccanismi.
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