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Un esempio di “città nata e morta” in cento anni Il Villaggio Crespi Una realtà abitativa nata attorno alla “fabbrica” alla fine dell’800, secondo l’ideologia illuminata dell’industriale Crespi. Di Giovanni Gelmini
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Se vi capita di passare da Bergamo, può essere interessante visitare il “Villaggio Crespi” a Capriate San Gervasio. Il Villaggio è annunciato da un’imponete costruzione, la villa Padronale, detto anche il Castello, perché vuole riecheggiare un palazzotto medioevale, ma lo stile è della fine ‘800. Subito dopo ci si trova nella strada principale di Crespi d’Adda, un viale alberato, lungo e dritto. Il villaggio appare subito con il suo stile anglo-svizzero e si sente subito una profonda tristezza. Questa tristezza pervade tutto l’agglomerato urbano, anche se è complessivamente ben tenuto e si possono ammirare ville molto belle. Come è nato un centro abitativo di questo tipo? Leggiamo sul sito: “Fabbrica e villaggio di Crespi d'Adda furono realizzati a cavallo tra Otto e Novecento dalla famiglia di industriali cotonieri Crespi, quando in Italia nasceva l'industria moderna. Era questa l'epoca dei grandi capitani d'industria illuminati, al tempo stesso padroni e filantropi, ispirati a una dottrina sociale che li vedeva impegnati a tutelare la vita dei propri operai dentro e fuori la fabbrica, colmando in tal modo i ritardi della legislazione sociale dello Stato stesso. L'idea era di dare a tutti i dipendenti una villetta, con orto e giardino, e di fornire tutti i servizi necessari alla vita della comunità: chiesa, scuola, ospedale, dopolavoro, teatro, bagni pubblici... Nato nel 1878 sulla riva dell'Adda, in provincia di Bergamo, anche questo esperimento paternalista ebbe inesorabilmente termine - alla fine degli anni Venti - con la fuoriuscita dei suoi protagonisti e a causa dei mutamenti avvenuti nel XX secolo. Oggi il villaggio di Crespi ospita una comunità in gran parte discendente degli operai che vi hanno vissuto o lavorato; e la fabbrica stessa è rimasta in funzione fino al 2004, sempre nel settore tessile cotoniero.” Questa è la sintesi che però dà un’idea precisa di quanto Cristoforo Benigno Crespi nel 1878 decise di realizzare quando intraprese lì la sua quarta unità produttiva tessile. Con lo stabilimento pensò anche di costruire tutto quello che poteva essere necessario ai suoi operai e alle loro famiglie. Si tratta quindi di un’idea unitaria che applica in modo preciso gli ideali di un industriale illuminato. Il progetto si sviluppa in modo organico e secondo uno schema architettonico unico anche se in vari tempi. L’idea di base resta comunque che il villaggio doveva offrire una vita agevole e di buon livello a tutti: dagli operai ai dirigenti. Alla fabbrica si affiancano subito le prime unità abitative, case condominiali (i palasocc) che il Crespi aveva fatto costruire per alloggiare la manodopera specializzata, che aveva fatto trasferire dagli altri suoi stabilimenti. Nei tempi successivi il sistema si amplia e diventa più complesso. Le case operaie non sono più dei palazzoni, ma delle ville bifamiliari; si costruiscono la chiesa (imponente su imitazione di quella di Busto Arsizio, città di origine dei Crespi) la scuola, con funzioni anche di asilo e centro culturale. Nel quadro finale, realizzato all’inizio del ‘900 troviamo praticamente tutto. Oltre alla chiesa e alla scuola, un piccolo ospedale, lo spaccio, il dopolavoro, una piscina coperta con docce, i campi sportivi, un albergo e perfino il cimitero. Il “villaggio” è all’avanguardia per quel tempo. È infatti collegato direttamente a Milano con una linea telefonica ed è il primo “paese” in Italia ad essere dotato di illuminazione pubblica con il sistema moderno. La sua struttura risente però di due difetti: uno sociologico, dominante all’epoca e forse ancora adesso, la divisione in “caste”, l’altro è la sua economia legata alla fabbrica. La prima è evidente nella stessa struttura abitativa. Il villaggio è suddiviso in “zone” ben identificate: la villa-castello del padrone, il centro “sociale”, le case dei notabili (il medico e il prete), le case operaie e il quartiere dei capi ufficio e infine le ville dei dirigenti. Qui non vi è sfruttamento, infatti tutte le case sono ottime. Leggiamo la descrizione delle casa operaia: “Le case, costruite su due piani erano composte da otto grandi stanze, quattro per piano. I servizi igienici erano posti all'esterno del fabbricati ed erano dotati di una turca e di un lavandino. Tutt'intorno alle casette vi erano gli orti e i giardini che gli operai coltivavano nel tempo libero. Le case venivano assegnate agli operai con un contratto di affitto molto equo, paragonabile a un terzo di quello che pagavano gli inquilini delle case dei paesi vicini. Al termine del rapporto di lavoro gli inquilini avrebbero dovuto lasciar libero l'appartamento, ma ciò non si è mai verificato perché le famiglie avevano sempre anche solo un membro dipendente della ditta Crespi.” Si tratta per l’epoca in effetti di case “di lusso” per lavoratori, ben diverse dalle case di ringhiera che troviamo in altri posti, con i servizi in comune sul ballatoio. Ma la separazione è drastica e ben legata ai concetti sociali dell’epoca. L’altro problema, quello della monotonia economica, è però forse il vero problema che ha fatto morire il Villaggio Crespi. È un problema grosso, ma piuttosto ignorato dagli studiosi dell’economia territoriale, anzi direi proprio quasi sconosciuto, al punto che negli ultimi decenni, e ancora oggi, si continua ad insistere sul concetto di distretto industriale legato ad una tipologia di produzione. Si parla di “distretto tessile, ma addirittura dei “bottoni” della “seta” o delle “sedie”. Queste sono aberrazioni che qui ben mostrano il loro limite. Il villaggio nasce, cresce e muore attorno alla sua fabbrica. Oggi la fabbrica è chiusa definitivamente e il villaggio è ormai senza proiezione di vita come la fabbrica. Credo che la “profonda tristezza” che trasmette questo luogo sia proprio legato alla sua mancanza di vita interiore. La rigidità della struttura urbanistica, sociale e economica, ha negato le possibilità di vitalità. Tutto è bello e perfetto, ma non è vivo, forse la cosa più viva che c’è è il lavatoio diroccato, invaso dalla erbacce, che però contiene la vita esuberante della natura. Resta comunque un qualche cosa che tutti noi dovremmo vedere con attenzione per meglio capirci. Note: I Crespi sono una importante famiglia di industriali italiana, hanno fondato il Corriere della Sera e ne hanno detenuto la proprietà fino a pochi decenni fa. Il villaggio Crespi è stato inserito nel dicembre del 1995 nella Lista del Patrimonio Mondiale Protetto in quanto "Esempio eccezionale del fenomeno dei villaggi operai, il più completo e meglio conservato del Sud Europa". Il villaggio di Crespi è, nella lista dell'Unesco, il quinto sito al mondo legato al tema della storia dell'industria. Crespi d'Adda ha soddisfatto due tra i criteri stabiliti per l'inclusione nella lista: - Offrire esempio eminente di un tipo di costruzione o di complesso architettonico o di paesaggio che illustri un periodo significativo della storia umana. - Costituire esempio eminente di insediamento umano rappresentativo di una cultura, soprattutto quando esso diviene vulnerabile per effetto di mutazioni irreversibili. Per ulteriori informazioni: http://www.villaggiocrespi.it/ Argomenti: #abitare , #architettura , #bergamo , #crespi d'adda , #industria , #lombardia , #storia Leggi tutti gli articoli di Giovanni Gelmini (n° articoli 506) il caricamento della pagina potrebbe impiegare tempo |
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