La seconda metà del XX secolo è stata battezzata come “l’era della plastica”. Il grosso boom è stato nel ventennio 60-80, poi di nuovi prodotti di largo consumo se ne sono visti pochi mentre è continuata a crescere la produzione per via dell’ingresso, prima come potenziali fornitori poi come aggressivi produttori del Far-East e in particolare la Cina, come, purtroppo, tutti noi sappiamo.
E in questo numero in cui si parla di sviluppo e dei sui limiti chiaramente la plastica risulta uno degli attori più importanti del processo evolutivo industriale e nel contempo del problema del recupero e del riutilizzo..
Ma andiamo con ordine.
Negli anni di grande sviluppo delle materie plastiche sono state combattute parecchie battaglie da varie Organizzazioni ecologiche contro questo materiale sintetico che ogni giorno di più entrava nella nostra vita. Campagne perse in partenza, ma capaci di creare scompiglio e crisi nei settori che di volta in volta venivano toccati da questi attacchi denigratori.
Una per tutte quella dei sacchetti di plastica.
Dopo che un cetaceo era stato trovato spiaggiato, morto, e gli avevano trovato in gola un grosso sacchetto di plastica che gli avrebbe procurato soffocamento, l’opinione pubblica si era lasciata abbindolare da una campagna diffamatoria contro la plastica e arrivarono le famose 100 lire di costo del sacchetto del supermercato (a quei tempi una cifra considerevole). Tutto poi lentamente rientrò ma in quel periodo furono molte le dittarelle che producevano quei sacchetti a soffrire parecchio e le meno forti furono costrette a chiudere i battenti. Poi tutto tornò come sta adesso e i sacchetti restano al loro posto, forniti gratuitamente o con costi comunque irrisori.
I responsabili del settore industriale plastico corsero ai ripari e prepararono uno spot pubblicitario di notevole forza e strutturalmente ben congeniato.
Un intervistatore di una televisione entrava in un ufficio qualsiasi per un inchiesta e chiedeva a freddo a uno degli impiegati: “Cosa ne pensa lei della plastica?”. La risposta era ovviamente negativa: ”La plastica inquina, crea sporcizia nelle strade, eccetera, eccetera”. Mentre l’intervistato elencava gli inconvenienti della plastica, della quale aveva ovviamente solo vaghe idee, tutti gli oggetti di plastica dell’ufficio a poco a poco sparivano. Alla fine restò dietro di lui un ufficio nudo e arredato solo da scheletri di metallo che a malapena ti permettevano di riconoscere che quello era stato un ufficio.
Stessa scena in una cucina di una casa. Stessa domanda e risposta critica della massaia. La sparizione degli oggetti di plastica rendeva la cucina simile a un rudere dopo un bombardamento.
Questa è la dimostrazione di come noi ci lasciamo spesso trascinare da spinte emozionali forti e che hanno un fondo di ragione a livello di idea generale ma che sono totalmente slegate da una realtà quotidiana che ormai fa parte della nostra civiltà e cultura, anche se noi non ce ne accorgiamo nemmeno.
In tutto quel bla-bla-bla ci si era dimenticati che se i sacchetti di plastica fossero tornati di carta, i danni che si sarebbero fatti alle foreste, già troppo depauperate di alberi, sarebbero stati disastrosi!!!!
Altro esempio, molto più recente, riguarda un’esperienza personale. Alcuni anni fa, sotto Natale, un rappresentante di Green Peace, intervistato alla radio parlava dei danni che provocano i giocattoli morbidi a base di PVC, che sono la base dei pupazzetti che i bambini di età inferiore all’anno si trovano spesso a mettere in bocca. Era una accusa pesantissima contro le industrie “criminali” accusate, per la propria sete di guadagno, di mettere a repentaglio la salute dei bambini.
Il vero problema non riguardava di per sé il PVC ma i plastificanti (in genere ftalati) che venivano inseriti nel PVC per renderlo morbido.
Non vi dico il putiferio di telefonate di mamme allarmate che chiedevano se era davvero pericoloso far giocare i propri figli di tenera età con quei "velenosissimi" balocchi.
Naturalmente nel contraddittorio erano quelli di Green Peace a sostenere l'accusa e si sa che quando si mettono certe pulci nelle orecchie la risposta dell'utenza non può che essere allarmata. Chi è che non tiene alla salute dei propri figli?
Guarda caso, io, che stavo sentendo la trasmissione in macchina, avevo appena assistito a una giornata tecnologica sulle plastiche per uso biomedico e anche lì, nella presentazione dei prodotti sterilizzabili per medicina c’era stata una discussione sulla possibile tossicità dei tubi di PVC plastificato.
La risposta è stata che innanzi tutto il PVC era il più adatto allo scopo per le sue caratteristiche globali - compresa la facilità di sterilizzazione - e poi che si usavamo solo plastificanti approvati da tutte le legislature del mondo e che non avevano fatto riscontrare - nelle concentrazioni di rilascio - pericolosità alcuna.
Quindi se le legislazioni severe sui prodotti per uso medicale permettevano di usare tubi di PVC plastificato sterilizzati per la circolazione extracorporea del sangue nelle macchine cuore-polmone, che danno avrebbero potuto fare se un bimbo per qualche minuto se le fosse messe in bocca?
Conoscendo come stanno realmente i fatti, ecco che non ci si meraviglia più!
Del resto chi di noi si mette a sindacare su quei polimeri usati in farmacia, polimeri che incapsulano o micro-incapsulano i medicinali per farli passare inalterati nello stomaco: dobbiamo fidarci delle regole vigenti, anche se, proprio perché addetti ai lavori, sappiamo che qualche volta qualcuno cerca di fare il furbo.
Parliamoci poi chiaro. Magari qualcuna delle mamme che ha telefonato spaventata per i possibili effetti del PVC non si preoccupa minimamente, perché nessuno glielo ha fatto osservare, di quali materiali sono fatti i biberon, le tettarelle e non si preoccupa nemmeno che il bimbo metta in bocca giocattoli che hanno rotolato a lungo sul pavimento raccattando microbi, polveri di chissà che e tante altre porcherie. Allora non era il caso di creare delle psicosi proprio nei periodi adatti con grave danno alle industrie produttrici.
Prudenza sì, demagogia no!
Ma torniamo ai nostri sacchetti della spesa. Negli anni ’70 si è lavorato parecchio per ottenere plastiche UV-degradabili inserendo in catena gruppi chimici capaci di spezzarsi dopo un certo tempo di esposizione alla luce. A parte l’inconveniente del sacchetto riutilizzato che una bella mattina si lascia andare rovesciando sul pavimento o per strada la merce contenuta, ma i dubbi maggiori erano sulla reale possibilità dei microrganismi di assorbire e degradare le restanti corte catene di polimero. Dopo tanto studiare non se ne fece nulla!
Adesso sono di moda le plastiche bio-degradabili e se ne stanno studiando di tutti i tipi. Tra questi cito l’acido lattico dal quale si ottengono i polilattati utilizzati per far fibre.
Molto bene! Continuiamo a ricercare materiale biodegradabile ma ricordiamoci di non depauperare l’ambiente di sostanze vitali.
Un altro esempio di ignoranza del problema ve lo porto ancora da una mia esperienza. Un giorno mi trovavo seduto a tavola di fronte al titolare di una famosa produttrice di acque minerali orobica, in occasione della sponsorizzazione di una squadra di basket. Era tutto orgoglioso del fatto che la scelta della sua società era quella di tenere le bottiglie di vetro invece che di plastica. Io gli chiesi il perché di quella scelta.
“Per una scelta ecologica ben precisa” rispose orgogliosamente.
“Ma ne è sicuro?” gli chiesi.
Vista la mia domanda mirata capì che doveva stare sulle difensive.
Gli spiegai che fossi stato in lui non sarei stato così sicuro e gliene spiegai il perché.
Innanzitutto il calore speso per lavorare una bottiglia di vetro era nettamente superiore a quello necessario a stampare la plastica, quindi energia termica, elettrica in più. Poi c’era da aggiungere nel conto il maggior consumo di carburante per il trasporto di vetro assai più pesante della plastica. Infine c’era il consumo del carburante per il trasporto delle bottiglie vuote. Infine la domanda più cattiva. Lei come le lava le bottiglie. “Con detersivi”. “Quelli dove vanno a finire?”. Negli scarichi e quindi nei fiumi.
“E’ ancora così sicuro di aver fatto una scelta ecologica?”.
Mi guardò piuttosto male e balbettò qualcosa relativo all’immagine al marketing e alla convinzione generale che il vetro fosse meglio ........ e il discorso cadde lì.
Concludendo, posso dire che la plastica, proprio perché non è degradabile e resiste quasi inalterata per decine e decine di anni, sporca .... ma non inquina!
Una buona educazione del cittadino, una raccolta differenziata e degli inceneritori di nuova generazione non solo consentono di eliminare il problema ma aiutano a ricavare energia da fonti disponibili a costi bassissimi. La plastica ci fornisce, , parte del calore che né stato necessario consumare per sintetizzarla da materie prime petrolifere. E non mi sembra poco!
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