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 Anno I n° 10 del 10/11/2005    -   LENTE DI INGRADIMENTO


La megamacchina e gli intelletuali
Come la cultura contemporanea può essere un modo di resistere alla Megamacchina

Di Concetta Bonini


Nel suo articolo di commento alla filosofia politica di Serge Latousche, Giovanni Gelmini ha già chiarito il concetto di megamacchina e i suoi effetti nel mondo moderno, mettendo in evidenza tutti i limiti dello sviluppo di una società globale esclusivamente tecnologica ed economica nel pieno della sua terza rivoluzione industriale. Niente serve meglio a comprendere il complesso di effetti infernali di questo sistema, quanto la semplice definizione di “macchina che sfugge al controllo di coloro che l’hanno concepita e costruita”. L’abbiamo costruita e ora la subiamo, perché costruendola ci siamo privati di quegli strumenti che ci sarebbero stati necessari a controllarla: la nostra ragione, il nostro pensiero, la nostra cultura, la nostra identità. La letteratura è indubbiamente una delle cartine al tornasole più immediatamente e vivacemente reattive ai mutamenti sociali e politici di ogni tempo e anche in questo caso si dimostra un'ottima lente di ingrandimento della società.

Già dalla prima rivoluzione industriale, la spersonalizzazione del lavoro sostituì l’intelligenza creativa con la produzione di un solo pezzo di un sistema assemblato, rendendo a sua volta l’uomo un solo pezzo di una megamacchina. Questo portò alla graduale creazione di una società omologata, omogeneizzata, massificata, oltre ad indurre nell’uomo che si accingeva a diventare moderno un sano e saggio timore nei confronti della natura che veniva deturpata in nome degli sconsiderati interessi della macchina. Il dissidio storico ed ontologico del mondo intellettuale, nato allora dalla coscienza che si stavano scindendo anima e mercato, diede vita ai fenomeni romantici e al dualismo tra il fascino per una scienza che appariva infallibile, capace di conoscere l’inconoscibile, di dominare l’indominabile, e il timore per i mostri del progresso, per i limiti dello sviluppo.

E’ chiaro dunque il passaggio da una cultura umanistica, che aveva reso l’uomo soggetto creatore di una macchina al servizio del suo benessere, ad una cultura tecnica che lo riduce invece ad ingranaggio della stessa megamacchina, privo degli strumenti per dominarla, e lo costringe quindi a subirla. La megamacchina ci ha esaltati al tal punto da portarci a considerare il pensiero come un optional.

Quando Blaise Pascal ed Immanuel Kant ammonivano che l’uomo poteva aspirare alla grandezza solo con lo strumento del suo pensiero, probabilmente non immaginavano che lo avremmo venduto per rincorrere una grandezza che non può esistere. Il pensiero, la ragione, è l’unico collante possibile tra noi stessi e la macchina che abbiamo creato: solo attraverso il pensiero possiamo acquisire la capacità di considerare la megamacchina nient’altro che uno strumento per il nostro benessere e non il potere automatico al quale consegnare la rapidità della nostra autodistruzione. Gli intellettuali, a parte qualche corrente positivistica, si sono per questo arrogati il dovere di educare la società a pensare e a capire che il progresso senza controllo è una menzogna.

Oggi progresso vuol dire economia, tecnologia, globalizzazione. Oggi progresso vuol dire produrre e consumare. Questo perché siamo una società di drogati e siamo drogati perché siamo schiavi, siamo schiavi perché siamo ignoranti e siamo ignoranti perché non sappiamo pensare. Non sappiamo da dove veniamo, qual è la nostra identità fuor dalla macchina e quindi non sappiamo dove andiamo ovvero perché abbiamo creato questa macchina, qual era il nostro scopo. Il nostro essere soggetto morale, la capacità di discernere cosa mettere in gioco e cosa no, cosa distruggere e cosa conservare, cosa considerare giusto e cosa condannare come ingiusto, la nostra capacità insomma di assumerci la responsabilità di scegliere chi essere, cosa essere, in quale mondo vivere, non esiste quasi più. E come possiamo sperare di non essere deboli tanto da farci schiacciare dagli altri ingranaggi, se non siamo consapevoli della nostra condizione, se non abbiamo valori che costituiscano la nostra corazza, se non abbiamo un pensiero da opporre, se non abbiamo una cultura che ci difende?

Vogliamo guardare cos’è la cultura oggi? Vogliamo leggere i movimenti letterari di oggi?

Bisognerebbe intanto chiedersi se esistono. Un movimento per ogni riferimento, un riferimento per ogni autore: un policentrismo parallelo alla varietà di centri di valori, per chi ancora li sa pensare o non-pensare. Ma ci sono segnali eloquenti: letteratura non è impegno politico, non è denuncia sociale, non è capacità di possedere le redini del mondo e il controllo degli uomini, non è saper tirare le fila della storia e offrire all’uomo l’occasione per guardare se stesso dentro la megamacchina che non gli appartiene più.
Letteratura è evasione. Leggiamo romanzi che ci raccontano l’esasperazione della nostra degradazione o l’illusione della nostra salvezza. Leggiamo romanzi in cui trovare un’umanità fittizia che ci risarcisca della disumanità della macchina. Leggiamo storie d’amore che ci nascondano l’egoismo. Leggiamo thriller che ci distraggano dalla noia, dall’assenza di emozioni. Leggiamo gialli ed horror che nel confronto ci rendano meno amara l’esistenza. Leggiamo fantasy che ci facciano interessare ad un mondo diversoOppure leggiamo Jonathan Livingston, se abbiamo ancora nostalgia dell’anima, per imparare a sognare di poter volare, per inventarci un progetto da opporre alla mancanza di un senso che altrimenti non sapremmo pensare. Questo ovviamente nella più ottimistica delle ipotesi, ovvero quando leggiamo. Altrimenti restiamo a passare una vita in stand-by davanti alla televisione, che ci fa guardare quello che siamo anche se crediamo di essere meno peggio: e se la tv oggi è solo spazzatura (ed è così!) questo è già un indicatore più che sufficiente a dimostrarci cosa stiamo diventando. Passivi, incapaci di reagire, incapaci di creare, incapaci di istinto tanto quanto di ragione. Tanto c’è la megamacchina che fa tutto per noi, decide come dobbiamo apparire ovvero essere, decide come dobbiamo vestirci, cosa dobbiamo mangiare, che lavoro dobbiamo fare e a quale verità dobbiamo credere. Il resto non ci interessa conoscerlo, capirlo, dominarlo.



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