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Alla faccia dell’underground…! Gli Afterhours lanciano la versione inglese di “Ballate per piccole iene” in Europa. Di Paolo Russu
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Anche le piccole iene hanno bisogno di sonorità nelle quali rispecchiarsi, e Manuel Agnelli e gli Afterhours hanno rimediato all’incirca sei mesi fa, facendo uscire il loro ultimo album “Ballate per piccole iene” (Mescal/Sony, 2005). Il fatto non è da poco, la band indipendente più rappresentativa per la scena underground (e ormai non solo) del rock italiano ha dato vita ad un’ opera di ampio respiro, sia per l’importante collaborazione con Greg Dulli (Twilight Singers) sia per la scelta di far uscire, proprio in questi giorni, “Ballads for little hyenas”, ovvero la versione inglese del nuovo album distribuito in tutta Europa.
Deve produrre un fastidioso prurito alle orecchie sentire che un album prodotto dal cosiddetto sottobosco dell’underground italiano girerà i ben forniti scaffali musicali europei, eppure la sensazione è passeggera, perché ormai da parecchi anni gli Afterhours sono abilmente in bilico tra concerti massificati (da stima della questura sui metri quadri occupati per intenderci) e momenti più di nicchia per i veri amanti del genere. Tutto questo lasciava quindi presagire l’atteso sbarco europeo, ma la conferma non fa altro che far suonare meglio un album che già nasce con tutte le carte in regola. A partire da “Ballata per la mia piccola iena”, il primo singolo in un certo senso portavoce dell’album, si intuisce come le ballate proposte da Manuel Agnelli e soci siano ben lontane da un senso accomodante e rassicurante, ma bensì tese a un ossessività introspettiva e a tratti lancinante. Sembrano essere lontani i tempi di “Dea” e “Germi” dove gli Afterhours sferzavano l’aria che li circondava con un rock acido e irriverente, arrivando a comporre quella che molti considerano l’unica vera canzone rock scritta in Italia, ovvero “Male di miele”. Con questo ultimo lavoro i suoni si fanno rotondi e perfetti, velati da quel tanto di minimalismo che basta (“Male in polvere”, “Il compleanno di Andrea”) oppure arricchiti di violenza claustrofobica (“Il sangue di Giuda”, “E’ la fine la più importante”). Con “Ci sono molti modi” raggiungono probabilmente il trait d’unuion che racchiude la filosofia — se così si può chiamare — Afterhours: scendere fino alle viscere dell’ascoltatore per poi risalire velocemente all’indietro con effetto bungee jumping (effetto descritto in maniera sublime nell’omonima canzone del precedente album “Quello che non c’è”). Non resta che attendere il responso d’oltre confine per un album già ampiamente suonato ed apprezzato in Italia, spesse volte nell’ambito di quel “Tora!Tora! Festival” vera fucina della musica indipendente italiana, partorito e portato avanti con molte fatiche proprio dal Ministro della Musica (così è stato ribattezzato) Manuel Agnelli: la sua speranza e quella di tutti è che da manifestazioni di questo tipo emergano le nuove leve che andranno a raccontare in giro per l’Europa che in Italia ci si è finalmente svegliati, trovando al posto del mandolino una chitarra elettrica. Il sito ufficiale www.afterhours.it Argomenti: #afterhours , #musica , #musica contemporanea , #recensione Leggi tutti gli articoli di Paolo Russu (n° articoli 16) |
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