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Non è fantascienza, ma lo sembra

La ‘Megamacchina’ esiste davvero?

Latouche ne fa il centro di un suo libro. La megamacchina infernale è lo sviluppo tecno-economico che oggi monopolizza tutte le espressioni compreso il politico ed il sociale. Questo mette in evidenza i “limiti dello sviluppo” oggi

Di Giovanni Gelmini

Chi non ricorda Charlie Chaplin preso negli ingranaggi della macchina in “Tempi Moderni”? Chi qualche volta nella sua vita non si è sentito come lui?

Quando ho letto il primo capitolo della “La Megamacchina” di Serge Latouche, ho visto che quanto diceva corrispondeva in buona parte a quello che avevo già avuto modo di rilevare nella mia attività di economista e di teorico della “innovazione”, che insegna Schumpeter e Leontieff e la “turbolenza ambientale” come approcci per comprendere le linee evolutive del nostro tempo e capire come comportarsi nelle scelte di innovazione all’interno dell’azienda. Nella sua macchina infernale ritrovo le angosce di 42 anni di lavoro.

Ma cosa è la Megamacchina? L’organizzazione sociale è la “macchina” piu potente che muove tutto; quando queste macchine vengono a coinvolgere completamente gli elementi della società diventano una “megamacchina”. Alcuni esempi di megamacchine le abbiamo viste nel passato, dalla “Falange Macedone” al Nazismo e al Fordismo, ma queste megamacchine, cioè di organizzazioni sociali che coinvolgono la singola persona, riducendone la capacità di incidere sulla realtà che la circonda, hanno avuto carattere locale e sono state superate, più o meno violentemente. Oggi però ci troviamo di fronte ad una forma che per le sue dimensioni e per una serie di caratteristiche sembrerebbe essere “completa” , cioè in grado di mantenersi in vita e migliorarsi.

Secondo Latouche questa sua caratteristica è legata alla cultura dominante in cui si considera la Tecnica e l’ Economia come indipendenti dall’etica. La modernità ha posto questa base culturale di indipendenza, ma la sua affermazione definitiva è diventata evidente con la globalizzazione. Man mano che l’importanza delle singole nazioni è scemata, la forza della economia, come elemento di condizionamento mondiale, si è affermata. Ma la forza dell’economia si misura con la capacità di produrre reddito; da ciò la tensione verso un miglioramento tecnologico per innalzare la produttività (quella che si chiama anche la terza rivoluzione industriale e quello che si identifica come passaggio dalla quantità alla qualità). Le dinamiche di questa evoluzione sono trasnazionali e i singoli governi non sono in grado di gestirle. La telecittà e il villaggio globale sfuggono al controllo dei governi.

Questo secondo Latouche ha riportato la conflittualità da “tra le nazioni” nuovamente al conflitto privato, all’affermarsi del feudatario, come si è verificato in Libano, nella ex Iugoslavia e questo caos distrugge completamente la possibilità di esistenza degli Stati.
L’economia e la tecnologia sono trasnazionali e questo comporta che le imprese non producono più per il mercato domestico, ma per il mercato globale e il libero scambio diventa la nuova legge mondiale a cui gli stati e i cittadini devono ubbidire.

Ecco che il politico e il sociale non restano al di fuori della megamacchina e non conservano la loro autonomia, anzi l’automazione dell’evoluzione della tecnica e dell’economia incorpora anche il politico e il sociale. La volontà degli uomini è piegata alla imperiosità delle esigenze del tecnologico e dell’economia, i loro desideri sono piegati dalla forza dell’economia. I cittadini diventano utenti, consumatori che sono condizionati dalle immagini della pubblicità diretta e indiretta e rispondono alle sollecitazioni della “produzione”; così i produttori reagiscono cercando di anticipare il mercato e la concorrenza di inventare nuovi “bisogni” dei consumatori a cui dare soddisfazione. Gli ingegneri migliorano e inventano sempre nuove tecniche per meglio rispondere alle richieste dei produttori. Oltre al continuo aumento della velocità di questa macchina, devo segnalare, come già detto in altri articoli, che la velocità di sviluppo delle tecnologie è una funzione esponenziale della concentrazione di ricercatori e delle conoscenze disponibili; questo comporta che i paesi che investono molto in ricerca (in genere i paesi più ricchi) vedono la loro economia diventare sempre più opulenta, e la distanza con i paesi poveri diventa sempre più grande.

Latouche afferma che “la dimensione del gioco politico non è più il saper fare ma il far sapere” ma identifico in ciò anche l’etica della vita in cui vedo che l’apparire è sempre piu considerato l’obiettivo della vita anziché l’essere.
In definitiva la mondializzazione della vita rende sempre più obsolete le regole nazionali e sempre di più si sente l’esigenza di regole mondiali.

A questo punto Latouche afferma che questa macchina è infernale secondo la definizione di “macchina che sfugge al controllo di coloro che l’hanno concepita e costruita”. È evidente che la macchina sociale in cui viviamo non è più sotto il controllo di nessuno. Essa è sfuggita al controllo politico, porta in un vicolo cieco e genera ingiustizia. Abbiamo già visto come i governi nazionali non siano più in grado di contrastare l’evoluzione della macchina, anzi sono costretti ad assecondare il percorso della macchina. Ma perché ci conduce in un vicolo cieco? Perché le risorse sono limitate e questo non permetterà lo sviluppo continuo delle produzioni di beni, come aveva già individuato lo studio del MIT, e non solo questo come vedremo.

Infine l’ingiustizia: la macchina accumula le ricchezze nelle mani di pochi e genera un gran numero di “esclusi”, non di ritardatari, ma di persone che non potranno mai raggiungere il piccolo gruppo che riceve i benefici della macchina.

Queste conclusioni di Latouche possono sembrare eccessive, forse demagogiche, ma vediamo il resto del ragionamento.
Il secondo punto che Latouche mette in evidenza è che la macchina produce la distruzione del legame sociale e questo è , a mio avviso, il vero limite del sistema attuale di rincorsa tecnicistica della società dei consumi oltre all’accumulo degli errori materiali effettuati sul territorio: inquinamento, distruzione dell’ecosistema.

Latouche individua come distruzione del legame sociale tre elementi: l’uniformazione, lo sradicamento e la distruzione del politico.

L’uniformazione, che ha ampiamente trattato in altri libri, la definisce come “l’occidentalizzazione del mondo”, cioè la megamacchina tecnoscientifica “scaccia le culture, appiattisce le differenze e omogeneizza il mondo in nome della Ragione. Uno degli effetti è la “perdita dei riferimenti morali sostituiti dalle mode e dei sondaggi”. Questo è il risultato della Modernità: l’uomo identico che veste jeans, beve Coca Cola e parla il Newspeack. Gli avvenimenti culturali sono “mondiali”. Ma anche egli rileva che “più gli uomini si assomigliano, più si manifestano gli odi e più persistono le differenze in seno all’identità. Quindi aumenta l’instabilità del sistema con il ritorno al feudalesimo e alla spaccatura in “micro” che contraddice la mondializzazione. Ecco un “limite allo sviluppo” che è di carattere sociale: l’aumento della conflittualità personale.

Lo sradicamento si manifesta con la perdita delle identità culturali e nello stesso tempo la certezza di non poter accedere al “livello di vita americano”, cioè la perdita dei modelli di riferimento storici della popolazione e nello stesso tempo il sentirsi esclusi dal modello dominante. Questa situazione risulta frustrante e genera una fortissima conflittualità; Latouche porta ad esempio la conflittualità balcanica, ma io mi sento di aggiungere senza dubbi gli esempi di radicamento dell’integralismo islamico negli strati di immigrati della seconda generazione e di adesione al terrorismo che i recenti attentati di Londra hanno messo in luce e che vengono ad essere un substrato vitale per il terrorismo attuale. Altro “limite allo sviluppo” di notevole importanza.

Latouche prosegue nella sua analisi sullo sradicamento mettendo in evidenza che la mondializzazione distrugge lo status dei popoli attuale e genera una rivendicazione nazionalistica particolaristica che porta a stati fantoccio retti dal fanatismo. L’individualismo esasperato porta alla micronizzazione degli Stati e ad una forte instabilità politica e questo viene ad essere un altro “limite allo sviluppo”. La Megamacchina per procedere ha bisogno del “libero scambio” e la conflittualità esasperata riduce ampiamente la possibilità di libero scambio.

Infine troviamo la distruzione del politico come conseguenza del funzionamento della Megamacchina. Questo viene diviso in due sotto casi: la spoliazione produttiva e l’assenza di desiderio di cittadinanza.

La spoliazione produttiva è un passaggio filosofico sulla condizione umana nella struttura civile creata dalla Megamacchina. Se l’industrializzazione ha creato quello che Marx ha chiamato il proletariato, la megamacchina toglie ulteriori libertà all’uomo inserito nel meccanismo produttivo mondializzato. Prima tra tutti l’identificazione con l’impresa invece che con la città, come già avviene in Giappone e poi l’organizzazione delle imprese giganti impone all’interno delle stesse e in quelle dei fornitori organizzazioni rigide in cui la persona diventa un semplice esecutore non pensante. Un esempio può essere il cosiddetto “sistema della qualità” che da sempre sostengo che di qualità non ha nulla e che è una semplice burocratizzazione delle procedure aziendali, spesso dannosa e inutile, ma che è stata imposta e sbandierata come un’arma vincente per la competitività. Secondo Latouche il cittadino così spogliato della sua /i>cittadinanza si trova nelle condizioni di elettore manipolato e non è più in grado di esercitare la funzione politica.

Infine l’assenza di desiderio di cittadinanza viene spiegato come il fenomeno per cui l’uomo dopo essere stato stressato dalla megamacchina sul luogo di lavoro, al rientro a casa, viene stressato dalla stessa con i problemi domestici: far quadrare il bilancio familiare, gli studi dei figli, reggere in definitiva la competizione imposta dalla tensione all’apparire, introdotta dalla megamacchina come essenza della vita. A questo punto in quel poco di tempo che resta libero l’uomo preferisce alienarsi nella televisione dei giochi, dei realty-show, che nell’impegno politico e si allinea alla posizione dominante trasmessa dagli spot. Così la Democrazia perde la molla più importante per la sua esistenza: la partecipazione attiva e critica. Il politico viene portato ad eseguire pedissequamente le indicazioni della Megamacchina che però, avendo la caratteristica infernale, fa sempre più avanzare nel vicolo cieco e non produce benessere.

Il quadro così delineato sarebbe di grande sconforto, ma Latouche stesso. al termine del capitolo. invita a non dare una lettura pessimistica ed afferma “il peggio non è sempre necessario”. I limiti allo sviluppo impliciti nelle varie analisi proposte tendono a fermare la stessa macchina, e se ci si rende conto di questi errori collettivi, si può fermare la macchina prima che i danni siano irreparabili.

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