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Lo Zibaldone L'Onda Perfetta di Sergio Bambarén Lo scrittore scade drammaticamente nella banalità e nella retorica densa di luoghi comuni scopiazzando dalla letteratura new age Di Concetta Bonini
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Abbiamo parlato molto di Sergio Bambarén ultimamente, con la recensione de “Il delfino” e quella di “Vela Bianca”. Non ci resta che occuparci dell’episodio intermedio della trilogia, ovvero “L’onda perfetta” dopo di che sarà il caso di lasciarlo cadere nel silenzio, se non altro perché sarebbe assolutamente necessario comunicare a Bambarén che quando una vena letteraria si esaurisce non ha alcun senso ostinarsi a forzarla sfornando testi di livello talmente mediocre da risultare preoccupante nell’editoria contemporanea.
“Il delfino”, va ammesso, aveva il sapore di una favola da vagheggiare, di un sogno da inseguire, di una rilettura dell’esistenza in chiave spirituale con una tensione quasi romantica. Lì erano già chiare reminescenze di altre letture: avevamo citato il Jonathan Livingston di Richard Bach ma è chiaro che non si distanzia nemmeno dall’Alchimista e dagli altri personaggi mitici di Paulo Coelho, né da moltissime altre tendenze new age della letteratura mondiale. Eppure c’era qualcosa di buono, c’era un messaggio da cogliere, una riflessione da trarre e da portare avanti individualmente. Poi, il nulla. “L’onda perfetta” scade drammaticamente nella banalità, nella retorica densa di luoghi comuni sulla scia della vita intesa come bicchiere mezzo pieno piuttosto che mezzo vuoto e di presunte perle di saggezza come “il tuo cuore è un gabbiano che vola libero nei cieli della vita, lascialo andare senza paura, ti saprà condurre alla felicità”, oppure “la felicità, come la purezza interiore, non ha prezzo, ma una sola casa: il tuo cuore”, oppure ancora “finché ascolti il tuo cuore e fai di tutto per essere felice, sei tu a condurre il gioco con le regole che tu stesso ti sei dato” per finire in “credi alla forza dei tuoi sogni e loro diventeranno realtà”. A questo si aggiungono sentenze come “se vuoi essere felice ascolta il tuo cuore, perché esso racchiude tutte le risposte che cerchi” di palese derivazione coelhiana, in brutta copia, s’intende. Ne viene fuori una sola conclusione: il bisogno di spiritualità che attraversa il nostro tempo è la spia di una crisi valoriale autentica a cui nel mondo occidentale le religioni non sanno più dare risposta. Non si tratta infatti nella maggior parte dei casi di una spiritualità che si muove verticalmente e trascendentalmente, ma piuttosto di una spiritualità completamente spostata nella dimensione immanente, individualistica e talvolta addirittura egoistica. Non poteva essere altrimenti se è vero com’è vero che la letteratura è lo specchio dei tempi: in una società che ha come unici punti di riferimento le leggi schiaccianti del sistema e che nei suoi pochi spazi squisitamente individuali lascia solo il tempo proprio dell’individualismo egoista, non poteva che emergere questo bisogno profondo di autenticità. Non siamo soddisfatti, non siamo felici, abbiamo perso il sublime contatto con la nostra parte istintuale e via di questo passo. Ed allora è normale che vengano fuori questi guru che pretendono di insegnarci a vivere, di indicarci la strada per la felicità. Ma, parliamoci chiaro, siamo tutti perfettamente consapevoli di essere infelici e di non poter trovare la felicità esclusivamente nel lavoro, nei soldi, nel potere. Solo che sappiamo anche con altrettanta consapevolezza che non esiste la password della vita, non esiste la formula della felicità o comunque nessuno di noi può arrogarsi la pretesa di possederla. Sappiamo con precisa consapevolezza che è importante inseguire i sogni e non perderli per strada, che è indiscutibile la necessità di lasciarsi muovere da un ideale più alto di noi perché forse, in qualche modo, la storia ed in particolare la “leggenda personale” di ognuno si fanno anche con le utopie -è questo il senso de “Il delfino”- ma sappiamo anche molto bene che dire ad un bambino che basta credere ai propri sogni affinché diventino realtà equivale a raccontargli la stessa menzogna di Babbo Natale con cui la vita lo deluderà in modo crudele per la prima volta proprio come accade al protagonista John Williams. In fondo cosa ci ha detto Bambarén nel corso di tutto il libro dalla prima all’ultima pagina? Ci ha invitato ad inseguire la felicità, ma è esattamente quello che l’uomo fa sin dal primo istante in cui vede la luce e sin dalla notte dei tempi, così come sin dalla notte dei tempi c’è qualcuno che prova a spiegarci quale sia la strada per arrivarci, da Buddha a Gesù Cristo a Paulo Coelho. Purtroppo, o per fortuna, nessuno ancora ci è riuscito. Argomenti: #bambarén , #libro , #recensione , #romanzo Leggi tutti gli articoli di Concetta Bonini (n° articoli 51) il caricamento della pagina potrebbe impiegare tempo |
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