Sono già un po’ di anni che ci arrivano notizie di sonde che vanno ad analizzare da vicino le comete. L’ultima notizia di questo genere risale a pochi giorni or sono e riguarda la sonda Stardust (polvere di stelle), che è ritornata sulla terra dopo aver vagato (il termine vagare è improprio, perché il suo percorso è stato programmato millimetricamente) per ben sette anni nel sistema solare, ed è atterrata morbidamente sulla terra nel luogo esatto previsto dal programma, cioè nel punto esatto calcolato dagli spaventosi computers della NASA.
La Stardust ha lasciato la terra il 7 febbraio del 1999 ed è stata inserita in un’orbita che aveva la terra al perigeo. Tutto era stato calcolato perché il 2 gennaio del 2004 la sonda si avvicinasse a soli 225 km dalla cometa Wild-2 e raccogliesse il materiale che la cometa, molto attiva, proiettava tutt’intorno a sé: ovviamente era previsto anche che scattasse molte foto, alcune delle quali veramente spettacolari. Ma l’obiettivo principale della missione era la raccolta delle micropolveri provenienti dalla cometa e il suo ritorno a terra con tale materiale.
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Andiamo con ordine.
La scelta di quella cometa non era stata casuale ma dettata da precisi motivi. Si trattava di una cometa nuova, piuttosto piccola (raggio di circa 4 km), assai attiva e ricca di materiale originario.
Un passaggio ravvicinato al pianeta Giove nel settembre del 1974 aveva modificato la sua orbita e l’aveva inserita in quella attuale. Data la sua giovane età e il limitato numero di orbite intorno al sole dal momento della variazione di orbita (5 passaggi) la sua struttura chimico-fisica si avvicinava con molta probabilità a quella primordiale non essendo stata degasata se non in misura limitata.
L’incontro tra la Wild-2 e la Stardust è avvenuto circa tre mesi dopo che la cometa era passata al perielio e quindi era ancora in una fase di grande emissione di gas, dato l’effetto termico e gravitazionale che quel passaggio nelle vicinanze del sole può generare.
La sonda era costituita da un cubo di 380 kg e 1,4 metri di lato, al quale erano attaccati due grandi pannelli solari (vedi la bellissima foto) protetti, in direzione di crociera da due schermi antipolvere al cui interno era situato il DFMI (Monitor per la determinazione del flusso di polveri), strumento studiato dall’Università di Chicago e capace di misurare sia il numero, che la massa delle particelle incidenti su un film di materiale plastico tecnologicamente avanzato: era in grado di rilevare particelle di polvere di massa variante da 1 decimo di milligrammo a 1 centesimo di nanogrammo (1 nanogrammo corrisponde ad un miliardesimo di grammo). Il sistema ha impattato qualcosa come 10 milioni di particelle provenienti dalla cometa con 1200 impatti al secondo nel punto di maggior avvicinamento!
Un altro strumento interessante della missione è stato il CIDA (Analizzatore di polvere cosmica interstellare) capace di analizzare in tempo reale la natura chimica delle particelle attraverso uno spettrometro di massa.
Per le foto si è fatto uso di una camera ad alta risoluzione che durante il viaggio è stata protetta dietro gli schermi antipolvere della sonda.
Lo strumento principe della missione, quello che costringeva poi la navicella a tornare sulla terra, era il cosiddetto SRC (Collettore di campioni da riportare), vale a dire una specie di racchetta (ben visibile nella foto e che si erge al centro della sonda) costituita da maglie di acciaio da 1000 cm2, riempite di uno straordinario aerogel di silice altamente poroso (la densità era di 0.02 g/cm3) in grado di catturare particelle cosmiche che entravano in contatto a velocità spaventose: le poteva raccogliere se le velocità erano inferiori a 6 km/sec (21600 km/h) e senza modificarne la natura chimica e fisica. La raccolta poteva essere effettuata sulle due facce della racchetta tramite una possibile rotazione di 180°: su una faccia è stata raccolta tutta la polvere interstellare con cui è venuta in contatto durante il lungo viaggio, mentre sull’altra è stata raccolta la polvere proveniente dalla cometa, così generosa di emissioni di ogni tipo. La faccia che raccoglieva polvere cometaria ha catturato circa 500 particelle di diametro variabile da 15 a 300 microns.
Vi esentiamo dal conoscere in dettaglio l’enorme numero di dati raccolti dai vari strumenti, ma siamo certi che l’analisi del pannello di silice che verrà fatto potrà dare risultati assolutamente inimmaginabili.
Perché questo potesse avvenire l’orbita della Stardust doveva essere stata calcolata in modo millimetrico affinché, come programmato, il 15 gennaio 2006 potesse, al completamento della sua terza orbita solare, entrare in orbita terrestre (nella quale è entrata, opportunamente protetta, a velocità spaventosa) e, dopo essere stata rallentata dal terribile impatto con l’atmosfera, scendere dolcemente paracadutata, in una piana presso una base militare dello Utah.
L’analisi delle polveri raccolte dalla racchetta dovrebbe dare informazioni tali da cambiare in modo abbastanza drastico la conoscenza delle comete.
Ma in questa settimana l’evento Stardust non è stato il solo a destare l’attenzione degli astronomi e astrofili di tutto il mondo.
È infatti partita la missione New Horizons in direzione di Plutone, il pianeta più lontano dal sole. Trattasi di una sonda di 415 kg, su cui sono montati cinque apparecchiature tremendamente sofisticate. Plutone verrà raggiunto nel luglio del 2015. Potrebbe sembrare un viaggio lunghissimo, ma se non si sfruttasse l’aiuto gravitazionale di Giove, vicino al quale (3 milioni di km) la sonda passerà nel febbraio del 2007, il tempo per raggiungere quel lontanissimo pianeta addirittura raddoppierebbe.
La New Horizons passerà a circa 9600 km da Plutone (un nonnulla, vista la distanza media del pianeta da noi: 5.700.000.000 km, una distanza per coprire la quale la luce impiega oltre 5 ore) alla velocità di quasi 40000 km/h. Saranno raccolte immagini con risoluzioni di 25 metri, nonché tutta una serie di informazioni basilari sulla composizione della superficie ghiacciata del pianeta (temperature ben al di sotto dei –200°C). Ma la missione di New Horizons non terminerà lì: se tutto andrà bene, si spera che continuerà a viaggiare per altri dieci anni, nella convinzione di poter incontrare uno o più oggetti trans-plutoniani.
Ma questa è un’altra storia e per oggi la finiamo qui!
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