Il percorso di Santiago: cosa è?
Sicuramente dipende da come lo si affronta. C’è chi lo intende come una passeggiata turistica da fare in auto e dormire in Hotel; chi invece, come lo troviamo nei vari contributi presenti nella lente, come un momento di crescita personale, di introspezione e di misura di se stessi, chi ancora come espiazione di peccati fatti o come lo ha presentato Paolo Coelho, come un percorso mistico ed esoterico. Però posso notare che tutte le tre ultime tipologie citate comportano una forma di distacco dalla realtà, dal modo di vivere quotidiano, che forse è il motivo che raggruppa che forse è il motivo che raggruppa tutti i modi di fare il pellegrinaggio.
Nella lente trovate due articoli che fanno brevemente il quadro storico e descrivono come può essere realizzato, poi due esperienze dirette, una di una persona che ne vive il momento religioso, e un’altra fatta invece da una persona che non gli attribuisce tale contenuto. Ecco che in entrambe le esperienze emerge la base comune, che abbiamo potuto riscontrare anche in altri casi che non sono stati riportati nella lente: il sacrifico fisico per raggiungere la meta e il tempo a disposizione per sentire se stessi, l’abbandono del superfluo. Le tre cose non restano separate, perché man mano che si procede nel pellegrinaggio il sacrificio aumenta, i problemi da superare crescono: malattie, parassiti o anche solo la rottura della scarpe, la fatica si fa sentire, ma la forza che si libera dall’introspezione permette di procedere e l’abbandono del superfluo ne è la conseguenza. Questa forza nasce dal lungo tempo del cammino durante il quale si resta soli con se stessi, dalla possibilità finalmente di sentire, forse per la prima volta, la voce del proprio io, liberata dalle contingenze e dai pensieri di ogni giorno; voce che diventa sempre più forte man mano che si procede, voce che cambia la prospettiva, che ci rimodella.
Tutti quando sono arrivati alla fine del pellegrinaggio ne sono usciti diversi, e non è detto che il risultato sia quello che pensavano, anzi spesso sono cambiate le prospettive con cui si guarda alla vita e quindi i valori che si assegnano. Ecco che l’obbiettivo è raggiunto, ma i risultati sono molto diversi da quelli che potevano essere attesi. In definitiva, chi fa escursionismo in montagna può aver provato una parte di queste sensazioni, ma credo che sia proprio la durata che trasforma un’esperienza superficiale in un’esperienza profonda. Quindi il percorso non può essere solo di qualche giorno, ma deve coinvolgere un periodo lungo.
Una delle persone che abbiamo intervistato nella fase di individuazione dei contenuti ci ha raccontato che era arrivata alla fine dei suoi giorni di ferie e le mancavano ancora tre giorni di cammino per arrivare a Santiago di Compostela. Avrebbe dovuto rientrare per un impegno di lavoro importate, ma ha ritenuto più rilevante finire il percorso, cioè mantenere la promessa fatta: ha finalmente dato più importanza agli impegni presi col suo “io” che agli impegni presi con il mondo esterno, più importanza all’interiorità che all’esteriorità. Il risultato del suo viaggio è stato: essere tornata più forte nello spirito, nonostante le fatiche abbiano minato la sua salute.
La lente si conclude con due pezzi “storici”. Il primo ci mostra una carrellata storica del percorso di “San Giacomo” realizzato in Sicilia: ci appare così la netta differenza di impostazione tra i percorsi Siciliani, molto rituali e poco spirituali, e quelli Iberici. Infine nel pubblichiamo un racconto-favola tratto da un testo teatrale di Gioia Tentori, che ci mostra come era vissuto il pellegrinaggio nei secoli passati. Il racconto si basa su documenti storici, ma è chiaramente scritto con una ambientazione di fantasia
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