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Il cammino verso Santiago de Compostela Diario di viaggio di un brasiliano Di Ricardo de Oliveira (São Paulo – Brasile) Traduzione di Roberto Filippini
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Il cammino può cominciare sulla porta di casa ed esistono varie rotte.
La Rotta Aragonese entra in Spagna dall’isolato porto di Samport e fu la maggiormente utilizzata dagli italiani, ma la più conosciuta è chiamata Cammino Francese che inizia a Saint Jean, sulla frontiera franco-spagnola. In un giorno di maggio del 1996 iniziai la mia avventura camminando sulla via della Citadele, là dove abitava madame Jeanne Debril, fotografa dei tempi di guerra che decise di fermarsi lì per aiutare i pellegrini che andavano verso Santiago. Pazientemente lei riceveva tutti i giorni circa una sessantina di persone e li confortava dicendo al riguardo: "molti hanno paura degli animali (orsi) che temono di incontrare nel cammino”. L’inizio fu difficile, molta nebbiolina, fiumi, fango, salite fino a mille metri per raggiungere i passi dei monti Pirenei. Io chiedevo: “dov’è questo cammino?” Allora vedevo i cartelli segnaletici gialli, vere stelle guida, che aiutano ad orientarsi: li incontravo per terra, sui muri, appesi sopra i monumenti, sui pali, sui tronchi degli alberi e persino affissi sulle case. Questa fu la prima rivelazione “magica” della giornata: più che guardare la mappa, il cammino tu lo devi sentire. Arrivare a Roncisvalle, anche sotto una pioggia battente, ci diede conforto. È nella chiesa medioevale di Santa Maria che i pellegrini sono benedetti, assistendo a una messa realizzata in sette idiomi e accompagnata da musica gregoriana. In questo momento il pellegrino comincia a prendere coscienza di quello che lo attende lungo il tragitto fino a Santiago. Non fu possibile contenere l’emozione e le lagrime scesero lungo i volti di tutti noi. Nel successivo cammino verso Larrasoaña passammo per campi e attraverso bucolici boschi. Il ritmo della camminata non deve essere rapido, né troppo lento e avendo la massima cura dei piedi. Incontrai tre brasiliani che facevano il viaggio in cerca di avventura ma un incidente stava cambiando questa loro prospettiva. Paulo si era disidratato con il cibo spagnolo e stava prendendo del siero durante il cammino. Arildo mi disse che “l’aiuto arrivò presto attraverso una catena di solidarietà delle persone” e Jorge aggiunse: “ tu scopri che hai bisogno di poco e questo è un insegnamento prezioso”. Imparai che il cammino deve essere condiviso con gli altri pellegrini. Fatti degli amici, ma non fare il loro cammino, ognuno ha il proprio ritmo. Si entra a Pamplona attraverso il portone di Francia, con il suo ponte levatoio, percorrendo strade movimentate, alle volte calpestate dai tori durante le famose feste di San Firmino. Puente la Reina è alla confluenza dei cammini Aragonese e Francese (da questo momento tutti i cammini diventano uno solo) ed è una specie di spartiacque. I pellegrini storpi gettano il loro bastone di sostegno nel fiume Arga affinché esso arrivi, simbolicamente, a destino. Infatti potranno prendere un omnibus e ricominciare la giornata a cento chilometri da Compostela. Puenta la Reina conserva la tradizione di suonare quaranta rintocchi di campana per avvisare i pellegrini che le porte della città stanno per essere chiuse. La mattina presto successiva tutti passammo sopra il “Ponte della Regina”. Solo in questo momento mi cessò l’ansia e l’euforia iniziale di questa avventura. Il cammino attraversò i campi di grano dove vidi alcuni spagnoli che stavano curandosi i piedi pieni di bolle. Mentre cercavano di far qualcosa per quelle bolle ridevano delle proprie difficoltà. Sappiate che la massima cura dei piedi è comunque sempre poco e le calzature devono essere ammorbidite e usate molto prima di cominciar il cammino. All’uscita da Estella s’incontra una fontana installata dalla casa vinicola di Irache. Nella parete del palazzo ci sono due rubinetti incastrati in due conchiglie: da una sgorga acqua pura mentre dall’altra un ottimo vino rosso. Anche i sottostanti lavandini hanno forma di conchiglia. C’è poi un avviso che dice: “Fuente del vino de Iraque”. "Peregrino, si quieres llegar a Santiago com fuerza e vitalidad de este gran vino echa un trago y brinda por la felicidad”. Dopo aver bevuto il vino disfeci lo zaino, riducendone il peso: lo zaino non può pesare più di sette chili. Ad Azqueta ricevetti un bastone di legno intagliato sugli appoggi per le mani: un regalo di un uomo qualunque che sostava sul bordo della strada. Nella successiva tappa sono le grandi distanze tra i villaggi che danno ai viandanti nel contempo solitudine e introspezione. Los Arcos è un luogo arido e arso dal sole. Il rifugio aveva acqua calda e trenta letti, ma la puzza dei materassi era tanto forte che preferii dormire all’addiaccio. I turisti considerano il cammino una passeggiata e vanno in hotel; ma il vero cammino è quello delle persone umili che hanno parecchia fede. Il pellegrino che mi era di fianco era alla ricerca di alcune virtù come la pazienza, la perseveranza, la fede, la determinazione, vincere le paure e le incertezze, ma in quel momento voleva solo sopravvivere. Ridemmo e il giorno seguente facemmo una parte del cammino insieme. Visitammo una chiesa a Torres del Rio, vero gioiello architettonico. Già avvistavamo Logroño insieme al fiume Ebro. L’albergatore José era un uomo emotivo a cui piaceva aiutare le persone; mi disse: ”il cammino è una cosa alla quale non si può resistere e, dopo averlo fatto varie volte, deciderai di rimanere”. Attraversai un’interminabile e solitaria pianura fino alle città di Náiera e Navarrete. All’uscita da quest’ultima città c’era un cimitero del tredicesimo secolo, con un bellissimo portale romanico in cui era rappresentato un torneo di cavalieri medioevali, decorato con la lotta di San Giorgio e il Drago, sirene alate, uccelli e animali vari. All’interno del cimitero c’era il monumento funerario relativo a un terribile incidente. Esattamente nel tratto più pericoloso dell’entrata alla città un camion che aveva sbandato aveva investito una pellegrina che si trovava sul bordo della strada. Venne sepolta qui e l’anno successivo lo sposo era ritornato, accompagnato dal figlio, per riprendere il pellegrinaggio che era stato interrotto a Navarrete. La Rioja è una regione famosa per le sue vigne e per i campi coltivati, circondati da bassi muri di pietra che sembrano non avere mai fine, lasciandomi immaginare che le pietre che li costituiscono furono ricavate dai solchi delle arature di quei tempi remoti. In Azofra il parroco, don Ignácio, riferendosi al cammino mi disse:”Il cammino è opera di Dio, che usò gli uomini apparentemente per crearlo e svilupparlo”. Una data mattina arrivai nella città di Santo Domingo de la Calzada “onde cantó la galina después de assada” (dove cantò la gallina dopo essere stata arrostita). Nella Cattedrale c’è uno spazio lavorato in pietra e una preziosa grata rinascimentale, con una coppia di uccelli bianchi per ricordarsi una delle famose leggende del cammino. Si racconta, infatti, che un pellegrino fu ingiustamente accusato di furto. Condannato a morte fu salvato per intercessione del Santo. Quando il magistrato disse che il pellegrino doveva considerarsi morto quanto il pollo che stava per cominciare a mangiare, il gallo resuscitò e cominciò ma cantare. Un gallo e una gallina sono costantemente mantenuti sull’altare della chiesa per ricordare il miracolo e se, durante la visita, il gallo canta è un segnale di benedizione nei riguardi dei pellegrini. Grañon ha un curioso albergo dentro la propria chiesa. Belorato si situa all’ombra di una roccia ed è bagnata dal fiume Tirón: molte delle sue case di pietra sono rivestite di ceramiche moresche. All’orizzonte si intravedono montagne che rompono la monotonia degli estesi campi di grano e girasoli. A San Juan de Ortega, la chiesa di San Nicola di Bari conferisce al luogo un alone di mistero. Nei giorni 21 di marzo e 21 di settembre (rispettivamente equinozio di primavera e d’autunno) alle 17.07 esatte, un raggio di sole entra attraverso una piccola fessura della vetrata e illumina in sequenza tutte le scene della natività durante dieci minuti, terminando la luce solare al centro dell’altar maggiore. L’ostello di Ortega si trova annesso al monastero e là avvistai un uomo basso e magro, capelli ingrigiti, vestito in modo semplice e in ciabatte. Mi disse: ”che bello che siate venuti, andiamo a prenderci un caffè”. La sera il prete ci servì una zuppa d’aglio, da lui stesso preparata, perpetuando così una tradizione del posto. Le rotte si fecero confuse ma io continuai per Ages e Villafria, accompagnando la strada ferrata e poi la strada fino ai dintorni di Burgos. L’impressionante Cattedrale di Burgos custodisce il sobrio sepolcro del leggendario El Cid, eroe delle battaglie di riconquista della Spagna. Hornillos del Camino è un villaggio tranquillo, che riposa silenziosamente tra le montagne. Per il viandante l’attraversare il villaggio significa percorrere strade quiete e vedere porte e finestre chiuse. Qualsiasi movimento attira l’attenzione di chi è uso vedere solo il tempo passare. La routine è rotta solo dai pellegrini che tagliano raggruppati le sue strette strade. Cominciarono le tappe dove la solitudine e la stanchezza rinforzano ancor più la sensazione che questo cammino non avrà mai fine. L’isolamento sveglia l’equilibrio interiore e il pellegrino impara che è necessario dosare sia la volontà che la pazienza. Arroto San Bol è un luogo enigmatico nel mezzo di una piana e dove s’incontrano le rovine di un villaggio abbandonato nel 1503. I muri dell’ostello davano colore al paesaggio e il tenutario Luis mi disse che “il cammino era un’esperienza personale e non lo si poteva spiegare; ognuno lo sente in modo differente e tutte le sensazioni sono giuste”. Le rovine del convento di San Antón segnano l’inizio del tratto più difficile del pellegrinaggio. Sono quasi due giorni in linea retta, in un percorso solitario di quaranta chilometri e dove l’orizzonte non rivela nulla che possa rendere ameno il paesaggio. Nonostante ciò, quando l’uomo crede che il suo limite sia stato superato, invece è ancora all’inizio di se stesso. Frómista significa frumesta, un cereale abbondante nella regione quantunque essa appaia arida e disabitata. La chiesa di San Martin ci suggerisce un’origine pre-cristiana, esempio di stile romanico. A Villasirga visitai la chiesa-fortezza di Santa Maria che appartenne ai cavalieri templari. A Carrión si narra che una volta gli abitanti del villaggio stavano per pagare un tributo cedendo alcuni giovani all’esercito arabo invasore, quando da un allevamento vicino irruppero quattro feroci tori, il che provocò una disordinata fuga dei superstiziosi mori. Iniziai l’attraversamento della regione deserta dalla sterile pianura di Leon. Ebbi l’accortezza di portare con me due borracce di acqua, cappello e crema di protezione solare. Percorsi uno scenario desolante, silenzioso, senza incrociare nessuno, senza uccelli e con qualche insetto che si sentiva di tanto in tanto. Mi aiutai a sostenere lo zaino inserendogli sotto il bastone e improvvisai un po’ d’ombra con una tovaglia umida sistemata sopra una struttura di fortuna approntata sopra la testa. A Terradillos ebbi un’indimenticabile esperienza. Arrivai là assai stanco e il padrone di un modesto ostello mi osservò in silenzio. “Posso restare?” – gli chiesi con un fil di voce. “Sì, c’è bagno e cibo” – mi rispose. La cena si prospettava frugale e, forse ancor peggio, ci sarebbero stati solo pane e vino. L’uomo girò la mano come in un gioco di magia e mise la tovaglia sopra la tavola di legno grezzo. Stavo immaginandomi che forse avrebbe preso gli alimenti direttamente dall’aria, ma rompendo l’incantesimo si diresse verso il caminetto. Cominciai a sentire profumo di pesce fritto ..... ma non era possibile che ci fosse pesce nel deserto!!! Portò un’insalata di pomodori condita con buon olio e mi servì dell’ottimo pesce proprio mentre stavo commentando che avevo avuto fortuna. Alla fine c’erano arance dolci come miele. Il giorno seguente, nel tratto più difficile e sotto il sole mi ricordai del pacchettino che mi aveva dato Ambrósio. Dentro c’era il pezzo di pane e il vino che al momento della donazione mi parvero poca cosa come cena, Adesso però la sensazione era diversa e il pane e il vino furono un saporito spuntino mattutino, prova del fatto che abbiamo bisogno di poche cose per essere felici. A Sahagún si narra che l’antico villaggio era dominato dal monastero benedettino del quale oggi restano soltanto un grande arco e una torre. Il potere dei monaci era tale da imporre agli abitanti penitenze quali la proibizione di mangiar carne, dovendo così comprare i pesci dagli stessi monaci. Narra la leggenda che davanti a tutto ciò le persone cominciarono a buttare cervi nel fiume e a ripescarli così potevano mangiare del “pescato” (in spagnolo il pesce in generale si chiama “pescado”) senza rompere la penitenza. Curiosa forma di adattamento alle ingiuste regole. Le chiese di Sahagún sono rivestite di ceramiche moresche. A Calzada del Coto avvistai una strada per i pellegrini. Un selciato fatto di piccole pietre ben battute: il cammino aveva una larghezza di due metri per una lunghezza di trenta chilometri, con panche e alberi nel bel mezzo di quella regione arida. Camminare è sicuro ma assai monotono. A Bercianos, un piccolo villaggio, accadde l’episodio di quel pellegrino attaccato dai lupi, come ci disse la guida di Domenico Laffi “Viaggio a San Giacomo”. L’unica via di Raneros aveva nome Calle Mayor; perso nella pianura il villaggio offre il calore della propria ospitalità. Alla ricerca di una colazione battei alla porta di una pensione fino a che comparve la padrona. La signora Rosa ci servi una deliziosa colazione. Mi disse che lei in passato aveva sempre ospitato pellegrini ma attualmente la maggior parte preferiva andare in albergo. Lo scrissi nel libro dei pellegrini affinché tutti sapessero che in quella casa si respirava aria di felicità. Nell’albergo di Mansilla de las Mulas incontrai una brasiliana. Roselì mi raccontò che dopo aver trascorso la giornata a Santiago si sentì toccata da un grande entusiasmo e lasciando famiglia e impiego si stabili proprio lì, allo scopo di “servire i pellegrini e passare un’esistenza semplice”. L’incanto delle vetrate della Cattedrale di Leon segna la sua visita e non si può davanti a tanta bellezza non restarne meravigliati. In un giorno meraviglioso i raggi del sole illuminarono la navata di un caleidoscopio di colori emanati dalle pareti. Infatti Santa Maria de Regla è nota come la “cattedrale dei cristalli”. Passando per Villandangos entrai in Asturias, capitale “dos mandangotos”, conosciuti per essere uomini forti e di poche parole. Si crede siano i discendenti degli invasori arabi del secolo IX e ne hanno conservato la cultura nomade. Attraversai il celebre ponte di Óbidos, che fu il palco delle battaglie medioevali, incontrando una coppia di pellegrini, lui brasiliano, lei francese che si erano conosciuti durante il cammino. Tra una confidenza e l’altra e con aria di complicità mi rivelarono che loro passano dall’albergo alla pensione perché in quest’ultima il clima è migliore ed era più facile restare tranquilli e da soli. Un romanzo amoroso proprio nel bel mezzo del cammino per Santiago! In Asturias visitai il palazzo episcopale di Gaudi e la cattedrale gotica. A cinque chilometri da Rabanal si trovava il monte Irago e il temuto villaggio di Foncebadón. La leggenda narra che, in piena epoca di inquisizione, un gitano giunse in quei luoghi in una notte assai fredda e chiese alloggio agli abitanti. Poiché nessuno l’ospitò egli andò ad accovacciarsi sotto la porta di una chiesa. Il prete aveva fatto di tutto per convincere la popolazione ad espellerlo ma la cosa si trasformò in un’aggressione che terminò con la morte dello zingaro tra le fiamme. Poco prima di morire lo zingaro avrebbe lanciato una maledizione sul villaggio e cioè che nessuno mai avrebbe più procreato e che il villaggio sarebbe morto lentamente insieme ai propri abitanti e le forze del male avrebbero invaso le rovine così che nessuno avrebbe osato rimane in quel posto maledetto. Oggi è un villaggio abbandonato e abitato solo da feroci cani selvatici che attaccano le greggi della regione. Grandi e scure pietre contornavano il monte Irago. Nella parte alta s’impilavano in rovine e soffocavano il passato di Foncebadón. Il villaggio era coperto da un nebbione che creava un’atmosfera di ansia. Le case abbandonate davano l’impressione di un’infinita tristezza e di un’energia negativa e solo i pellegrini prestavano un po’ di vita a quel luogo. Sentii paura e il peso della solitudine. L’origine della croce di ferro si era persa nel tempo, così come quello del motivo delle pietre impilate nella base, insieme alle richieste e alle speranze dei pellegrini. La semplice croce era stata eretta da un monaco allo scopo di orientare i viandanti. Misura cinquanta centimetri ma è collocata sulla cima di un palo di cinque metri, su un monte di pietre anch’esso alto cinque metri. El Acebo ci dà il benvenuto nella valle del Bierzo e la caratteristica dell’accentuata pronuncia degli abitanti ci segnala il cambiamento della regione. A Ponferrada visitai il famoso Castello dei Templari – costruito con molti simboli che ancora si possono vedere sulle antiche colonne – che era la fortezza che proteggeva i viandanti, una superba testimonianza di quello che significò l’ordine dei monaci guerrieri in un’Europa al tempo stesso religiosa e guerresca. Arrivati a Villafranca conobbi il gitano Jesus Jato, un uomo singolare con la magia e la fede del popolo errante. Il suo albergo era un’enorme tenda nella quale si attua una vera integrazione familiare. Qualcosa che il pellegrino non sentiva da un bel po’. Di notte partecipammo alla cerimonia della Queimada. “Io non credo alle streghe, ma che esse esistano, di certo esistono”. Il vecchio detto spagnolo forse ci spiega il millenario rituale. La cerimonia pagana allontana gli spiriti maligni che accompagnano i pellegrini. Jato preparò un intruglio con aguardiente (una specie di grappa), caffè e zucchero. Mentre mescolava la pozione invocava le virtù e i difetti dei viandanti; a questa bibita aggiunse i resti delle altre “queimadas”, come se fosse una forma di condividere l’energia dei pellegrini di ogni tempo. La mistura infiammata fu poi servita a tutti in mezzo ad abbracci ed allegria. Nella chiesa di Villafranca, a centonovanta chilometri da Compostela, si trova il Portico del Perdono, destinato a quei pellegrini che per ragioni di salute non possono concludere il cammino, ma ricevono la medesima grazia di tutti gli altri. Difficile era la tappa che presentava la maggior salita di tutto il cammino. Villafranca si trovava a cinquecento metri di altitudine mentre il Cebreiro si trovava a mille e trecento metri. Per Jato “i cammini erano come la vita e camminando affidandosi ai propri pensieri si entra in contatto con noi stessi e con Dio”. Si narra che in una mattina dell’anno 1300, sotto un violento nevischio, un pastore andò a Cebreiro per assistere alla Messa. Il monaco pensò che lo sforzo fatto dal pastore fosse stato inutile: perché salire a Cebreiro con solo un poco di pane e vino per assistere alla cerimonia? Nel momento sublime della consacrazione le ostie sulla patena e il vino nel calice si trasformarono in carne e sangue, come dura lezione per l’incredulo monaco. La voce del miracolo si diffuse in tutta Europa e il calice continua ad essere custodito in un reliquario d’argento. Cebreiro ha un’origine preistorica e molte delle sue case sono dimore celtiche che risalgono a duemila anni or sono. Sono chiamate “pallozas” e non possiedono energia elettrica, né acqua, ma hanno al loro interno l’energia dei secoli. Cominciò una tappa bellissima, attraverso boschi e pianure fiorite. A Triacastela cominciammo a vedere i pilastri di pietra che indicavano la direzione e io scelsi il cammino del Monastero di Samos. L’abbazia possiede una facciata barocca con due campanili sopra le due parti laterali e l’ostello si trova all’interno del monastero. I monaci ci offrirono miele con una cerimonia molto frugale. L’italiana Ida camminava da quaranta giorni e mi disse che “era venuta a passare un certo tempo al di fuori degli abituali ritmi di vita”. Due coniugi francesi pensionati, Henri e Marie, mi dissero che “tutti i giorni pregavano per gli amici, una preghiera per il figlio, un’altra per la famiglia e un’altra per loro stessi”. I coniugi olandesi Janye e Kock avevano viaggiato in bicicletta nonostante l’età: non erano cattolici ma “avevano visitato le chiese e ne erano usciti emozionati”. Ciò rinforza l’idea che il cammino, oltre che nel fisico, si riflette nello spirituale. I villaggi si succedevano e dopo di Sarriá venne Portomarin, si superò il fiume Miño attraverso un ponte lungo e alto. Di notte piovve e il giorno albeggiò annuvolato. Passai attraverso il Palas de Rei e l’idioma galego suonava come uno strano portoghese con un eccesso di lettere X (in italiano ch dolce): Sam Juan divenne Xuan (Chuan) e San Gil suonava Xil (Chil). Turisti e atleti occupavano i posti liberi in albergo e a loro volta i pellegrini preferivano utilizzare le pensioni e i ristoranti della Galizia. Arrivammo a Arzúa e il pellegrino salta di chilometro in chilometro dal monte del Gozo fino alla piazza di Obradoiro. Eravamo tutti fratelli di camminata. Gli autisti e i ciclisti ci gridavano: “forza, animo, adesso è facile, state arrivando”. Il cammino di Santiago fu per me una grande prova fisica, però mi tenne distante da problemi e sollecitazioni minori che mi impedivano di percepire e sentire i veri problemi e sollecitazioni della vita. La sensazione d’isolamento e di libertà trasforma il pellegrino. La solidarietà e l’amore compensarono tutti gli sforzi dell’apprendimento. Appresi che Dio realizza i sogni degli uomini. Se tu desideri qualcosa dal profondo del tuo cuore, questo diventerà realtà. Dal monte alla cattedrale ci sono cinque chilometri attraverso i quartieri di una grande città dove vivono circa centomila abitanti. L’apostolo Giacomo fece sì che milioni di persone intraprendessero un faticante viaggio e esperienze che si trasformano in regali utili per tutta la vita. Il viaggiatore finalmente arriva a Santiago de Compostela. Il viaggiatore felice scopre una città di pietre inscurite dal tempo, strade medioevali intrise di un odore di vino di frutti di mare. Contemplai un’altra tra le più belle cattedrali europee, andai al Pórtico da Glória, incassai la mano nel marmo della colonna, avvicinai la testa, abbracciai l’immagine e pregai vicino ai resti mortali del Santo. La messa del pellegrino fu celebrata a mezzogiorno. I cantici emozionano i presenti, i sacerdoti pongono fuoco in un turibolo chiamato “botafumeiro” e lo alzano con l’aiuto di corde che lavorano su pulegge fissate sul tetto della cattedrale. Mentre descrive ampi archi, come un gigantesco pendolo, il botafumeiro spande su tutta la chiesa l’aroma dell’incenso. Applausi, allegria e lagrime che scendono quando la gente vede i pellegrini. La vita non può mutare dopo il Cammino di Santiago, ma tu potrai affrontare il mondo con più allegria, fede e semplicità. Argomenti: #camminare , #diario , #religione , #san giacomo , #spagna Leggi tutti gli articoli di Ricardo de Oliveira (São Paulo – Brasile) Traduzione di Roberto Filippini (n° articoli 2) |
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