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Tra storia e tradizione

Riscopriamo il culto di San Giacomo in Sicilia

E’ stato introdotto nell’isola dai normanni, ma il concetto di pellegrinaggio sfuma in riti che risentono di influenze cabalistiche e superstiziose

Di Marcella Candido Cianchetti

Dante nel 25° canto del Paradiso ha ben spiegato che “i pellegrini” si chiamavano propriamente cosi solo quando andavano a "Santiago", e quando tornavano portavano con se come segno distintivo, ma anche per provare che “c’erano stati davvero", la conchiglia atlantica detta "pettine di venere "(quella che noi chiamiamo "Cappasanta", in ricordo del fatto che i pellegrini se l’appuntavano sulla cappa. Lo stemma di Papa Benedetto XVI, presenta due elementi che si riferiscono al pellegrinaggio compostelliano: la conchiglia che allude alla condizione di "homo viator" durante la vita terrena e l’orso con un bagaglio sulla schiena, quello descritto da un antica leggenda medioevale.

Quello del pellegrino è uno "status" che iniziava, ed inizia, con il rito dell’investitura e con la benedizione dei"Signum Peregrinationis", utili per il viaggio. Il primo è la "bisaccia" fatta in pelle di un animale morto, aperta alla bocca, senza lacci, che simboleggia la generosità dell’elemosina e la mortificazione della carne. La bisaccia è stretta per simboleggiare la mortificazione dei desideri, attraverso la fame, la sete, le sofferenze corporali che il pellegrinaggio comporta. La mancanza di lacci indica che il pellegrino deve condividere, donare la sua sparuta scorta di beni con altri, con poveri e viandanti. Il bordone, necessario e utile appoggio durante il cammino, rappresenta il terzo piede su cui poggiarsi, e simboleggia la "S.S. Trinità"; serviva per difendersi dal diavolo, dai cani, dai lupi, e per catturare serpenti da mangiare dopo averli marinati in aceto. Il petaso è il cappello a falde larghe a protezione dal sole e dalla pioggia. Una corta cappa copre le spalle del pellegrino, dove veniva cucita la conchiglia di San Giacomo. La zucca vuota serviva per conservare l’acqua. Questi simboli servivano per essere riconosciuti come pellegrini, e quindi per ottenere ospitalità e ricevere offerte. Era credenza che coloro che facevano la carità la facessero al signore.

Chi s’apprestava al pellegrinaggio si confessava, perdonava e faceva pace con i nemici. Faceva anche testamento, perché il ritorno era incerto.
L’Homo Viator, non è legato soltanto al cristianesimo e alla nostra civiltà, il pellegrino è ogni uomo alla ricerca della propria identità e del proprio mondo interiore. Hermann Hesse, con il suo romanzo"Siddaharta" e con le poesie del pellegrinaggio (in oriente), chiaramente e simbolicamente traccia questo percorso. Già gli antichi Greci si recavano in pellegrinaggio a Delfi, gli Islamici compiono il pellegrinaggio alla Mecca (Hagi), gli Indiani si recano a Tirtha, gli Indù a Varanasi (Benares), i Giapponesi a Nara, ecc. L’Homo Viator cristiano dal medioevo ha tre mete di pellegrinaggio: Roma, la Terrasanta, Compostella. Il pellegrinaggio può voler dire incontrare lungo il cammino guerre, carestie, peste, malaria,briganti, la carenza di denaro e l’incertezza del ritorno in patria. Era diffuso tra i più ricchi l’uso d’inviare in loro vece un servo lautamente pagato.

Il culto di San Jacopo in Sicilia è introdotto dalla discesa dei Normanni: Ruggero il Gran Conte viene investito re a Palermo, entra in Caltagirone con le sue truppe e la libera dai Saraceni il 25 luglio 1090 . La leggenda dice che nella notte ha sognato San Giacomo, non in veste di pellegrino, ma in veste di "Matamores", impugnante la spada croce che verrà chiamata appunto “di San Giacomo” e che diverrà insegna dell’Ordine Militare di Santiago. A Caltagirone viene edificata una chiesa e San Giacomo ne diventa il Patrono. In seguito viene tracciato il cammino delle sette chiese che si diramano da Caltagirone: Agrigento, Piazza Armerina, Partinico, Virzini, Capizzi (che assieme a Itala Marina viene liberata dai Saraceni), e Messina, cirttà che poi diventerà snodo d’imbarco verso la Puglia per i pellegrini diretti a Compostella e per i pellegrini diretti in Terrasanta.

Con l’avvento degli Aragonesi, lo scenario siciliano cambia. Ferdinando d’Aragona, fa della Sicilia una provincia spagnola. Di fatto è il vice-re, e introduce l"inquisizione. È in questo periodo che vengono portate alcune reliquie di San Giacomo. Re Alfonso fa giungere la reliquia della giuntura e s’istituisce la processione del vessillo aragonese. Il culto del santo è potenziato. Nascono le "Confraterne Jacopee", che ricopriranno un ruolo importate nell’economia, e forniranno sostengono alle vedove povere, agli orfani, alle fanciulle povere per la dote, ed altro ancora. La rete viaria venne salvaguardata, e con essa gli Hospitalia, che distavano 30 km uno dall’altro e che erano stati gestiti in precedenza dai Templari e dai cavalieri Teutonici. Restava forte l’esigenza del pellegrinaggio compostelliano, ma per le ragioni già citate, non tutti potevano recarsi in terra di Galizia. Restava ferma la credenza che il pellegrinaggio, avrebbe aiutato il moribondo nelle ore dell’agonia e che lo stesso Santo attraverso la "Via Lattea" (intesa come la via dei morti) il avrebbe guidati all’aldilà.

Nascono cosi in Sicilia, anzi vengono ripristinati riti "Arcaici": nella notte tra il 24 e il 25 luglio, ma anche nel giorno dei morti, si poteva fare un pellegrinaggio verso la chiesa più vicina dedicata a San Giacomo, portando in mano un bastone con 14 nodi e facendo massima attenzione a non voltarsi indietro; oppure a ginocchia nude si poteva attraversare la navata centrale fino all’altare maggiore; o ancora percorrere tutta la navata, fino all’altare maggiore, con la lingua sul pavimento. Sono riti che tutt’oggi riscontriamo nell’America del sud, che ha avuto anch’essa la dominazione spagnola.

A Caltagirone sulla scalinata di Santa Maria Del Monte venivano e vengono poste 4000 lanterne sui 142 scalini. Veniva e viene portato in processione il Ferculo – Vara. Vara in siciliano significa bara o arca, cassa in argento; venne eseguita sulla base di un disegno di Nigro e ci vollero 102 anni per costruirla. La reliquia del Santo è un pezzo di braccio, contenuto in una teca d’oro a forma di mano. La Vara viene portata in processione da contadini, rigorosamente vestiti in velluto. Questi portatori durante il tragitto bevevano vino e mangiavano mustazzola (dolce che ancora oggi si fa). I fedeli appendevano alla vara prodotti agricoli, soldi, provole. In seguito la vara veniva poi scagliata a mo’ di ariete contro il muro di una ipotetica moschea

A Capizzi veniva praticato il rito dei galletti, rimasto in auge fino al 1930: il rito prendeva spunto da un miracolo perpetrato dal santo che aveva salvato dal cappio del boia un ladro di galletti. Il muro principale della chiesa era "imbandierato" con galletti vivi, che venivano lapidati dai festeggianti; i galletti rimasti vivi avrebbero fatto loro bella mostra sui tavoli della fazione vincente del paese. Capizzi già nel ’400 vantava la più antica reliquia del santo, la giuntura di un dito. Questa verrà poi spostata alla vicina Messina, dando cosi spunto a diatribe che proseguirono anche nei secoli successivi.

Le confraternite intorno al ’500 erano divise per sesso: quelle maschili erano costituite dai flagellanti, e quelle femminili erano denominate "san jacobi de li fimini “; entrambe mettevano in pratica il loro pellegrinaggio, inteso sempre come salvifico di agonia.

Per le donne lo si affrontava anche per preservarsi dalle morti da parto. Ecco uno dei riti che compivano: aveva inizio allo scoccare all’avemaria del 24 luglio. Intridevano farina ed acqua, per ottenere una porzione esigua di maccheroni. Versavano l’acqua di cottura dei maccheroni un orinale, ci si sedevano sopra nude a mezzo busto e consumavano i maccheroni senza mai rivolgere lo sguardo fuori dalla finestra. Finiti i maccheroni, andavano a dormire in attesa dello scoccare della mezzanotte A questo punto, alzandosi, eseguivano un certo numero di abluzioni, si rivestivano con un lenzuolo fresco di bucato (il lenzuolo simboleggiava il sudario per la sepoltura) ed iniziavano il loro pellegrinaggio verso la chiesa più vicina, rigorosamente accompagnate da un altra donna. Giunte alla porta della chiesa, rigorosamente sprangata, dovevano bussare alla porta per 3 volte usando le mani, i piedi ed il capo; entrate, iniziavano prostrate le preghiere: 9 pater, 9 avemarie, 9 gloria, per terminare con 3 pater per la passione di cristo. Finivano questa sequela, che ricorda i numeri della cabala, e rientravano in casa recitando il rosario. Cosi avevano atteso "al pellegrinaggio", il loro progetto di salvezza era compiuto.

Sono decisamente riti che rimandano a riti insulari arcaici.

Dopo due secoli di dominazione, l’importanza degli spagnoli entra in fase discendente. Il pellegrinaggio jacopeo diventa fulcro di scaramuccie tra la nobiltà spagnola e i "marani" (ebrei e islamici convertiti). Il culto jacopeo lentamente scema, tanto che nel ‘700 anche le relative chiese vengono oscurate dalla figura della madonna, subendo rinominazioni del tipo: “Santa Maria di...”.

Ecco le origini delle splendide statue lignee della Madonna addolorata che ornano le chiese del sud Italia, e relative processioni. Sotto la dominazione dei Borboni il culto del santo viene completamente accantonato e riguadagna terreno soltanto nel 1930. Papa Giovanni Paolo II, papa Compostelliano, rilancia con grande vigore il pellegrinaggio, inteso come progetto di salvezza. Nel 1999, il giubileo compostelliano apre la via per un ulteriore ripristino del pellegrinaggio in terra di Galizia.
Per il giubileo compostelliano del 2004, il Papa concede, a quanti per gravi motivazioni non possano recarsi a Compostella, la stessa valenza di pellegrinaggio compostelliano a chi compirà il pellegrinaggio in Italia.

Le varie confraternite italiane si attivano. La confraternita di Perugia intraprende studi comparativi di antichi documenti e a Messina, nuovamente ritornata ad essere uno snodo importante, si fanno mappature del territorio isolano: si riscoprono ben 40 confraternite compostelliane e le confratenite ancora attive di Gratteri, Geraci, Paternò, Villa rosa e Castiglione Camaro. La confraternita di Caltagirone rilancia con delle giornate compostelliane, per un risveglio spirituale e culturale della Sicilia Jacopea. La confraternita di "Camaro superiore" (Messina), la più antica confraternita siciliana e custode della più antica reliquia del santo, diventa punto di riferimento per la devozione all’Apostolo S.Giacomo.

Adesso i riti ripetivi ed arcaici sono decaduti. San Giacomo non brandisce più il “matamores”, ma il "bordone". E’ ritornato ad essere per l’uomo del terzo millennio il simbolo di una spinta propulsiva per la ricerca: il ripiegarsi su se stesso, il rivitalizzare della fede e della speranza, il potenziamento interiore. L’uomo, come un moderno Ulisse, compie un pellegrinaggio che lo farà giungere, fino al "finisterres galiziano”, considerato il punto più occidentale d’Europa. Lì raccoglierà la conchiglia da riportare a casa. Il pellegrino siciliano trovera il suo "finesterres” sulla cima dell’Etna, il vulcano più alto d’Europa, dove il cielo è più vicino, il mare che da tranquillità, il fuoco intorno... tutto questo ci riconduce ad un"affermazione di Goethe: “L’Europa è nata pellegrinando, e la sua lingua è il Cristianesimo”.

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