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La Cultura umanistica: è ancora necessaria? Di Concetta Bonini
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Nei dibattiti sempre più frequenti sulla struttura della scuola italiana, tra i non pochi maldestri tentativi di riforma, l’importanza da attribuire all’insegnamento delle materie umanistiche riveste indubbiamente un ruolo di primaria importanza.
Anche il presidente della Repubblica Ciampi ha più volte richiamato con forza alla cultura classica e umanistica perché “non può esistere una scuola, per tecnica che sia, che non dia un marchio indelebile della nostra cultura umanistica”. E’ chiaro infatti che la scuola non può prescindere da una formazione che affondi nelle nostre radici culturali, è chiaro che il compito intrinseco della scuola è proprio quello di conservare l’identità dei popoli e delle culture infondendo un’educazione imbevuta dei valori del passato che ci hanno portati ad essere quelli che siamo. Questa consapevolezza deve trarre la sua origine da un presupposto fondamentale: nessun popolo potrà mai sopravvivere se non ha conoscenza di sé e del suo passato, se non conosce millimetro per millimetro le fondamenta – sin dalle più solide e più antiche - su cui ha la responsabilità di costruire le scelte future, se non ha infine il coraggio di propagarne la memoria ai suoi giovani e di affermare la propria diversità di fronte agli altri popoli. La mancanza di identità, o la volontà di ignorarla deliberatamente, ci porta infatti a “restare al buio e vivere alla giornata” come direbbe Goethe. Da questo deriva poi l’incultura che ci induce a creare una scuola e una società di tecnici che forma prototipi di omini perfetti, capaci solo di svolgere alla perfezione il loro lavoro, ma ignoranti e quindi schiavi di ogni forma di tirannide, palese o subdola che sia, mediatica o sociale o politica o economica: parti infinitesimali di un rigoroso ingranaggio che però non posseggono coscienza di sé e sono dunque incapaci di controllo razionale. In un irreparabile circolo vizioso, è questo stesso atteggiamento che ci porta all’imperdonabile ed inaccettabile errore di credere che gli elementi della cultura umanistica siano inservibili nella società delle trasmissioni di massa e della tecnologia: è proprio questo che produce le nostre cadute di tono, l’incapacità di fare cultura, il livello spesso insopportabilmente basso della letteratura e dei dibattiti. Le trasmissioni di massa ad esempio, farebbero meglio ad educare un popolo ad essere tale piuttosto che esibire pollai in cui trionfa un’ignoranza tale che, se è vero come è vero che “siamo ciò che guardiamo” e che essi sono lo specchio della nostra società, sarebbe sufficiente a farci arrossire se fossimo capaci di vergogna. Tutto questo non può che farci condannare con sempre maggior forza chi considera l’insegnamento delle materie umanistiche sintomo di arretratezza scolastica: una società può dirsi fallita se si convince di ciò, se crede di poter fare a meno delle proprie radici culturali. Anche sopprimere nei licei l’insegnamento del latino equivale ad eliminare la coscienza delle nostre radici linguistiche: e come pretendiamo di parlare e di scrivere correttamente se non conosciamo le origini dei nostri costrutti e del nostro vocabolario (al di là del fatto che è statisticamente dimostrato che ne usiamo soltanto una percentuale che potremmo definire esigua)? Il latino peraltro è solo una delle facce della cultura romanica di cui siamo figli: figli degeneri, ingrati, infidi e traditori, è vero, ma pur sempre figli. L’Europa intera non può ignorare ciò che questa cultura ci ha lasciato perpetuando ciò che c’era di magnifico nella cultura greca, fornendoci esempi di arte, letteratura e filosofia che non saremo mai lontanamente capaci di imitare ma che quantomeno potremmo degnarci di conoscere, tanto più che hanno pesantemente influenzato ognuna delle epoche successive fino ai nostri giorni. E questo chiaramente non vuol dire alimentarci soltanto del culto del passato, come avvenuto in gran parte delle epoche storiche, commettendo l’errore di fossilizzarci in esso o di riprenderne gli errori peggiori (il fatto che ancor oggi si possa parlare di imperialismo, in forme nuove ma con sempre la medesima sostanza, ne è un esempio). Se non abbiamo memoria storica e culturale siamo incapaci di guardare la realtà, di leggerla per viverla. E questa consapevolezza deve partire, inevitabilmente, dalla scuola, laddove si formano le identità delle generazioni. Pertanto privilegiare una cultura tecnica e scientifica a fronte di una conoscenza umanistica, ci renderà forse ottimi prodotti del progresso, impeccabili macchine da guerra, ma talmente meschini da ridurre i nostri cervelli a poco più che allo stato animalesco. Sono questi i motivi che dovrebbero indurre il mondo occidentale a rilanciare l’educazione alla cultura umanistica: non può esistere un popolo che non conosce le proprie radici linguistiche, la letteratura che ha interpretato e talvolta addirittura forgiato le sue vicende, tutta la sua storia e la filosofia che gli ha insegnato a tentare di liberarsi dal suo “stato di minorità” per dirla con Kant. Solo con la corretta conoscenza del nostro passato potremo instaurare con esso il corretto equilibrio che ci permetta di evitare rischi potenzialmente esplosivi quali i deliri nazionalistici su un versante e le menzogne multiculturalistiche sull’altro, vuote se annullano le differenze e pericolosissime se invece vedono soccombere una cultura sotto il peso di un’altra. E’ il caso ad esempio dell’invasione musulmana che stiamo subendo e che, a causa innanzitutto della nostra ignoranza e del nostro perbenismo ipocrita, è il primo propulsore che ci sta inducendo a cedere ad inaccettabili ricatti al prezzo di rinnegare la nostra identità, la nostra cultura e il nostro passato (vedi i casi del crocifisso nelle aule, delle scuole musulmane e non ultima la Costituzione Europea). Sarebbe dunque il caso di riprenderci ciò che ci appartiene e di avere il coraggio di difenderlo dalle grinfie del tecnicismo, delle fregature da meltin’ pot, ma innanzitutto della nostra ignoranza. 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