“Obbligarono Edmund ad alzarsi in piedi, senza tante storie. Lo misero con le spalle contro un albero e il nano lo legò con molti giri di corda. La strega intanto si era tolta il mantello, rimanendo con un abito lungo senza maniche.
Nell’oscurità della cupa valletta, all’ombra degli alberi folti, Edmund vedeva soltanto due braccia orribilmente bianche. – Prepara la vittima – ordinò lei. Il nano si affrettò ad obbedire. Slacciò la camicia del ragazzo, rovesciò il colletto all’indietro, afferrò Edmund per i capelli e lo costrinse a sollevare il mento. Nel frattempo si sentiva un rumore strano, un vzzz-vzzz-vzzz, che dapprima Edmund non riuscì a definire. Poi capì, la strega stava affilando un coltello. In quel momento altri rumori vennero da tutte le parti: grida confuse, rimbombare di zoccoli come cavalli al galoppo, un grande sbattere d’ali nell’aria buia. La strega gettò un urlo, ci fu un attimo di trambusto ed Edmund si trovò libero.”
Questo brano di C.S. LEWIS (tratto da Il leone, la strega e l’armadio – secondo libro de Le cronache di Narnia) ben si adatta a descrivere la situazione in cui si è trovato il protagonista dell’episodio che si è recentemente verificato in California. L’esecuzione di Michael Angelo Morales, condannato a morte nel 1983 per aver torturato, violentato e assassinato una giovane di 17 anni nel 1981, e' stata rinviata a nuova data; era prevista per le prime ore di martedi' 21 febbraio 2006 nel carcere statale di San Quentin, ma è stata rinviata dopo che due anestesisti hanno rifiutato di parteciparvi per ragioni di etica medica.
Erano stati gli avvocati di Morales a chiedere la presenza degli anestesisti, adducendo che il cocktail farmacologico usato per uccidere il detenuto con iniezione letale, in California e altri 35 Stati, violerebbe l'Ottavo emendamento della Costituzione che proibisce le punizioni "crudeli ed inusuali" perché due dei farmaci in questione sarebbero dolorosissimi in assenza di anestesia totale.
Nei 36 stati in cui si pratica la condanna a morte per iniezione letale, di norma i medici non partecipano all'esecuzione; in California vi è sempre un medico di turno, ma non è nella “stanza della morte”, egli quindi non inserisce gli aghi per l'endovenosa ma stazionando in un altro locale osserva i segni vitali del condannato su un monitor e ne dichiara l'avvenuta morte. La decisione del giudice distrettuale Jeremy Fogel aveva riacceso un dibattito etico su cui ieri tutte le associazioni mediche californiane e federali si erano espresse con nettezza: compito del medico è curare la vita, non dare la morte.
Nelle ore precedenti il giudice Jeremy Fogel aveva infatti precisato che l’esecuzione si sarebbe dovuta svolgere con procedure simili a un'eutanasia. Una o più persone, riconosciute ufficialmente dallo Stato, avrebbero dovuto iniettare nelle vene di Morales una dose di almeno 5 grammi di penthotal di sodio, un potente barbiturico, e quindi una soluzione salina (la morte con questa dose impiega circa 45 minuti a sopraggiungere). I due anestesisti hanno motivato il loro rifiuto dicendo di non poter ottemperare alla richiesta di intervento nel caso in cui Morales si svegliasse o accusasse forti dolori. «Qualsiasi intervento del genere non è rispettoso dell’etica medica - hanno dichiarato i due medici (la cui identità non è stata resa nota) in un comunicato -. A seguito di ciò, abbiamo ritirato la nostra partecipazione».
Il periodo d’esecuzione della sentenza di morte scade dopo 24 ore e il caso è stato quindi risottoposto al giudice che nel 1983 emise la sentenza di morte per un nuovo verdetto. L’ottenimento di un nuovo verdetto potrebbe comunque rivelarsi difficile per lo Stato, dal momento che il giudice che emise la sentenza originale, Charles McGrath, questo mese si è unito a Morales nella richiesta di clemenza, poi negata, al governatore della California Arnold Schwarzenegger, il quale si è ultimamente distinto per aver più volte negato clemenza confermandosi spietato terminator anche in politica.
Si tratta di notizie che rassicurano alquanto la nostra educazione crocianamente cristiana e la nostra cultura tesa a difendere i valori della sopravvivenza e della concezione della medicina quale scienza impegnata in una lotta a oltranza contro la morte. Il rifiuto della pena di morte dovrebbe essere analogo a quello delle "buona morte" come viene definita l’eutanasia.
L’eutanasia è tuttavia un problema etico di grande complessità, poco adatto a irrinunciabili convincimenti in quanto legittimi sono le possibilità di opinione, dubbi, ripensamenti e perplessità. Da un lato, la nostra coscienza di individui moderni, sensibili ai diritti umani, ci porta a pensare che siamo legittimi proprietari della nostra vita, liberi di condurla come ci piace e perciò anche di interromperla quando l'esistenza ci appare troppo dolorosa o priva di significato; dall'altro, la nostra anima cristiana, magari in forma inconscia, ci avverte che la sfera del razionale non spiega tutto, che la vita umana possiede un valore che nessun dolore può scalfire e oscurare.
Apprendere, quindi, che anche nel paese della pena di morte individui, dimostratisi di alta caratura morale, si oppongono alla cultura giustizialista spinta all’eccesso è fonte di speranza per un futuro in cui la pena di morte venga considerata quello che è: una barbarie.
Provate a pensare a come quell’uomo, che fatta salva la sua colpevolezza di reati efferati, ha, comunque, trascorso 23 anni della sua vita in attesa di un’iniezione letale. Anche un solo giorno di una simile attesa è terribile, 23 anni possono annientare una persona, un’anima e quindi annullare lo spirito della pena che è l’espiazione. Ed anche ora che l’ha scampata ha ricominciato ad aspettare, un nuovo giudizio dovrà essere emesso su un fatto svoltosi un quarto di secolo fa. Non resta che sperare che un “rimbombare di zoccoli come cavalli al galoppo, un grande sbattere d’ali nell’aria buia” allontani da quest’uomo l’incubo della strega.
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