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 Anno II n° 5 del 16/03/2006    -   PRIMA PAGINA



...Dammi un minuto e ti racconto tutto
Il duello a cronometro: una novità nella galassia dei programmi televisivi
Di Paolo Russu


Finalmente, dopo l’evento per antonomasia, ovvero il Festival di San Remo e ancor prima della finale di Champions League di calcio, abbiamo assistito alla nascita del nuovo avvenimento cult delle future generazioni italiane: il duello tra futuri (col proporzionale non certissimi) premier, ovvero tra l’uscente Silvio Berlusconi e lo speranzoso entrante Romano Prodi.

Gli ingredienti, come si sa, sono quasi tutti americani: i leader delle due coalizioni, un timer che inflessibilmente conta il passare dei secondi per ogni risposta in capo all’uno e all’altro, un “vigile urbano” che disciplina rigorosamente (e non era facile) le parlantine pre-elettorali, niente pubblico, niente studio variopinto ma bensì bianco e algido come tutto il clima dell’incontro.

Negli Stati Uniti, ma anche in altri paesi, il modello è rodato da parecchio, ed è a detta degli esperti, più fruibile di quanto questa prima “esibizione italiana” ci abbia mostrato.
Perché se dal punto di vista dei contenuti, come al solito, ogni ascoltatore avrà potuto trarre le sue conclusioni in base alle risposte date e non date, ai punti di vista differenti e sulle future politiche da adottare, per quanto riguarda l’impatto comunicativo-visivo abbiamo assistito a “una prima” in tutto e per tutto ingessata.

Partendo dagli interessati, Berlusconi era evidentemente irrigidito nel dover articolare una risposta nel giro di un minuto o poco più, senza poter partire come minimo dalla conquista dell’America; ma, dall’altro lato, Prodi era evidentemente imbottito di consigli su come apparire, cosa rispondere, con che tono, rendendo i secondi iniziali di ogni suo intervento altamente ansiogeni. Insomma, c’è voluto un po’ prima che i due si adeguassero al canovaccio. Infatti poco dopo la metà, Berlusconi cercava di essere più conciso e Prodi si lasciava andare in qualche espressione emiliana (lassiare).

La cosa si è quindi svolta come una partita di tennis, ognuno nel suo campo, senza possibilità di “invasione”: la cosa ci ha stupito tutti, dato che siamo abituati al Processo di Biscardi, piuttosto che a Maria de Filippi. Detto ciò, alla fine, di cose concrete se ne sono dette poche, o quantomeno niente che non sia già stato detto (e meglio) in almeno altre cinquanta occasioni.

Ma allora cosa rende (ha reso e renderà) questa nuova tipologia televisiva di ordinaria amministrazione? In prima battuta tutto il circo mediatico che ruota attorno, con il lungo “pre” (curiosa la scelta de La7 che ha costruito un programma nel programma, immagino in accordo con la Rai) e “dopo evento”, nel quale si analizzano le incurvature delle sopracciglia dell’uno, il picchiettare della penna dell’altro, gli strafalcioni e i lapsus froidiani che spostano il consenso di qualche 0,1%.

A seguire il nuovo ruolo del conduttore (in questo caso Clemente J. Mimun), che si pone come arbitro totalmente superpartes ed ininfluente nel dibattito, superficiale a tal punto che ha fatto tenerezza la chiusura nella quale si giustificava per non aver potuto fare domande, rimandando alle prossime occasioni. Questo dimostra come già per i presenti quello schema comunicativo fosse assolutamente avulso dalle proprie abitudini. Immersi in uno studio, come detto, assolutamente freddo, a voler evocare di continuo un ambiente sterile (altro che Mezzogiorno di fuoco). L’attesa spasmodica che si crea su quotidiani e media, linfa vitale per una televisione che ormai si auto-alimenta, scevra di contenuti, ma piena zeppa di contenitori. Resta buona, ma ovviamente da perfezionare, l’idea di un tempo contingentato per ognuno dei candidati, auspicando per il futuro un botta e risposta più serrato e meno a compartimenti stagni, in grado di spostare veramente il consenso. Perché alla fine il tema è uno solo: quanto un duello gestito sul filo dei secondi è in grado di orientare l’elettore nelle scelte, di spostare quella fetta di indecisi che proprio dal confronto sperano di trarre nuovi elementi di valutazione?

Se chi è abituato alla “macchina televisiva” si preoccupa solo di apparire al meglio nel tempo dato (una cronometro ciclistica della politica quasi) e chi non mastica di televisione impiega tutto il tempo a impostare la voce ed a sorridere al momento giusto, i contenuti, dove vanno a finire? In un minuto di sicuro non ci stanno, probabilmente ne parleremo al dopo festival.



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