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 Anno II n° 6 del 30/03/2006    -   TERZA PAGINA


Visto per voi
Il caimano
- Fuori dai denti -
Di Daniela Losini


Il film è un patchwork di trame, semplificando all'osso almeno tre film in uno: scatole cinesi con più chiavi di lettura. C’è il piano narrativo della pura commedia, parte che riverbera noia nel secondo tempo prima di risalire la china con la bastonata del finale; il puro documento con filmati di repertorio e notizie ormai assodate, ed infine il film nel film immaginato e poi girato che racconta le vicende de “Il caimano” durante la lettura della sceneggiatura.

Quello che stupisce e indigna chi scrive è l’anomalia. A parte inutili personalizzazioni e strumentalizzazioni fin troppo facilone e dunque noiose - anche se lecite – perché far uscire il film adesso? Servirebbe a qualcosa ricordare, a chi bolla l’operazione come una semplice e chirurgica manovra di marketing, che più di un anno fa, e le notizie sono facilmente rintracciabili, Moretti disse che avrebbe fatto uscire la pellicola a marzo 2006? Sì, serve a farci giudicare ingenui. L’anomalia è che un certo cinema di denuncia o indignazione più o meno personale interessa a pochi. Rimaniamo sempre legati a un particolare provincialismo, da non confondersi con quello sano, ed è detto senza retorica alcuna, ma bensì con doloroso rimpianto riferito a Peppone e Don Camillo per capirci. Germina invece quel provincialismo di vedute che giudica operazioni del genere come manichee e politicizzate nell’accezione più negativa del termine. Quello che si scorda, piaccia o meno, è che ogni decisione, ogni azione è determinata dalla politica personale. Che poi si identifichi con una parte o l’altra non ha nessuna, nessuna importanza. L’anomalia è che nonostante tutti posseggano gli strumenti per formarsi un giudizio, non si metta in discussione quello che è comodo: ovvero delegare il proprio pensiero a qualcun'altro sollevandoci da ogni responsabilità di approfondimento.

L’oggettività in certi mestieri, vedi narratore, giornalista, regista in questo caso (e Moretti come regista è da sempre tecnicamente sufficiente o appena sufficiente, usa la macchina da presa non per inventare, stravolgere o mostrare ma per raccontare) non esiste, ma la serietà nello svolgere il proprio mestiere sì, e dovrebbe essere sacra, riconducibile alla propria onestà intellettuale. Quindi, gradito o meno, in questo Moretti non si smentisce, demolendo nel proprio personale tritacarne di indignazione chiunque, a cominciare dalla dirigenza sinistrorsa imbolsita e irreggimentata e soprattutto incapace totalmente di comunicare a chicchessia.

L’anomalia è la superficiale necessità di bollare il prossimo in una casella o in un’altra, tralasciando l’autonomia di giudizio, e tralasciando di giudicare se le categorie possono realmente aiutare nell’indicazione. Penetrare a fondo dovrebbe sempre essere la legge alla quale attenersi per esprimere questo giudizio che spesso invece nasce da un partito preso, dalla prudenza, dalla dissacranza, ovvero l’antidoto ad ogni retorica. Il suo rovescio è chiamarsi fuori e deresponsabilizzarsi, ma con molta più classe.
Sarà blazè, ma se dico che Moretti mi è piaciuto automaticamente sono di sinistra, se dico che non mi è piaciuto allora sono di destra, e se dico che qualcosa mi è piaciuto e qualcosa no allora sono qualunquista.

Fosse così semplice, la comprensione allora non avrebbe più necessità di esistere. Legittimo pensare a tutta una serie di strumentalizzazioni e faziosità ma è riduttivo come discorso anzi non è un argomento critico. C'è una frase rivelatoria: "Gli italiani quello che devono sapere lo hanno a portata di mano quindi questo film non dice niente di più di quello che si sa già." (http://www.marcotravaglio.it/interviste/satyricon.htm)
L’anomalia è stupirsene.



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