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Anno II n° 9 del 11/05/2006 TERZA PAGINA |
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Frammenti di storia dell’antico Egitto
L'Egitto e la bellezza
Di Nicoletta Consumi
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Quando si pensa ad un’antica rappresentazione della bellezza femminile egizia, il primo nome che viene alla mente è quello di Nefertiti, moglie del faraone “eretico” Akhenaton (1350 – 1333 a.C.)
I suoi ritratti mostrano una donna che sprigiona un’eleganza e una raffinatezza senza pari: dallo sguardo allungato sopra gli alti zigomi a quella bocca carnosa che caratterizzano un fascino senza tempo. Sono giunti sino a noi specchi in bronzo e legno, pettini d’avorio, sarcofagi, maschere in tela dorata e anche mortai e pestelli di basalto per ottenere polveri colorate, vasetti per unguenti in porfido e alabastro, accompagnati da un ampio apparato didattico. Traspare quindi la minuziosa attenzione dedicata alla cura del corpo, alle tante operazioni alle quali gli egiziani attribuivano significati magici e religiosi che andavano al di là della mera cosmesi. Da papiri, stele, pareti funerarie dipinte ci sono pervenute le descrizioni degli atti quotidiani relativi all’igiene e al trucco, come delle cerimonie rituali, finalizzate a raggiungere una perfezione estetica proiettata verso l’eternità. Il corpo, preservato dalla mummificazione, doveva risultare sempre gradevole e attraente. I trattamenti non differivano nelle finalità e nelle preparazioni profumate da quelli in uso più tardi in Grecia e a Roma che pure si ispiravano alle ricette che arrivavano dall’Egitto e importavano ogni novità. Grazie a fonti letterarie siamo a conoscenza di creme di bellezza, unguenti ricavati da grassi animali e petali odorosi, tinture per capelli e trattamenti contro le imperfezioni della pelle. Moderno l’utilizzo di tatuaggi per lo più raffiguranti motivi geometrici e immagini del Dio Bes per un omaggio religioso e per apparire più seducenti. Curiosa è l’abitudine di profumare i capelli di uomini e donne con un cono fatto di grasso che veniva sistemato sulla testa, sopra le capigliature. Grazie al calore corporeo il cono si scioglieva e finiva sugli abiti, che restavano così impregnati a lungo di mirra e giglio. Caratteristica tutta egiziana era l’uso di latte umano nelle preparazioni di creme per la pelle come elemento di “rinascita” dal forte valore religioso. Il Kohl sottolineava lo sguardo ammaliatore, usanza millenaria ancora diffusa nel mondo arabo e da noi solo fenomeno di moda. La sostanza era ricavata dalla galena, minerale nero del piombo e serviva persino come collirio per irritazioni provocate dalla sabbia o dal sole. Le divinità collegate alla bellezza erano Nefertum e Seshat, il primo dall’aspetto leonino e aggressivo proteggeva olii e balsami, l’altra dall’abito ricoperto da una pelle di pantera era definita la dea del trucco. Per mantenere l’integrità del corpo era invocata la protezione del falco Horus attraverso il suo occhio, l’ugiat, considerato un amuleto di grande efficacia. Placchette con la sua riproduzione erano infilate nelle bende di lino delle mummie. La scultura ed i dipinti ci restituiscono immagini tali da poter ipotizzare i canoni fissati dagli egizi per definire il fascino femminile: giovani aggraziate, snelle, dal seno pieno, ben truccate, dalla pelle liscia e morbida; per l’eliminazione dei peli superflui ci si affidava a pinzette e rasoi, ma erano diffuse anche le creme depilatorie fatte, incredibile ma vero di: uccelli cotti e tritati, sterco di mosche, succo di sicomoro, cetriolo e gomma. |
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