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Lo scooter, la Vespa e la Lambretta: un epoca, un modo di vita italiano degli anni '50 Di Giacomo Nigro
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Negli anni del dopoguerra cominciarono a percorrere le accidentate strade italiane dei buffi veicoli, gli scooter. Con questa parola (che poi vuol dire monopattino) i militari inglesi chiamavano certe minuscole motociclette in dotazione ai paracadutisti. Nel 1946 nella fabbrica di aeroplani Piaggio di Pontedera qualcuno pensò di utilizzare dei motorini di avviamento di aerei militari, che non servivano più, per un motociclo dalle forme tondeggianti, le ruote piccole, uno scudo anteriore, la Vespa. Qualche centinaio di chilometri più a nord, sulle rive del Lambro, l'ingegner Innocenti costruì un altro scooter, la Lambretta, utilizzando come telaio un tubo di acciaio di sua produzione (il tubo "Innocenti" per le impalcature dell'edilizia) piegato a forma di esse. Entrambi i veicoli ebbero un successo immediato: erano facili da guidare, andavano dappertutto, consumavano poco; il motore era protetto, e quindi non macchiava i pantaloni come quello delle motociclette; non occorreva cavalcarli ma bastava sedersi sul sellino. Si poteva ospitare un secondo passeggero, generalmente una moglie seduta di lato per esibire meno possibile dei ginocchi, ed eventualmente un bambino in piedi davanti al guidatore. Vespa e Lambretta motorizzarono l'Italia. La acquistarono gli operai del nord per andare in fabbrica la mattina e i pastori sardi per seguire i greggi di pecore; i parroci di provincia e gli agit prop del partito comunista; i minatori della Maremma con il loro primo stipendio e gli studenti delle città. Vespa e Lambretta erano due scuole di pensiero e due modi di vivere in un'Italia manichea, come era per Coppi e Bartali. Riunivano intorno a sé club di appassionati in tuta bianca, con la fascia elastica nera alla vita, casco e occhialoni: percorrevano in formazione l'Italia, utilizzando così il loro primo tempo libero, ripercorrendo le tappe del Giro d'Italia, che insieme alla Mille Miglia automobilistica portava in tournée lo sport sotto le finestre delle case degli italiani, tallonato dalle motociclette dei radiocronisti della Rai. Con lo scooter certamente si potevano fare molte cose: districarsi nel caotico traffico di Roma, come Gregory Peck e Audrey Hepburn nel film "Vacanze romane" (1953), effettuare pellegrinaggi motorizzati guidati da un Walter Chiari sacerdote in Lambretta ("Un giorno in pretura", regia di Steno, 1953), o realizzare i furtivi abbracci d'amore nella periferia milanese descritti da Visconti in "Rocco e i suoi fratelli" del 1960. Ricordo che mio padre aveva la Vespa e suo cognato (mio zio) la Lambretta: su entrambe, sono andato in giro, stando in piedi sul predellino e riempiendo di curiose domande il conduttore di turno su tutto ciò che vedevo scorrere come in un film intorno a me, mentre il vento mi scompigliava i corti capelli di bambino. Non ricordo se ci fosse rivalità fra i due scooteristi ma ci tenevano tantissimo alla loro motoretta che era insieme motivo di orgoglio, divertimento e mezzo di trasporto e quindi anche di lavoro. La Vespa di mio padre sembra eterna, l'ho rivista ancora un paio d’anni fà: malandata ma in funzione. La Lambretta invece cedette tanti anni fa, la ricordo arrugginita e abbandonata in campagna che ero ancora ragazzo. Argomenti: #industria , #lambretta , #motocicletta , #scooter , #vespa Leggi tutti gli articoli di Giacomo Nigro (n° articoli 139) il caricamento della pagina potrebbe impiegare tempo |
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