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Viaggio nel mondo della consulenza Il consulente tecnico: una vita non sempre facile Di Roberto Filippini Fantoni
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Si dice che la libertà non ha prezzo. Sono uno di quelli, fra i tanti, che ha scelto di rischiare qualcosa di più per poter disporre di maggior libertà di agire, di essere svincolato dalla burocrazia che, volenti o nolenti, in maggiore o minor misura, deve regolare la vita di un industria, dalle piccole alle grandi.
C’è chi ii invidia per questa libertà d’azione, ma non avrebbe mai il coraggio di fare la tua scelta perché ama la sicurezza del posto di lavoro da dipendente – oggi, ahinoi, nemmeno tanto più sicuro – oppure preferisce avere su di sé il minimo delle responsabilità, solo quelle che attengono al proprio lavoro e di quelli che dal loro lavoro dipendono. C’è chi ti invidia ma non ha modo di poter fare questa scelta perché non ha le competenze necessarie, per incapacità personale o perché il tipo di lavoro che ha fatto gli ha dato incombenze diverse, ma generiche, che non lo hanno costretto in ambiti ben precisi e definiti entro i quali poteva accumulare esperienze monotematiche ma approfondite. Quest’ultimo è il punto chiave che distingue le varie categorie di consulenti che si offrono sul mercato industriale: dai veri professionisti capaci realmente di offrire qualcosa di concreto e duraturo all’azienda, si passa a generici passatori di informazioni che, spremuti a dovere per il poco che sanno ed è d’interesse dell’azienda, vengono scaricati e vagolano in attesa di altre offerte di imprese che potrebbero essere interessate; si arriva infine a dei veri e propri ciarlatani – generalmente pensionati – che offrono ricette miracolose a livello tecnico o logistico credendo possibile traslare tout-court le loro esperienze dall’azienda di provenienza a quella che hanno contattato per offrire le loro, ahimé, misere prestazioni. Vediamo di fare dei distinguo e di specificare meglio le differenze fra queste diverse categorie. Un consulente sui generis potrebbe essere colui che possiede ricette, formulazioni, sistemi gestionali, che ha acquisito in industrie di un certo spessore e generalmente di dimensioni decisamente maggiori di quella per cui deve fare la consulenza. A livello gestionale è chiaro che, se la sua competenza deriva solo da un lavoro fatto in una singola azienda, per quanto all’avanguardia in quel settore, le difficoltà di traslazione sono immense. In questi casi potrebbe essere utile un consulente che ha gestito a livelli differenti e in imprese di dimensioni le più svariate; interessante è anche una consulenza di persone provenienti dall’università, sempre che siano stati in contatto con imprese e ne abbiamo assorbito tutti i problemi reali, che non sempre sono congrui con quelli che si trovano sui libri. A livello tecnico vale più o meno la stessa cosa solo che molto spesso i consulenti universitari possono comunque dare una mano anche senza aver vissuto in maniera pesante i problemi reali dell’industria. Tra i consulenti tecnici – e in questa categoria ci sono anch’io – le possibilità di offerta sono svariate e possono essere tutte utili a patto che il consulente venga riconosciuto per quello che dice di essere capace di dare e non gli si chieda di più. Tipico esempio di questa categoria sono quelli che offrono ricette di una certa rilevanza, acquisite in precedenti esperienze lavorative in industrie all’avanguardia. Molto spesso si tratta di un lavoro “sporco”, anche se legale, perché in certi casi si sta vendendo un “segreto” industriale. Dal punto di vista legale non c’è moltissimo da fare per difendersi da queste uscite di know-how dall’industria e l’unica arma vera è il brevetto, un’arma costosa e che molte ditte non si sentono di affrontare per questioni meramente economiche, non tanto per i costi del brevetto quanto per quelli per sostenere una causa in caso di “ infringement ” da parte degli altri. Io stesso a volte sono stato contattato semplicemente per ricette, non protette da brevetto. E questo genere di “consulenza” (la chiamerei più “vendita” che consulenza) è quella che a volte ti rende di più anche se si tratta di un’entrata una-tantum e non ti garantisce la sopravvivenza se non per qualche anno nei casi di vendite realmente milionarie. Se parliamo di quelli che vendono qualcosa di più di una ricetta sia in campo gestionale e fiscale come in quello tecnico, il punto più delicato di questo mestiere è l’obsolescenza. Chi fa questo mestiere deve essere in grado di rimanere sempre aggiornato (up-to-date nel gergo) e proprio questo è il punto dolente della faccenda. Per farlo ci sono diverse possibilità ma non sono sempre facilmente praticabili. Se il consulente ha parecchi clienti di diversa potenzialità e appoggia con consigli il settore con il quale collabora e che ha un suo gruppo di sviluppo, allora l’offerta di consulenza e di esperienza ha un ritorno in termini di crescita congiuntamente all’azienda. Ma questi sono casi non frequenti e sono da ricercarsi soprattutto nel caso di grandi industrie o di super-consulenti. Un’altra possibilità è il contatto con le università che nel settore a cui fa riferimento il consulente vanno per la maggiore e sono sempre in grado di mantenerlo attualizzato. Questo peraltro è esattamente quello che io faccio per rimanere informato sulle attualità nel mio settore. Ma anche questo tipo di contatti non si possono creare dal nulla e devono instaurarsi certi tipi di rapporti abbastanza importanti con il settore universitario, addirittura collaborando con loro per un ritorno di informazioni provenenti dall’industria e che il consulente può passare all’università. Potrei dilungarmi assai su varie altre tipologie di consulenza ma lo spazio a disposizione non me lo permette. Vorrei solo citare quelli che a mio parere sono più redditizi e utili e cioè quelli in cui il consulente viene integrato in maniera ottimale con il settore sviluppo e non passa solo informazioni, ma crea una mentalità di lavoro del gruppo di ricerca, una rete di contatti importanti con il settore universitario e sviluppa insieme a loro programmi di ricerca. Se questo è il rapporto migliore e più duraturo è anche il più difficile da instaurare a meno che il consulente sia di quelli veramente di altissimo livello. Negli altri casi, specialmente nelle medie industrie e peggio ancora in quelle gestite in modo padronale, esiste una remora tremenda da parte del management: la paura che il consulente passi informazioni ad altri. Molte volte ci si dimentica di una cosa basilare. Se tu hai bisogno di un consulente è perché non conosci l’argomento e quindi quello che lui ti da ti permette un aggiornamento. Quindi quello che in più tu fai da quel momento non è frutto di una tua esperienza ma di una esperienza del consulente, con la quale il consulente deve vivere offrendola ad altre aziende. C’è una possibilità per superare l’empasse e questa è la stipula di un contratto che vincola il consulente all’azienda. Ma in questo caso non dovremmo parlare di consulente ma di “impiegato” esterno con un rapporto di lavoro diverso da quello dei normali dipendenti. Il consulente, entrando in azienda, può ovviamente venire a conoscenza di pratiche produttive o gestionali dell’azienda stessa che potrebbero essere divulgate ad altri e logicamente è proprio un rischio che l’azienda non vuol correre. Esistono Contratti di Segretezza che usualmente tutti i consulenti firmano, anche se non possono essere indefiniti, ma solo limitati ad alcuni anni. Generalmente quindi questo tipo di contratti ha validità di massimo due anni, salvo speciali casi oppure pagando fior di quattrini per il vincolo anche al termine del periodo di consulenza. Nonostante i Contratti di Segretezza, il rischio di fuoriuscite di informazioni c'è sempre, e l’azienda deve valutare se il gioco vale la candela. Per settori assolutamente strategici i rapporti di consulenza sono un po’ più difficili e complicati e generalmente si tratta sempre di consulenze di altissimo livello. Dall’alto livello passiamo ora ai “cioccolatai”! Specialmente nell’ambito tecnico ci sono molti pensionati che, ancor giovani per mettersi le pantofole, cercano di vendere la loro esperienza lavorativa a imprese minori del settore di loro competenza, con le quali erano venuti in contatto e delle quasi sapevano le carenze. Per gente come me che il mestiere di consulente lo fa per professione e non per evitare la noia del pensionato, queste persone sono deleterie al massimo. Infatti, pur di fare qualcosa, si “vendono” per poche lire e diventano concorrenti che abbassano i prezzi sul mercato e per il consulente professionista sono come delle mine vaganti. Quante volte di fronte alle mie richieste economiche mi sono trovato facce sbigottite e ho dovuto affrettarmi a dir loro che io non sono pensionato e che devo guadagnare il sufficiente per vivere e non possono confrontarmi con gente che ricerca lavoro per evitare depressioni da pensionamento. Poi, molti di questi ultimi, non hanno la mentalità del consulente e hanno in realtà molto poco da vendere perché hanno vissuto una sola realtà: inoltre diventano obsoleti in pochissimo tempo! Dovrei ora raccontarvi dei rapporti che intercorrono tra i consulenti e i manager dell’azienda, o i dipendenti che con loro collaborano. Un argomento interessante e che coinvolge la psicologia dei rapporti e che molto spesso crea difficoltà al consulente o ai dipendenti dell’azienda che con lui collaborano. Mi sono però accorto di aver abbondantemente superato il rigaggio massimo consentitomi e, anche se sono il D. R. di Spaziodi Magazine, non voglio approfittarmene e rimando eventualmente ad un futuro articolo per il completamento dell’argomento. Argomenti: #consulenza , #professioni , #tecnologia Leggi tutti gli articoli di Roberto Filippini Fantoni (n° articoli 30) |
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