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Intervista al Professore Annibale Biggeri

È solo la Sardegna ad essere inquinata dalle presenze militari e industriali?

Lo studio presentato è la fotografia di una realtà inquietate ed estensibile ad altre aree

Di Sara Giostra

I dati pubblicati sul “Rapporto sullo stato di salute delle popolazioni residenti nelle aree interessate da poli industriali, minerari e militari delle Regione Sardegna” sono incontrovertibili e preoccupanti. Siamo anche conviti che il problema non sia solo della Sardegna, ma si ripeta in modi simili in tutta l’Italia o addirittura in tutto il mondo. Oggi si è sempre più coscienti che lo sviluppo economico è fondamentale per la crescita di una nazione, ma è accettabile solo se rientra in una prospettiva di “sviluppo sostenibile”: quando, cioè, il rispetto del territorio e della salute sono punti fermi nell’elaborazione delle politiche di pianificazione economica. Per approfondire queste tematiche abbiamo posto alcune domande al Professore Annibale Biggeri, epidemiologo e statistico medico dell’Università di Firenze e coordinatore della ricerca appena conclusasi in Sardegna..

Per la purezza e l'incontaminazione del suo ambiente, la Sardegna è definita da molti suoi visitatori un paradiso terrestre. Professore, si aspettava una realtà così negativa sullo stato di salute della popolazione nelle aree analizzate?
Io studio da tanti anni la distribuzione delle malattie, quindi sono rimasto sorpreso solo fino ad un certo punto. Le regioni meridionali hanno perso il loro vantaggio rispetto alla media nazionale oramai da vent'anni, la realtà italiana è molto più omogenea di quanto si possa pensare. Quello che mi ha stupito è l’entità dei contrasti all’interno della regione Sardegna: ci sono aree dove il profilo di mortalità è buono e aree dove il profilo di mortalità e di ricovero ospedaliero è compromesso. Prendo come esempio il Sulcis Iglesiente : è noto da più di dieci anni che quest’area è fortemente compromessa dal punto di vista ambientale

E per quanto riguarda le altre regioni italiane, quali sono le aree dove la popolazione è maggiormente esposta al rischio di patologie oncologiche?
Sono stato uno dei responsabili del rapporto pubblicato a suo tempo dall’Organizzazione Mondiale della sanità su “Ambiente e salute in Italia”, e questo rapporto prendeva in esame tutte le aree definite a rischio di “crisi ambientale”, che è una definizione legislativa italiana. Il rischio riguarda aree puntiformi, legate a uno o più comuni, come Augusta, Briolo, Brindisi, Crotone, Gela, Manfredonia, Taranto, e poi aree più complesse come la Valle del Sarno, il Po e il delta del Po.

Si tratta di aree a forte concentrazione industriale e mineraria, caratterizzate da un elevato livello di aria e sostanze inquinanti. Esiste una forte relazione tra l’ambiente esterno (inquinamento) e la probabilità di ammalarsi di patologie oncologiche?
Dipende, perché i fattori di rischio ambientali sono tra i più svariati. Ad esempio, nel rischio di tumori della pelle è importante l’esposizione alla luce solare... Se lo vogliamo però vedere in termini di inquinamento legato all’emissione di fonte industriale o fonte da traffico autoveicolare, è difficile fare una valutazione globale; bisognerebbe vedere, infatti, le città, il tipo di industria di cui si parla, e, ovviamente, occorre parlare di gruppi di popolazione che possono essere numericamente limitate. Il “Rapporto italiano sulle aree a rischio” evidenziava che circa il 20% della popolazione italiana risiedeva in queste aree, ma occorre tenere presente che tra queste era compresa l’area di Napoli, e il tiangolo veneto che è quasi la metà della provincia di Milano.

In conclusione, quali sono le politiche di prevenzione? In particolare, ritiene che l’informazione svolga un ruolo soddisfacente in relazione alla tematica ambiente inquinato e le patologie connesse?
Il problema dell’informazione riguarda il corretto rapporto tra i cittadini e le istituzioni e rientra in un discorso generale di democrazia. L’aspetto riguardante la salute è diventato un aspetto ineliminabile: in tutti i tavoli decisionali, tutte le volte che si entra in considerazioni che riguardano l’ambiente, bisogna ormai tenere presente le ricadute passate, presenti e potenzialmente future sulla salute. L’informazione è importante, fa parte di un processo democratico e di un corretto rapporto tra i cittadini e le istituzioni. A maggior ragione riguardo i rischi ambientali, perché questi vanno a incidere su gruppi particolari della popolazione. L’informazione è importante in questo senso, perché i gruppi che possono essere negativamente influenzati dall'emissione di sostanze tossiche devono poter esprimere la loro opinione ed essere considerati e tutelati nei tavoli decisionali. Niente va dato per scontato, va tutelata la trasparenza delle decisioni e la possibilità di avere accesso all'informazione.


Confidiamo quindi nella realizzazione di questo traguardo, attraverso l’elaborazione “a lungo termine” di politiche di sviluppo sostenibile, la lotta all’inquinamento, la tutela dell’ambiente, la salvaguardia della salute e le corrette politiche di informazione. L’informazione inadeguata, quando cioè esiste la scarsità delle notizie nella conoscenza di dati e tabelle o forme di prevenzione, è peggio di una censura, perché nasconde i mali della società rendendoli invisibili. Anche l’informazione è una tappa nel processo di costruzione di una società democratica.

Alle autorità preposte alla salvaguardia dei diritti di cittadinanza chiediamo di collaborare concretamente con le istituzioni sanitarie e con la società civile affinché possa essere realizzata la tutela globale del territorio e delle popolazioni.

Argomenti:   #biggeri ,        #industria ,        #inquinamento ,        #intervista ,        #italia ,        #militare ,        #sabbioneta



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