Il 19 Maggio La Repubblica pubblica un articolo, “Conigli e pappagalli a scuola, la bambina 'ritrova' la parola”: da sei anni una bambina israeliana non apriva bocca con compagni e insegnanti, ma con l'arrivo in classe di alcuni pappagalli e conigli ecco “la magia” spuntare inaspettata: mentre accarezzava i coniglietti, la bambina ha cominciato a parlare, facendo scoppiare la madre in lacrime per l'emozione.
E risale sempre ai primi di maggio la conferenza stampa nella quale il Professor Davide Moscato, direttore del Centro cefalee infantili dell'ospedale San Carlo di Nancy di Roma, annuncia l'inizio della sperimentazione della Pet Therapy anche sugli adulti, dopo il successo che il piccolo zoo aperto all'interno dell'ospedale ha già avuto sui bambini.
Gli animali sempre più amici dell'uomo quindi? Parrebbe proprio di si, visti gli incoraggianti risultati che da anni si ricevono in questo campo, e gli studi sempre più frequenti e approfonditi che gli si dedicano.
Accarezzare gli animali, coccolarli e giocarci abbassa la pressione sanguigna, fa diminuire la tensione, lo stress e l'aggressività potenziale; tra l'altro avere a che fare con loro offre spunti di conversazione, di ilarità e di gioco, l'occasione, cioè, di interagire con gli altri anche per chi ha difficoltà. L'intesa dell'uomo con gli animali è forte e considerata importante fin da tempi molto lontani: già Ippocrate, 2400 anni or sono, valutava gli effetti benefici che si traevano da una lunga cavalcata e la consigliava agli amici per combattere insonnia e ritemprare il fisico e lo spirito in situazioni che oggi definiremmo di "stress". Ma è dagli anni '60 che uno psichiatra infantile anglosassone, Levinson verificò scientificamente l'efficacia terapeutica degli animali d'affezione impiegati per il recupero di persone con gravi turbe psichiche, coniando il termine "Pet Therapy".
Da allora gli studi non si sono più fermati, e la tecnica di aiutare i pazienti con la compagnia degli animali si è sempre più diffusa e perfezionata. Gli animali che vengono abitualmente coinvolti nella pet-therapy sono cani, gatti, criceti, conigli, asini, capre, mucche, cavalli, uccelli, pesci e delfini. Non animali selvatici quindi, nè animali esotici o cuccioli; solo animali adulti che, seguiti continuamente da veterinari esperti, si dimostrino particolarmente equilibrati, in grado di evitare reazioni indesiderate a stimoli eccessivi e a manipolazioni maldestre.
La pet-therapy può rappresentare un valido aiuto per pazienti con problemi di comportamento sociale e di comunicazione, per chi soffre di alcune forme di disabilità e di ritardo mentale, e per pazienti psichiatrici.
«Che si tratti di un coniglio, di un cane, di un gatto o di altro animale scelto dai responsabili di programmi di pet-therapy, la sua presenza solitamente risveglia l'interesse di chi ne viene a contatto, catalizza la sua attenzione, grazie all'instaurazione di relazioni affettive e canali di comunicazione privilegiati con il paziente, stimola energie positive distogliendolo o rendendogli più accettabile il disagio di cui è portatore», racconta il professor Davide Moscato, e continua: «I bambini ricoverati in ospedale, ad esempio, soffrono spesso di depressione, con disturbi del comportamento, del sonno, dell'appetito e dell'enuresi dovuti ai sentimenti di ansia, paura, noia e dolore determinati dalle loro condizioni di salute, dal fatto di essere costretti al ricovero, lontani dai loro familiari, dalla loro casa, dalle loro abitudini.
Alcune recenti esperienze condotte in Italia su bambini ricoverati in reparti pediatrici nei quali si è svolto un programma di Attività Assistite dagli Animali, dimostrano che la gioia e la curiosità manifestate dai piccoli pazienti durante gli incontri con l'animale consentono di alleviare i sentimenti di disagio dovuti alla degenza, tanto da rendere più sereno il loro approccio con le terapie e con il personale sanitario».
Un altro bell'esempio di pet-therapy sperimentale è venuto nell'ottobre 2005 dal progetto che ha coinvolto un gruppo di anziani non autosufficienti all'interno di un residenza dell'Asl 4 di Torino. Grazie al contatto con Gilda, un golden retriever adulto, hanno nettamente migliorato il loro modo di relazionarsi. Si trattava di pazienti malati di Alzheimer, o con grosse patologie relazionali e disturbi di varia natura, a volte legati alla mobilità, altre alla salute mentale. «Molti degli anziani coinvolti - hanno spiegato l'etologa Cristina Giacoma e il veterinario Anna Cavallaro a LaStampaweb il 26 ottobre 2005 - hanno ripreso, grazie a Gilda, a muoversi, a pensare positivo, ad attendere l'incontro con l'animale. Alcuni hanno semplicemente ripreso ad amare la vita attraverso l'affetto con il cane, a mangiare, ad occuparsi del proprio corpo».
E ora la sperimentazione si allarga agli adulti affetti da cefalee, ansia e depressione. Ma noi sappiamo già che i nostri amici animali, per una volta ancora, non ci deluderanno.
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