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 Anno II n° 11 del 08/06/2006    -   PRIMA PAGINA



Iraq: continua una guerra, per noi lontana...

Di Giacomo Nigro


In Iraq continua una guerra, per noi lontana, i cui echi di violenza e ingiustizia ci giungono ogni giorno. Il 4 giugno:
“Ennesima giornata di violenza in Iraq. Con gli episodi più gravi a Baquba, a nord della capitale, e a Bassora, a sud. Ma la turbolenza investe anche l'attività politica, con il Parlamento costretto ad annullare la seduta che avrebbe dovuto nominare i nuovi ministri dell'Interno e della Difesa. L'accordo sui nomi dei due nuovi membri del governo non è stato infatti ancora raggiunto. Nella zona di Baquba, questa mattina sono stati uccisi 24 civili. Un commando di uomini armati ha fermato gli automezzi che passavano per strada, tra cui un pulmino. Le persone sono state fatte scendere e poi trucidate. Lo hanno riferito fonti della polizia locale.”
E ancora il 5 giugno:
“Si aggrava il bilancio della strage provocata dall'autobomba che oggi pomeriggio è esplosa a Bassora, nel sud dell'Iraq. I morti sono diventati 28 e i feriti sono 62. La carneficina è avvenuta alle 18.30 (ora locale), così come riferiscono fonti dei servizi di sicurezza. Alla guida dell'auto c'era un kamikaze”. (La Repubblica).

Del nostro giovane militare ucciso e dei quattro feriti ne portiamo tutti fresco dolore mentre gli occupanti si ostinano a pensare che la soluzione democratica del conflitto passi attraverso le armi. Infatti ecco l'annuncio di oggi del premier iracheno Al Maliki: «Al Zarqawi è stato eliminato». Il comandante supremo americano in Iraq, il generale George Casey, ha aggiunto che il luogotenente di Bin Laden è stato ucciso in un attacco aereo vicino a Baquba e identificato con le impronte digitali.

Intanto il parlamento iracheno ha approvato la nomina dei ministri dell'interno e della difesa. Il sunnita Abdul Kader Mohammed al Obaidi, nominato per la difesa, lo sciita Jouad al Bolany, nominato per gli interni, e Sherwan al Waely per il ministero della sicurezza nazionale hanno tutti ottenuto l'investitura del parlamento. Quasi sei mesi dopo le elezioni legislative del 15 dicembre l'Iraq ha infine un governo completo.

Dopo questa breve cronistoria dei fatti più recenti è il caso di puntualizzare che, in pochi anni, la credibilità che l’Italia si era faticosamente costruita nei confronti dei Paesi del Medio Oriente e del Nord Africa è andata in fumo; l’apoteosi si raggiunse quando il Capo del nostro Governo sbandierò la pretesa superiorità della cultura occidentale portando agli eccessi l’incondizionato appoggio alla politica statunitense.

Ben si comprende che non è possibile aprire una nuova pagina senza chiudere la precedente. Ritirare le truppe dall’Iraq dovrebbe quindi essere il primo passo, peraltro promesso dal programma elettorale dell’Unione.

«L’Italia non volterà le spalle all’Iraq. La conclusione della nostra presenza militare, con il rientro del contingente, non rappresenta in alcun modo un disimpegno. Tutt’altro». Lo ha detto recentemente il ministro della Difesa, Arturo Parisi, parlando davanti ai militari italiani a Nassiriya. “L’impegno dell’Italia - ha aggiunto - proseguirà ulteriormente attraverso una rafforzata collaborazione politica, civile, umanitaria e di sostegno alle istituzioni e alla ricostruzione del Paese. Si tratterrà di un programma molto qualificato che si propone di rafforzare l’impegno della comunità internazionale a favore dell’Iraq».
«È un grande sforzo politico e diplomatico - ha detto ancora il ministro della Difesa - al quale l’Italia non farà mancare intelligenza, entusiasmo, impegno, nei grandi fori internazionali, nel quadro delle Nazioni Unite, dell’Unione Europea e dell’Alleanza Atlantica».

Il ministro degli esteri D’Alema, ha annunciato ieri che le nostre truppe si ritireranno entro l’autunno con gradualità, assicurando l’appoggio all’Iraq per la ricostruzione.

Speriamo ora che venga ripreso il filo smarrito di una politica finalizzata alla convivenza è il riconoscimento dell’altro attraverso la dimostrazione che lo si considera seriamente un interlocutore meritevole di relazioni e dialogo culturale.

D’altro canto si sa che sono in corso negoziati per la definizione delle condizioni delle concessioni di sfruttamento dei campi petroliferi del sud Iraq: le multinazionali del petrolio premono per contratti di partecipazioni produttive che potrebbero risolversi in una vera e propria rapina delle risorse irachene. L’Italia è coinvolta per mezzo dell’Eni, che è interessata al giacimento di Nassiriya. Il nuovo governo dovrebbe indurre l’Eni a rompere il cartello delle multinazionali del petrolio ed a chiedere trattative separate, proponendo condizioni contrattuali che non profittino della partecipazione alla guerra, ma siano orientate a sostenere la ricostruzione dell’Iraq.

Occorrerebbe infine una politica incentrata sulla riconciliazione nazionale e sul recupero della sovranità irakena ed un intervento civile di sostegno umanitario, che è stato annunciato e peraltro, messo in dubbio, in assenza di copertura militare.

L’Iraq necessita di una soluzione politica che metta fine alla violenza. Una soluzione che, per essere trovata, deve vedere le forze irachene libere dalle interferenze esterne. In questo senso il nuovo Governo potrebbe offrire i propri sforzi diplomatici affinché le diverse componenti irachene, comprese quelle attualmente fuori dal processo politico, si possano incontrare, in autonomia, per avviare negoziati finalizzati a porre fine alla guerra civile. Si spera insomma che per una volta il teatrino della politica spettacolo produca meno apparenza e più sostanza, con buona pace per le spille con la bandiera della pace (bisticcio di parole compreso).



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