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Anno II n° 13 del 06/07/2006 IL MONDO - cronaca dei nostri tempi |
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Un problema della società moderna che può essere superato
Bullismo e baby gang: giovani oppressi e violenti
Dietro le baby-gang si nasconde un malessere sociale diffuso e la carenza della famiglia
Di Sara Giostra
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Quasi ogni giorno si registrano episodi di violenza e di aggressività di gruppo da parte dei minori. I mezzi di informazione sono costretti a dare sempre più spazio alle notizie sulle baby-gang: a Pordenone sono stati arrestati dalla polizia quattro minorenni tra i 15 e 17 anni, accusati di far parte di una "baby gang" che ha aggredito alcuni omosessuali e un disabile; a Pescara quattro componenti di una vera e propria banda in erba (due diciassettenni, un sedicenne e un quattordicenne) hanno terrorizzato i ragazzini di un'intera scuola media.
Fortunatamente però il fenomeno “bullismo” non è ancora così diffuso in Italia come in alcune grandi metropoli americane o del nord Europa. Nel Regno Unito, ad esempio, l’ultima vittima del bullismo è stato Kiyan Prince, un ragazzino di 15 anni ridotto in fin di vita da un suo coetaneo e ritrovato da alcuni professori vicino ai cancelli della propria scuola nella periferia di Londra. Nel nostro paese sono stati condotti molteplici studi sul fenomeno, che hanno contribuito a delineare il significato, le caratteristiche e le ipotesi di prevenzione. Il bullismo viene definito da Dan Olweus (considerato la massima autorità mondiale in materia, autore di Il bullismo a scuola. Ragazzi oppressi, ragazzi che opprimono, Edizioni Giunti, 1986) come “un’oppressione, psicologica o fisica, ripetuta e continuata nel tempo, perpetuata da una persona - o da un gruppo di persone - più potente nei confronti di un’altra persona percepita come più debole”. Secondo Olweus “uno studente è oggetto di bullismo, ovvero è prevaricato e vittimizzato, quando viene esposto, ripetutamente nel corso del tempo, alle azioni offensive messe in atto da parte di uno o più compagni”. Più specificamente “un comportamento ‘bullo’ è un tipo di azione che mira deliberatamente a far del male o a danneggiare”. In genere la vittima subisce in silenzio perché viene minacciato ed ha paura di eventuali vendette. Ma chi sono i ragazzi delle baby-gang? E cosa li muove? Una ricerca condotta dal Telefono Azzurro del 2004, dal nome “Il fenomeno del bullismo. Conoscerlo e prevenirlo” sottolinea che la provenienza socioculturale dei ragazzi appartenenti alle baby-gang non necessariamente è il frutto di realtà familiari e sociali devianti o disagiate. Anche se queste ultime ne costituiscono la maggioranza, i baby-criminali non vengono solo da famiglie povere, né abitano soltanto nelle periferie degradate delle città, ci sono stati infatti casi di giovani prepotenti che provenivano anche da famiglie benestanti o medio-borghesi. Il contesto socio-economico a cui appartengono i baby criminali ci aiuta a comprendere le ragioni che stanno alla base dei loro comportamenti violenti o aggressivi. Alcuni sono spesso spinti dal mito delle grandi imprese, dal desiderio di affermare la propria superiorità, forza o potere. Altri, quelli appartenenti ai ceti disagiati e poveri, si percepiscono come “esclusi”, come appartenenti ad un popolo “diverso” rispetto ai loro stessi compagni e pensano di avere il diritto di prendersi con la forza ciò che gli altri possiedono e loro no. Dietro queste situazioni si nasconde un disagio diffuso che si manifesta in comportamenti antisociali. Un disagio che a volte nasce nell’ambiente familiare. Gli stessi “bulli” sono spesso vittime di stili di vita in cui prevalgono educazioni autoritarie e intolleranti. La problematicità e il malcontento di questi ragazzi “sfocia” in forme di relazione non lecite come appunto la creazione vere e proprie bande criminali. La loro è un inconscia richiesta d'aiuto che spesso rimane inascoltata. Oggi crescere è un’impresa complicata, soprattutto in una società dove sempre più spesso i ragazzi sono lasciati da soli davanti alla tv, educati dal commercio e dalla pubblicità o dal gioco o abito all’ultima moda. La famiglia e la scuola svolgono ruolo determinante per la socializzazione e lo sviluppo psicologico dei ragazzi in una fase delicata come quella adolescenziale. Il sistema familiare di cui questi ragazzi fanno parte viene, si voglia o meno, inevitabilmente accusato. Le trasformazioni subite dalla struttura familiare (aumenti dei divorzi, ridotto tasso di natalità) hanno cambiato il modo in cui i figli si percepiscono come membri di una famiglia (nel rapporto con i genitori e nelle relazioni esterne). Ma anche la scuola diventa un importante tassello per comprendere il fenomeno e le ipotesi di prevenzione: la scuola consente un’osservazione privilegiata dei comportamenti individuali e di gruppo. Nella ricerca condotta nell’anno 2004 su un campione rappresentativo di 3453 adolescenti tra i 12 e i 18 anni e pubblicata nel 5° Rapporto Nazionale sulla condizione dell’infanzia e dell’adolescenza (Telefono Azzurro-Eurispes, 2004), il 35,4% degli intervistati riferisce che nella propria scuola si verificano minacce o atti di prepotenza continui da parte dei compagni. Infatti gli episodi di violenza e sopraffazione avvengono prepotentemente in ambito scolastico, in aula, nei corridoi e nei cortili. Ma allora che fare? Considerato che i riferimenti di base per il fanciullo e per l'adolescente sono costituiti, lo abbiamo detto, dalla famiglia e dalla scuola, diviene utile la collaborazione tra gli insegnanti, gli educatori e le famiglie, affinché possano promuovere modalità adeguate di prevenzione. Nel migliorare la qualità dei rapporti con le persone che circondano il mondo degli adolescenti, servono interlocutori, luoghi di ascolto, spazi di azione, gruppi di educatori che parlino nelle piazze, nei bar, nei cortili e in tutti quei luoghi che i ragazzi frequentano. Favorire nelle scuole, anche mediante specifici finanziamenti, attività espressive, sportive, di socializzazione e di aggregazione, in particolare sostenere la creazione di centri di ascolto nelle strutture scolastiche. Coinvolgere i giovani in un nuovo progetto anti-bullismo significa anche divertirsi e partecipare con creatività, come è accaduto a Patrizia Stefania, 16 anni, di San Nicandro Garganico, che ha vinto il concorso nazionale contro il bullismo indetto dalla Polizia di Stato. Più di 6000 gli sms che sono stati inviati al numero della Polizia con frasi sul bullismo, il concorso era rivolto a tutte le scuole del territorio nazionale. «Il Rispetto non fa differenza. Tu differenziati nel rispetto» è l’sms che ha decretato la vittoria di Patrizia. Se pur apparentemente simbolico anche questo è un passo in avanti per sensibilizzare i giovani, le scuole e l’opinione pubblica. |
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