Forse sarò contro corrente, ma le sentenze di primo grado emanate dalla CAF mi sembrano piuttosto all’acqua di rose. E’ vero che il mio giudizio appare senz’altro più obiettivo rispetto a quelli “contaminati” dei dirigenti, parte in causa, e dei tifosi, notoriamente più avvezzi ad affidarsi all’irrazionalità dei sentimenti piuttosto che alla razionalità del pensiero. Tuttavia il mio giudizio è influenzato dal concetto dell’assoluta lealtà dello sport, ereditato dall’ambiente in cui ho sempre vissuto. Del resto qualsiasi attività sportiva prevede nel primo articolo del suo regolamento un concetto ineluttabile: la perfetta lealtà dei praticanti e l’assoluto rispetto degli avversari. Da tale principio scaturiscono tutte le regole di gioco e ogni comportamento a cui deve attenersi chiunque intende entrare nel mondo dello sport: atleti, allenatori, arbitri o giurati, dirigenti, accompagnatori e, perché no, anche gli spettatori. Proprio non mi pare che l’ambiente del calcio nostrano sia permeato di tali sani principi. Tutt’altro! Allora i casi sono due: o il calcio decide di modificare il proprio pensiero, adeguandosi alle altre discipline, oppure esce definitivamente dal mondo dello sport, per trasformare lo spettacolo domenicale in una vera e propria industria dove i principi sono ben altri: vincere ad ogni costo per ottenere maggiori vantaggi economici, e lucrare sulle esibizioni dei protagonisti senza tener conto dei diritti altrui. Esattamente come avviene per le holding che fanno “cartello” infischiandosene dei diritti del cittadino.
E’ proprio per consentire un maggior rispetto tra i protagonisti che il regolamento sportivo prevede una giustizia che si fonda su ben altri principi, forse meno garantisti, ma senz’altro più “veri” e, soprattutto, più celeri. Infatti per l’accusa non è indispensabile provare il comportamento illegale, ma è sufficiente il sospetto della mancanza di lealtà per condannare. Se nella giustizia ordinaria si deve dimostrare con fatti oggettivi e non contestabili la colpevolezza, in quella sportiva spetta al “reo” dimostrare la propria innocenza. Siccome nel caso delle intercettazioni telefoniche il sospetto di manipolazioni dei campionati appare evidente, sono proprio curioso di sapere come i sospettati possano portare prove inconfutabili relative alla propria innocenza.
D’altra parte se i tribunali sportivi non fossero impostati in tal senso rischieremmo di sospendere i campionati per chissà quanti anni in attesa dei ricorsi in appello e in cassazione con l’ulteriore rischio della prescrizione dei reati. Per garantire lo sport è indispensabile la sua completa autonomia.
Mi fanno ridere.
Se non fosse perché le innumerevoli vicende che hanno costellato l’ambiente calcistico italiano negli ultimi trent’anni, che tendono a generare più tristezza che ilarità, mi verrebbe da ridere ascoltando gli sproloqui “pro domo sua” dei vari dirigenti. La maggior parte dimostra faziosità assolutamente di parte, quando non evidenzia l’abissale ignoranza sui criteri della giustizia sportiva. Oltre tutto appaiono indignati di un verdetto che li privilegia rispetto a quanto verificatosi in casi precedenti. O sono di memoria corta o mancano di obiettività. Tanto per restare ai fatti più recenti, è mai possibile che non ricordino dove era finita la Fiorentina (serie C) che, tutto sommato, si era limitata a non rispettare regole di carattere amministrativo: un comportamento decisamente meno grave rispetto alla manipolazione dei campionati a cui sono ricorsi gli accusati odierni.
Mi fanno ridere quando dicono che la giustizia sportiva “è ingiusta” perché non consente agli accusati di controbattere le accuse durante il dibattimento. Se non sono d’accordo perché hanno voluto occuparsi ugualmente di sport anziché svolgere il ruolo di imprenditori altrove? Se si entra nello sport si debbono accettare tutte le norme che lo contraddistinguono e non soltanto quelle che fanno più comodo. O, peggio, tentare di aggirare anche quelle pur di lucrare!
Proprio per lo stesso motivo mi fanno ridere quando tentano di coprire le proprie nefandezze, minimizzandole, e preferiscono mettere l’accento sull’ingiustizia delle pene che scontentano migliaia di tifosi e numerosi giocatori, tutti incolpevoli. Ma allora chi va a spiegare ai migliaia di cassa integrati o, peggio, ai numerosi disoccupati generati dalla chiusura delle centinaia di fabbriche negli ultimi trent’anni, che loro non sono colpevoli delle malefatte dei loro amministratori e, quindi, hanno diritto al lavoro perso. Perché lo Stato non riapre le fabbriche o fa rientrare in Italia quelle fuggite all’estero? Oltre tutto i giocatori non perderebbero il posto perché già contattati da altre società che tentano di sfruttare la situazione. E anche se qualcuno rischiasse di restare a casa per un anno (ammesso, ma non concesso), i guadagni accumulati gli garantirebbero comunque una vita agiata. Per ciò che concerne i tifosi, non vedo come non si possa vivere degnamente anche senza il calcio.
Mi viene da ridere quando i presidenti delle società indagate, non soddisfatti della giustizia sportiva, annunciano di ricorrere a quella ordinaria e qualcuno persino alla Corte europea. Innanzitutto dimenticano che nello sport esiste la formula compromissoria la quale vieta di adire per vie legali se non vi è consenso da parte dell’ente sportivo. Tuttavia tale limitazione ultimamente già troppe volte è stata buggerata e, ormai, abbiamo fatto il callo alla mancanza di rispetto delle norme da parte dei protagonisti dello sport. Semmai il problema appare assai più grave: pur essendo probabile che i tribunali diminuiranno la pena o la annulleranno definitivamente (sono già numerosi i casi in tal senso), quanto tempo sarà necessario per giungere al verdetto definitivo? Sono disposte le società di calcio a sospendere il campionato italiano per almeno un anno in attesa del verdetto? Ammesso che le dirette interessate possano esserlo, di sicuro si ribellerebbero tutte le altre. In ogni caso perderebbero comunque i diritti ai campionati di carattere europeo e, soprattutto, le ingenti quantità di denaro che sono il vero scopo del contendere.
Mi fanno ridere coloro che contestano il fatto di non assegnare gli ultimi due scudetti. Evidentemente non sanno che si tratta di un evento già verificatosi nella pallavolo femminile, quando la Foppapedretti si oppose al tesseramento irregolare di una straniera da parte di Reggio Calabria in occasione dei playoff. La federazione diede ragione alla società bergamasca, ma i calabresi ricorsero al TAR. Risultato: quello scudetto non fu assegnato! A parte l’aspetto normativo, se fossi un presidente mi rifiuterei di ottenere a tavolino ciò che non sono riuscito a conquistare sul campo. Tanto più che la vittoria in un campionato ”taroccato” non farebbe piacere a nessuno!
Mi fa ridere pure la polemica Zidane-Materazzi. Innanzitutto il francese se l’è cavata con poco rispetto a quanto rimediato dal primo giocatore (Che strano! Si trattava di un italiano) che incorse nella prova televisiva appena introdotta (campionato mondiale in USA). Per la sua gomitata rimediò ben otto turni di squalifica. In ogni caso Materazzi è famoso per il suo modo di provocare gli avversari in campo, essendo il degno esponente di un atteggiamento molto diffuso nel calcio (vi ricordate lo sputo di Totti al giocatore danese che lo aveva stuzzicato). Proprio per questo la FIFA avrebbe dovuto introdurre già da tempo una norma elementare che prevedesse sempre l’espulsione di entrambi: il provocato e il provocatore. Sicuramente sarebbero diminuiti sensibilmente tali casi perché non si sarebbe più ottenuto il vantaggio di ridurre il numero degli avversari e, nel contempo, si sarebbe ribadito il concetto che la provocazione non fa parte dello sport. Ma si sa che il calcio è piuttosto restio ad adottare novità che garantiscano meglio il rispetto delle regole. E allora via con le parolacce, le bestemmie e gli insulti che disonorano i parenti!
Sconti per tutti?
Speriamo di no! Tuttavia, conoscendo lo spirito piuttosto indulgente di noi italiani e l’eccessiva ingerenza del mondo politico nel campo sportivo, sospetto che la prossima settimana il verdetto sarà meno pesante. Di una cosa sono certo: qualunque sarà il verdetto definitivo, gli interessati pretenderanno uno sconto maggiore e ricorreranno al TAR. Buon divertimento e, soprattutto, addio Champions League e via dicendo. Chi è causa del suo mal…pianga se stesso!
Nuove regole
Indipendentemente dagli esiti della vicenda, una cosa è certa: dobbiamo riscrivere le regole del calcio. Quelle più urgenti riguardano gli stadi che dovranno essere di proprietà delle società le quali provvederanno al controllo totale dei tifosi (come in Inghilterra) e potranno svolgere altri eventi all’interno degli stessi, ottenendo ulteriori guadagni. Nessuna società potrà più entrare in Borsa in modo da evitare una pressione psicologica sulla lega o sullo Stato nel caso di retrocessione. La lega dovrà essere affidata ad un personaggio carismatico esterno con pieni poteri e senza alcuna ingerenza politica che possa inficiare le norme sul rispetto dei versamenti che i sodalizi dovranno effettuare entro i termini, pena l’esclusione dal campionato. L’associazione degli arbitri dovrà risultare del tutto autonoma. Assoluto divieto di prezzolare le tifoserie anche con biglietti omaggio, in modo da evitare ogni possibile inquinamento dei risultati e limitare gli scontri tra i tifosi di fazioni opposte. Posti a sedere tutti numerati e pari al numero di biglietti che dovranno essere venduti dietro presentazione di un documento che consenta di identificare lo spettatore in caso di incidenti e, nel contempo, permetta di eliminare la piaga del bagarinaggio. Controllo degli ingressi con metal detector per evitare l’introduzione di oggetti contundenti e metallici. Sistema di TV a circuito chiuso per identificare i facinorosi e i lanciatori di oggetti. Queste per quanto riguarda l’Italia.
A livello europeo propongo di unificare le norme sui trasferimenti dei giocatori e sui loro ingaggi per arrivare al tetto dei salari, oltre a limitare il numero di stranieri comunitari ed extra comunitari. In tal modo potranno nuovamente essere valorizzati i giocatori locali in ogni nazione. Anche le norme sui giovani che escono dai settori giovanili dovranno essere uguali per tutte le nazioni in modo da proteggere ed incentivare i vivai.
Ma, forse, pretendo troppo?
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