REGISTRATO PRESSO IL TRIBUNALE DI AREZZO IL 9/6/2005 N°8


Anno II n° 14 del 20/07/2006 TERZA PAGINA


Ancora in ‘missione’ con Testa Rossa nelle terre del drago
Crotta d’Adda: alla foce del grande fiume
Di Cricio



Ed eccomi di nuovo nella verde pianura, l’auto corre lungo la strada d’asfalto circondata dai campi rigogliosi di un verde smeraldo. A fianco a me Testa Rossa cura le strade che passiamo per capire a quale si deve svoltare: ecco qua è il momento. Freccia a destra e ci si ritrova ancora una volta in una strada campestre, larga appena per far passare due auto, sul bordo un profondo fossato. Tutte le volte che li vedo penso all’inverno con la nebbia... qui la nebbia si taglia col coltello, ti circonda e non vedi più nulla: come faranno a non finire nel fosso? Devono avere qualche santo che li protegge.

Dopo alcuni chilometri su questo nastro che si snoda tortuoso seguendo i confini dei campi, finalmente entriamo in Crotta d’Adda. Ci accolgono le casette di due piani, infilate lungo la strada con davanti il giardino ben tenuto. Poi iniziano le costruzioni rurali più antiche, sempre di due piani, ma che fanno come un muro sulla strada e dai portoni aperti si intravedono i cortili, con il fienile e le stalle.

Ecco infine a sinistra un prato verde circondato da alte piante con in mezzo una Ninfa seduta su una conca d’acqua che si rinfresca. La Ninfa mi ricorda, per la sua procacità, Testa Rossa, ma Testa Rossa è viva e vegeta, non di pietra.

Di fronte il cancello della settecentesca Villa Stanga apre la vista al giardino. Al centro di un'aiuola tonda circondata dalla bordura di bosso, c’è la statua di un putto, che forse sorride alla ninfa che prima aveva attirato la mia attenzione. In fondo la bella Villa, evidentemente ben tenuta da proprietari attenti a questo patrimonio. Sarebbe bello visitarla, ma non è possibile.

È mia abitudine cercare di carpire l’atmosfera dei luoghi camminando e leggendo la vita che vi scorre. Cosi anche qui, con la piacevole compagnia di Testa Rossa, mi appresto a “studiare” il luogo.


La prima impressione che colgo come è di umile ricchezza, quella che viene dalla terra ricca e feconda, che sa di sudore, che prova la fatica, ma che conosce la vita e il rispetto della natura.
Le case sono quasi tutte ben sistemate con le facciate rifatte e tinteggiate con i bianchi e gli ocra delle terre. Tutte sono arricchite da fiori, rossi gerani, oleandri rosa, petunie blu, e tanti altri colori fatti da fiori diversi.

Qua e là resta una casa ancora da sistemare, l’intonaco sgretolato fa apparire la macchia rossa dei mattoni. Le ante di legno corroso, ma ancora solido, chiudono le finestre e sembrano raccontare la vita che hanno visto passare nella strada polverosa, anche se ora questa è attentamente asfaltata.

Se si sta attenti si notano sugli stipiti e sulle volte dei portoni delle formelle di devozione alla madonna. E tra le case c’è anche qualche affresco, sempre di devozione alla madonna, ingenuo e con colori puliti e brillanti, che danno la sensazione della vita vissuta con semplicità e con gli occhi sempre stupiti dalla bellezza della natura in cui questi posti sono immersi.

Il vicolo che abbiamo preso termina in una minuscola piazza con ancora un monumento... questo paese vuole mantenere la traccia della storia che lo ha attraversato.

Da lì una pista ciclabile scende all’Adda, ma è chiusa per pericolo di frana. Quando torno non trovo più Testa Rossa dove sarà finita? Chiamo... non risponde. A fianco del monumento c’è una scaletta nascosta tra il verde ed i fiori, da l’impressione che vada ad una casa, ma sono convinto che Testa Rossa sia scesa da quella e così mi addentro.

La scaletta finisce sul greto dell’Adda ed ecco lì la mia compagna di avventura: l’ho ritrovata!




L’Adda si snoda imponente e scintillante, in lontananza dei giovani giocano nell’acqua vicino alla riva. Dove siamo noi c’era il porto del traghetto che congiungeva le due sponde. Oggi lì sulla riva, ad un piccolo pontile, sono ormeggiate solo tre lance e il traghetto è stato sistemato in un parco a pochi in un boschetto come ricordo, il suo compito è svolto da un moderno ponte.


La struttura possente del traghetto riposa all’ombra dei pioppi della riva, come un astronave abbandonata, i pochi macchinari arrugginiti fanno ancora mostra di quanto lavoro hanno svolto per queste popolazioni, quando per anni hanno permesso i traffici fra le due rive. Per secoli le rive del fiume sono state al centro della vita di questi luoghi; ci ha raccontato un simpatico abitante di Crotta che ancora oggi nel “giorni della merla”, a cavallo tra gennaio e febbraio, qui si svolgono i tradizionali riti propiziatori, con i falò sulle rive e bruciando la “vecchia”, simbolo delle cose non andate bene nell’anno passato, e gli abitanti alternantosi da una parte all’altra della riva si rincorrono con canti. Mentre risaliamo verso il paese vediamo, sempre all’ombra del bosco rado e ben tenuto, un parco giochi. Bellissimo, semplice come tutto qui, ma è proprio la sua collocazione tra gli alberi che lo rende piacevole e particolare.

Una caratteristica che noto è la “conservazione dei simboli”. Sui muri di una casa rurale ne troviamo un'esposizione, sono attrezzi in ferro arrugginito del lavoro dei campo attrezzi sportivi: pinne in gomma, maschere da sub, sci.

Poco più avanti, ai piedi di una casa appena restaurata, appaiono due pietre indicatorie forse di confine o di direzione. Poi una fontanella per l’acqua in ghisa. Ma la cosa che mi ha sorpreso di più è stata la trattoria in cui siamo entrati per cenare. A sinistra un bancone antico in legno di noce e marmo, con alle spalle la credenza con vetri lavorati e ripiani su ci stanno le bottiglie. I rubinetti nichelati anche loro dell’epoca del bancone a destra i tavoli lunghi delle antiche trattorie con gli spigoli arrotondati e le gambe tornite. Tra i tavoli al centro della parete un gigantesco camino, con tutti gli attrezzi e le “macchine” per il controllo del tiraggio. Ci si aspetta da un momento all’altro che entri l’ostessa con uno spiedo da mettere sul fuoco scoppiettante, ma forse fa troppo caldo ora per un fuoco scoppiettante. L’ostessa comunque entra in un grembiulone grigio e camicetta a quadrettini: capelli raccolti e viso sorridente completano questo scorcio d’altri tempi.

Ecco un paese moderno, ma nello stesso tempo antico. Forse la spiegazione è in quello che ci hanno detto due abitanti. Hanno parlato di quanto desiderio vi sia di riportare la tradizione popolare. Di conservare, e di esaltare. Di evitare che i buoni prodotti tipici vengano considerati di basso o nullo interesse e siano saltati dimenticati dalle nuove generazioni.

Testa Rossa definisce questo paese con “Conservare, per ricordare” io aggiungo “vivendolo”.


Le foto sono di Serena Bertolgiatti e Giovanni Gelmini - ©vietata riproduzione

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