E' la voglia di approfondire la conoscenza di un paese, che dalla caduta dello Scià Reza Palahvi succeduto al padre nel 1972 con il beneplacito del governo americano, ha cambiato ripetutamente volto e che sta diventando sempre più misterioso per coloro che non vivono la sua realtà da vicino, a spingere l’autrice ad indagare sull’Iran, in particolare dopo l’aumento degli attacchi terroristici sia in oriente che in occidente, che creano confusione nel pensiero occidentale sui paesi arabi e sulle loro idee.
E’ un viaggio attraverso le molte sfaccettature del carattere di un popolo frammentato, passato nel giro di poche generazioni attraverso cambiamenti radicali del loro stile di vita e delle figure politiche che lo governano, dallo Scià fino alla Repubblica recentemente costituita.
Un viaggio attraverso l’Iran, segnato dalla rivoluzione islamica e dalla guerra contro l’Iraq.
E’ il racconto del paese attraverso le interviste e le impressioni della Gruber in un mese di spostamenti tra le città iraniane nel periodo delle elezioni che hanno portato Ahmadinejad alla presidenza nel 2004.
E’ il riassunto personale di una storia che parte dall’impero persiano e continua anche ai nostri giorni con furore e cambiamenti accompagnati dalla violenza e dalla guerra.
E’ un attacco contro il potere dei maggiori governi occidentali, in particolar modo degli Stati Uniti, che sfruttano la corruzione e aumentano progressivamente il divario tra ricchi e poveri nei paesi arabi per il controllo sull’oro nero.
Nonostante la pretesa di capire e descrivere un paese che prima di allora le era quasi sconosciuto, dopo un solo mese di interviste e grazie ad alcune indagini condotte in America prima del viaggio in Iran, il risultato degli studi è abbastanza ampio, anche se si può dedurre che molte delle interviste siano approvate e sorvegliate dallo stesso governo. Le interviste fatte agli iraniani, sia a personaggi politici di spicco che ai cittadini comuni, e le impressioni dell’autrice si susseguono attraverso il libro in un ritmo discretamente veloce, che lascia trasparire la sua grande rabbia per le condizioni delle donne sotto il chador, il tipico velo delle donne iraniane.
Man mano che essa riesce a togliere pezzettini di questo velo per guardare un mondo celato scoprirà, oltre che un mondo represso e sottomesso, che ci sono così tante differenti realtà da stupire il lettore che si affaccia per la prima volta alla realtà iraniana, sotto le leggi della guida suprema del governo islamico a Teheran.
Per la stessa Gruber, il chador in molte occasioni è stato anche un modo di nascondersi, per proteggersi e mescolarsi alla popolazione, senza essere riconosciuta come occidentale.
La parola “sharìa” (l’insieme di leggi e regolamenti, nonché il controllo politico che il clero islamico impone ai propri popoli) è scritta in tutto il libro una volta sola, ma è chiaro che essa domina incontrastata il popolo e che condiziona il viaggio dell’autrice accompagnata da suo marito Jacques, reporter francese, e dall’amica Taraneh, architetto, che risiede e lavora a Teheran, e che le farà da guida e interprete nelle interviste presso i potenti e presso il popolo minuto.
Nelle prime pagine del libro la scrittrice fa intendere che riporterà le impressioni e le parole che sentirà sulla bocca della gente, ma avverte il lettore che la realtà potrebbe essere diversa dalle parole dette da un popolo in cui la cultura del dire-e-non-dire è profondamente radicata nella loro tradizione millenaria. La legge è una presenza detestata ma allo stesso tempo rispettata: è uno dei controversi aspetti di un popolo, discendente dagli antichi persiani, profondamente radicata nei loro costumi, ed imposta da continui regimi che controllano le masse, e che non esitano a sopprimere le libertà individuali anche con spettacolari esecuzioni pubbliche.
Nonostante la velata promessa di una descrizione dei fatti imparziali da parte sua, Lilli Gruber si lascerà fortemente influenzare dalle proprie impressioni, incidendo con esse sul racconto delle proprie scoperte.
Fino alla conclusione del libro, dove il lettore si aspetterà una reprimenda verbale nei confronti del vincitore delle elezioni come nuovo leader dell’Iran. La scrittrice invece si limita ad un semplice ammonimento affinché il neoeletto, con il nuovo governo, possa migliorare le condizioni di vita del proprio popolo. Sarà la paura che le possano negare il prossimo visto per l’Iran o è uno sguardo di fiducia per un paese che sta cercando di ricostruirsi sulle macerie delle guerre che si sono succedute da lunghissimo tempo nel suo territorio?
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