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Anno II n° 15 del 07/09/2006 LENTE DI INGRADIMENTO |
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La guerra infinita in Palestina
Di Giovanni Gelmini
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Dalla fine della seconda Guerra Mondiale la Palestina è stata al centro di forti tensioni, sfociate in guerre prima e poi anche terrorismo con la destabilizzazione di tutta l’aera medio orientale e con il crollo dei Governi che appoggiavano i paesi occidentali.
È evidente che la modalità con cui è stato creato lo stato di Israele è alla base di tutto questo. Oggi l’Italia è impegnata direttamente nella missione di pace ONU in Libano, ma i mass media spesso parlano in modo insufficiente dei motivi e delle forze in gioco. Per questo abbiamo ritenuto utile presentare alcune delle problematiche e degli attori di questa vicenda. Dicevo che alla base di tutto è come è nato lo Stato di Israele: con un atto unilaterale senza tenere conto della difficilissima realtà etnica del territorio. La base della suddivisione del territorio fu solo “strategica” per la Gran Bretagna. L’ONU ne fu coinvolto, ma le sue risoluzioni restarono sulla carta, come tante altre prese sugli eventi di questa area. Quali sono state e sono tuttora le principali difficoltà per risolvere il problema? Due sono state a mio avviso le difficoltà di base. La prima è territoriale: la Palestina è formata da enclavi sparse di insediamenti a prevalenza di una o dell’altra etnia. Se si cerca di separare il territorio sulla base della presenza delle etnie esce una mappa a macchia di leopardo con territori isolati fra loro ed immersi un una terra di nessuno in cui non c’è la prevalenza etnica. Questa separazione potrebbe funzionare da un punto di vista etnico, e quella che Rabin e Araft hanno tentato e che hanno dimostrato possibile, ma poi funziona da un punto di vista di Stato? Probabilmente gli schemi di struttura di Stato a cui siamo abituati qui sono inapplicabili. L’altro elemento base è la loro religione. Sia l’Islam che l’ebraismo vedono la religione prevalere sullo Stato, hanno il concetto di stato guidato dai capi religiosi. È evidente che se le religioni sono diverse le due concezioni di stato che ne consegue sono in conflitto fra di loro. Questo conflitto sfocia in un caso particolare, quello che entrambi vedono in Gerusalemme la loro capitale della Religione e dello Stato. Su questi due elementi di conflitto si inseriscono poi una serie di elementi che lo hanno portato da latente a aperto e insanabile. Anche qui ci sono alcuni elementi di base. Una cosa che ha sicuramente iniziato a creare disagi è stata, dopo che si è affermata l’idea di creare lo stato israeliano, il continuo arrivo di “profughi” dai vari paesi. Questi, anche per le dimensioni del fenomeno, sono stati visti come invasori, come corpo estraneo a quei territori ed è sicuramente stato un dei germi di cristallizzazione del sentire da parte delle popolazioni islamiche lo stato ebraico come un elemento di grave pericolo per i palestinesi, sentimento che è uno dei più fori ostacoli alla pace. Purtroppo al flusso di immigrazione si è affiancata la pessima idea delle “colonie”, idea che ancora oggi è portata avanti dal governo Olmert che ha improvvidamente annunciato qualche giorno fa il rilancio degli insediamenti in Cisgiordania con la pubblicazione di un bando per la costruzione di 690 nuove case nei Territori Occupati. Un altro problema da non sottovalutare è la suddivisione delle risorse. Gli ebrei sono ricchi i palestinesi sono poveri e devono lavorare per gli ebrei. Questo non si fa sentire solo per la ricchezza “monetaria”, ma anche per una risorse che è fondamentale per la vita come l’acqua. Gli ebrei controllano la stragrande maggioranza delle risorse idriche. L’acqua è ovunque una ricchezza che garantisce la vita, ma diventa preziosissima nelle zone aride come quelle della Palestina. Su questo tessuto di conflitti interni si è inserita la politica degli Stati Uniti, che ha invaso i territori islamici e che, per gli stretti rapporti tra sionismo e establishment USA è visto come “mandate” della politica di Israele. Quindi l’odio per invasore non credente si riversa tutto sullo stato israeliano che, secondo i movimenti islamici, “deve essere distrutto” per la sopravvivenza del loro Credo e diventa così non solo una guerra economica e di potere, ma anche una guerra di religione. Ancora una cosa mi smembra opportuno segnalare, credo che ai più non sia evidente, che tutti questi movimenti non hanno nulla da sparire con il movimento terroristico di Al qaeda che al contrari cavalca queste situazioni, senza però influire sul territorio della Palestina. Si riuscirà a trovare la pace? Non si può non sperarlo, ma è inutile negare che se non si iniziano ad affrontare i nodi veri del conflitto è impensabile che si possa raggiunge la pace. Credo che la prima cosa da fare è che gli Stati Uniti abbandonino i territori, malgrado tutti i rischi connessi, e che la politica di Israele riprenda a operare secondo le linee di quel piccolo periodo d’oro che è stato quando a capo del governo israeliano c’era Rabin. Cosa non facile anche perché oggettivamente il popolo ebraico si sente in pericolo, e ne ha ben donde, e quindi tende a reagire con la violenza e la prepotenza. Fermare questa spirale è praticamente impossibile e ci vuole forse un miracolo. |
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