REGISTRATO PRESSO IL TRIBUNALE DI AREZZO IL 9/6/2005 N°8


Anno II n° 16 del 21/09/2006 IL MONDO - cronaca dei nostri tempi


Lo sbuffo
Il caso Telecom ed i finanzieri italiani da Monopoli
Di Giovanni Gelmini


Il polverone di Telecom arriva in parlamento. Quello che arriva è inutile per la Nazione, è voluto e sorretto dal consueto dibattito politico tra le parti, ma di scarso interesse per i comuni mortali. Tanto poco cambia.

Se analizziamo questo lato della vicenda si possono fare solo poche considerazioni interessanti.

La prima è sicuramente che il cosiddetto “piano Rovati” è di una tale assurdità da potersi credere che Prodi non ne sapesse nulla.
Come si fa a pensare che un Ente come la Casa Depositi e Prestiti, con un fine istituzionale ben preciso, con nessuna competenza in gestioni industriali, con una struttura burocratica non certo all’altezza di competere con il libero mercato, possa farsi carico di una azienda leader in un ambito di continuo sviluppo tecnologico come la TIM?
Sembrerebbe che qui si concentri una visione distorta dell’economia, che lascia molto perplessi e che mostra casomai l’incapacità del proponete di essere “Consigliere Economico”, ma che, nello stesso tempo, conferma la pessima formazione dei nostri vertici del management economico-finaziario. Se l’idea è sua, se se ne va non può che essere un bene per la nostra economia, ma della stupidità di questo piano nessuno ha parlato.

L’altra considerazione è che la vera preoccupazione per gli italiani non può essere a chi andrà in mano la TIM, ma la sicurezza della rete di telefonia.
Se un intervento pubblico deve farsi è su questo ambito: il ritorno pubblico della proprietà della rete di telefonia. Qui si giocano le strategie dell’economia nazionale. Qui si devono avere le più ampie garanzie e forse la sua privatizzazione è stata un grave errore.

Mi sarebbe sembrato giusto far rimanere la rete monopolio pubblico, mentre il sevizio commerciale agli utenti poteva essere solo gestito dai privati. Non si sarebbe così dato vita ad un “gestore” privilegiato perché anche possessore delle reti fisiche. Se si deve fare un intervento da parte dello stato si potrebbe quindi pensare di far tornare al pubblico questo settore, anche per garantire il sevizio alle zone più disagiate ed economicamente poco alettanti.

Tronchetti Provera pensava di fare business con la TV via cavo con un accordo con Murdoch. A parte che questo mi fa venire in mente le vicissitudini di chi ha pensato per la prima volta a questo “Tele Biella” e che, di fatto, ha fatto partire l’impero di Berlusconi, mi spinge anche ad una considerazione attuale: Tronchetti vuole potenziare la rete internet ad alta velocità per trasmettere i film, ma la rete “adsl a bassa velocità” ancora non copre tutto il territorio nazionale.

Non solo ci sono ancora comuni completamente scoperti dalle connessione adsl, ma anche laddove le centrali sono attivate, la loro portata non raggiunge tutte le utenze servite. Non è “conveniente” per il privato, per cui non lo si fa.
Ma in quelle località ci sono imprese che già soffrono in genere per l'emarginazione, e che nello stesso tempo sono la risorsa di vita per quei territori. Nella globalizzazione negare loro le interconnessioni veloci vuol dire farle morire, e con loro dire fine alle economie locali che permettono la sopravvivenza in quei luoghi.

Ma i Tronchetti non possono preoccuparsi di questo, a loro interessa trasmettere film e partite di calcio nelle città.

Lasciamo ora le considerazioni sul caso specifico e passiamo ad un altro campo, quello dell'incapacità imprenditoriale dei nostri “finanzieri” (così si fanno chiamare); io li chiamerei giocatori di Monopoli.

Tronchetti Provera non è certo uno dei peggiori, anzi, con Tanzi, e Cragnotti, fa parte dei pochi investitori che hanno cercato di fare impresa. Non fa parte quindi in toto di quel gruppo di finanzieri che non ha un'idea imprenditoriale, ma che ha come obbiettivo solo il guadagno sulle transazioni. Permettetemi di non fare nomi perché non ho voglia di ricevere denunce per diffamazione, ma comunque sono nomi che compaiono continuamente su tutti i giornali. Questi pseudo-finanzieri pensano che le aziende siano come le figurine della Panini: da raccogliere, vendere e scambiare, quelle che mi interessano di più le attacco all’album e lì ho finito il mio compito.

Ma le imprese non sono figurine; sono un tessuto di conoscenze, capacità tecnologiche, mercato, il tutto legato da un solo fattore: gli uomini che ci lavorano. Se questo legante si deteriora le “figurine” perdono colore e diventano senza valore. Ad ogni cessione, ristrutturazione, riorganizzazione, il tessuto umano viene ferito, a forza di ferite muore, e le aziende diventano decotte.

Da quelle operazioni ci guadagnano solo questi pseudo-finanzieri, i loro consulenti e i politici che li appoggiano, tutti gli altri ci perdono, compresa l’Italia.

Questi movimenti non comportano mai un aumento di “competitività”, anzi la riducono. E invece continuiamo a sentire che abbiamo bisogno di aumentare la nostra competitività.

Una cosa assurda: fino a poco fa i loro guadagni non erano tassati, ma quelli di un imprenditore serio si, eccome! Ora si lamentano del 20%, ma è poco accidenti! Facciamo mettere anche questi nella loro denuncia dei redditi, basta con le tasse forfettarie su cose che non producono bene alla comunità, e se questi lucratori, scappano in Cina, noi ci guadagnamo due volte: non ci distruggono, e vanno a distrugge un nostro concorrete agguerrito. Ma non sperateci, in Cina non scapperanno mai perché li metterebbero al muro due giorni dopo.

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