Il tema mi viene suggerito dall’attualità, cioè dall’operazione Athena che ha portato i NAS ad uno dei più grossi sequestri di materiale dopante: 22.000 fiale, 5300 compresse, 5200 confezioni.
C’erano anabolizzanti, steroidi e ormoni tra cui quello della crescita.
Tutto il materiale si trovava in un box di Milano e uno nel territorio bergamasco.
Era talmente voluminoso che si è reso necessario un TIR per prelevarlo.
I NAS di Brescia da tempo stavano collaborando con la Guardia Civil spagnola dato che il materiale proveniva quasi tutto dalla terra iberica, già tristemente famosa per il recente scandalo (Operation Puerto) che ha coinvolto tutti gli atleti che ricorrevano alle manipolazioni di sangue ad opera del famigerato dott. Fuentes.
Pensare che già nel 2004 un ex ciclista professionista spagnolo denunciò il doping delle due ruote, citando quegli stessi medici e dirigenti che sono stati indagati nell’operazione di quest’estate. Non solo; pare che vi fosse un legame tra il ciclismo e l’atletica iberica. Ma allora non fu ascoltato!
Come se non bastasse l’altro giorno, la nazionale iraniana di Pesistica è stata esclusa dai Campionati Mondiali di Santo Domingo che stanno per iniziare: ben 9 atleti su 11 sono stati trovati positivi nei controlli a sorpresa. Logicamente per uso di anabolizzanti che in questa disciplina sono utilizzati per aumentare le masse muscolari.
Facendo un passo indietro, tutti ricorderanno l’espressione tra il confuso e il sorpreso dello statunitense Floyd Landis quando gli hanno comunicato la positività al testosterone dopo la conquista del Tour. Logicamente lui ha negato, giustificando che il suo ormone è naturalmente alto. Esattamente come l’italiano Ivan Basso che non ha neppure potuto partecipare alla gara francese perché coinvolto nello scandalo spagnolo. Anch’egli, ormai è la prassi, ha negato ogni coinvolgimento.
Ricorderete anche la quasi simultaneità della sentenza di positività inferta al velocista statunitense Gatlin (rekord del mondo nei 100: 9”77). Almeno lui ha avuto il coraggio di ammettere la positività, ma poi si è affrettato a dire che si trattava di un complotto o di un errore.
Come combattere il cancro del doping?
Visto che l’antidoping sarà sempre in ritardo sul doping e che, oltretutto, può sempre contare su nuove sostanze di sintesi con caratteristiche sempre differenti, non restano che tre soluzioni per arginare il fenomeno prima che sia troppo tardi:
- Uniformare i controlli antidoping in tutto il mondo, estendendo la legge italiana alle altre nazioni. Una legge che considera reato penale la pratica del doping per cui, oltre alle sanzioni sportive (squalifica per due anni al primo tentativo e radiazione al secondo) sono previste pure sanzioni penali tra cui il carcere. Per una volta siamo più avanti degli altri stati evoluti.
E’ vero che le norme antidoping italiane e francesi sono più restrittive rispetto al resto del mondo, tuttavia siamo stati in grado di costruire gli Stati Uniti d’Europa, ma non riusciamo ad unificare le leggi che riguardano lo sport! Così è successo che durante una tappa del Giro d’Italia sia stata sequestrata un’apparecchiatura vietata che simula l’allenamento in quota, ma nel resto del mondo è autorizzata.
- Operare sulle società (dirigenti, allenatori, atleti giovanili e rispettivi genitori) tramite corsi approfonditi in cui vengano ampiamente evidenziati gli enormi effetti collaterali nocivi, non solo delle sostanze dopanti vere e proprie (che possono portare pure alla morte), ma anche di molti farmaci di comune utilizzo (ad esempio gli antinfiammatori e la carnitina).
- Aumentare i controlli antidoping a sorpresa e stabilire norme severe che non possano facilmente venire aggirate anche attraverso ricorsi alla magistratura ordinaria che, di fatto, ha svilito in questi anni il lavoro delle commissioni antidoping. Figuratevi che, quando si è attivata la nuova legge italiana antidoping, è stato un tennista a venir pescato ben cinque anni dopo la promulgazione delle norme e ci vollero altri tre anni, dal controllo a sorpresa in cui è stato trovato positivo alla cocaina, per ottenere la sentenza. Controllo che ha trovato l’atleta completamente spiazzato in quanto riteneva che nel tennis i controlli non ci fossero (infatti erano troppo rari).
Fatto sta che il tribunale di Torino impiegò ben tre anni per emettere il verdetto: 4 mesi di reclusione, 2000 euro di multa ed interdizione perpetua dagli uffici del CONI e società sportive.
Capita anche che le conoscenze degli addetti ai lavori non siano sempre all’altezza della situazione e l’ignoranza favorisce il comportamento illegale.
Ad esempio mi fecero ridere le manifestazioni di indignazione nei confronti di Gattuso che si rifiutò di sottoporsi al controllo del sangue, limitandosi a quello delle urine. Non fece altro che usufruire di quanto le norme antidoping del calcio italiano di allora (errate) gli consentivano. Semmai ci si sarebbe dovuti indignare di coloro che avevano emesso una legge in base alla quale era possibile rifiutare il controllo sul sangue.
Per fortuna nell’anno successivo le regole vennero modificate! Della serie: non è mai troppo tardi!
Suscitò scalpore pure quel video che venne mandato in onda dalla TV, in cui si vedeva Cannavaro sottoporsi ad una flebo di un medicinale non identificato; il fatto mi fece sorridere, soprattutto perché molti si sono indignati (o hanno fatto finta?). Prima di tutto si trattava di una pratica molto diffusa per la somministrazione di glucosio o di medicinali in quanto non vietata dalle norme e, per di più, si riferiva a diversi anni addietro, quando il calciatore militava nel Parma.
Proposte
Considerando che i professionisti dello sport sono costantemente seguiti da staff medici che possono in ogni momento sospendere la pratica dopante in caso di pericolo immediato per la salute, si potrebbe anche trascurare l’antidoping dei professionisti, come ha proposto tempo addietro il grande Moser. Tuttavia sul piano etico non è possibile perché diverrebbe una vera e propria istigazione al doping, in modo da mettersi sul medesimo piano di quelli che già ne fanno uso.
Avremmo però un grosso vantaggio: riversare tutte le risorse finanziarie nel mondo dei dilettanti e, in particolar modo, nello sport giovanile, in modo da bloccare il doping sul nascere dove, oltre tutto, crea ancor più danni permanenti.
Infatti negli ultimi tempi appare sempre più impressionante il dilagare della pratica dopante a livello giovanile e dilettantesco, cioè in un settore dove i controlli sono meno approfonditi o del tutto assenti e, quindi, è più facile sfuggire.
Nelle verifiche a fine gara , ormai, è difficile scoprire qualche positività, se non quella degli sprovveduti. I furbi si dopano a casa e durante i ritiri, per cui senza un approfondito controllo a sorpresa su tutti gli atleti risulta difficile smascherarli.
Anche l’opera dei NAS dovrebbe venire intensificata. Nonostante la limitata disponibilità di mezzi, nel solo 2004 sono state sequestrate presso le società sportive o i tesserati ben 988.995 confezioni di sostanze dopanti che hanno portato a 644 denunce e a 115 arresti. Per non parlare degli anni successivi sino all’ultimo sequestro che ha smascherato una grossa organizzazione.
Se si può comprendere (ma non condividere) la ricerca esasperata del doping in atleti professionisti che aspirano a guadagnare cifre da nababbi proprio grazie all’utilizzo della chimica, non riesco proprio a giustificare il ricorso al doping in gare dove, al massimo, si può tentare di vincere un salame o altri prodotti in natura!
Dato che l’omertà è alla base della diffusione a macchia d’olio del fenomeno, se non si pone rimedio immediatamente, partendo dalla base, si arriverà ben presto ad avere tutti gli atleti dopati e, alla fine, la differenza la farà ancora madre natura con il DNA diverso per ognuno degli atleti. Esattamente come è sempre stato prima dell’avvento del doping, che invece richiede un prezzo troppo alto: morti e menomazioni permanenti.
Parlando del ciclismo, non riesco proprio a capire che differenza ci sia a correre tutti la medesima gara a 50 km orari (da dopati) o a 45 km orari senza ricorrere al doping. Per il pubblico lo spettacolo non cambierebbe di una virgola però tutti i concorrenti guadagnerebbero nettamente in salute e sul piano etico sarebbe ancora una gara di autentico sport, anziché una corsa all’autodistruzione.
Del resto se non si corre ai ripari, gli enormi interessi che stanno dietro al problema finiranno per ridurre lo sport ad un’autentica corsa al farmaco dove non vincerà il migliore, ma il più furbo il quale riesce a doparsi senza farsi pizzicare.
Purtroppo anche i medici sono spesso consenzienti per via degli interessi personali. Tanto a rimetterci in salute non sono di certo loro!
D’altra parte proprio all’ultimo Giro di Francia, nonostante non siano stati accettati diversi corridori con la “fedina poco pulita”, l’indagine ha evidenziato che il 60% dei partecipanti correva con la giustificazione di un certificato medico che consentiva l’utilizzo di sostanze proibite ad uso terapeutico. In pratica erano dei ciclisti malati.
Non mi risulta proprio che un malato possa prender parte ad una corsa a tappe così massacrante! Ma chi vogliono prendere in giro? Grazie a questo escamotage 12 atleti che erano stati trovati positivi hanno potuto evitare la squalifica.
Spero proprio che almeno Paolo Bettini, fresco vincitore del mondiale di ciclismo disputato a Salisburgo, possa salvarsi da questa ecatombe di drogati.
Egli stesso ha rilasciato un intervista in cui si rammaricava della diffusione del doping che, oltre tutto, rischia di far perdere sponsor allo stesso ciclismo: insomma, un gatto che si morde la coda!
Quello che maggiormente spaventa è il fatto che in questo sport c’è il maggior numero di controlli e gli atleti hanno firmato un codice etico che prevede la sospensione ancor prima dell’esito positivo delle controanalisi e che consente di fermare tutti coloro che risultano con l’ematocrito alto anche se non sono positivi.
Ciò nonostante l’ecatombe di positivi continua. Del resto lo stesso Bettini ammette che il ciclismo risulta essere lo specchio potenziato di ciò che avviene nella società. Per aumentare il prestigio nel tuo lavoro, per far carriera, per aumentare lo stipendio sei spesso portato ad un comportamento riprovevole. Quando arrivi a trent’anni, senza un titolo di studio, ti accogi di non aver più energia per mantenere il ritmo degli altri, ma non puoi più uscire dalla vita che ti sei scelto: allora ricorri al doping per prolungare la carriera.
In effetti, a voler ben guardare, i ciclisti di alto livello dovrebbero risultare con un ematocrito più simile a quello di un anemico, per il semplice fatto che i globuli rossi, super sfruttati durante il ripetersi degli sforzi, hanno un emivita più breve e, non sempre, l’eritropoietina endogena è in grado di sostituirli con un ritmo sufficiente. Invece, sottoposti ad esami, appaiono quasi sempre vicini ai limiti più alti consentiti. Semplicemente perché utilizzano l’eritropietina esogena per cercare di aumentare il numero di globuli rossi. In questo “giochetto” ogni tanto qualcuno fa male i conti e sfora oltre i limiti, facendosi pescare mentre gli altri la fanno franca.
Persino l’attore Castellito, che ha interpretato il recente film su Coppi, ha dichiarato di sentirsi tradito dal ciclismo attuale, soprattutto perché invia un messaggio assai pericoloso ai giovanissimi: “per vincere bucatevi le vene”. In teoria una endovenosa di glucosio potrebbe essere consentita ma, dato che dallo zucchero è facile passare ad altro, è stata vietata pure quella.
A questo punto una serie di domande appaiono scontate:
- Se tutti si dopano, come mai finiscono per vincere quasi sempre gli stessi? Vuol dire che in definitiva la differenza la fa ancora il DNA dell’atleta. Infatti un vecchio detto sosteneva: “vuoi sapere se potrai essere un campione? Guarda ai tuoi genitori” Allora, se nessuno si dopasse, i vincitori resterebbero inalterati anche perché nessun sistema dopante potrà mai trasformare un asino in un cavallo!
- Perché gli atleti si dopano se sanno di venire pescati con il rischio di venire licenziati? Perché sperano di farla franca o perché hanno individuato un nuovo metodo di doping non ancora rilevabile.
- Se il doping si alimenta per via degli interessi che genera, come mai i giovanissimi e i dilettanti ne fanno uso?
Perché la mentalità del “se non ti dopi non vinci” ha ormai intaccato il sistema sportivo alla base. Siccome stiamo vivendo nell’epoca del mito del successo generato dal consumismo e dalla falsa filosofia del meglio apparire che essere, sarà molto difficile ribaltare l’errato modo di pensare.
Solo lo sport giovanile inserito esclusivamente nella scuola potrà risolvere il problema. Vuoi perché gli insegnanti preparati dalla facoltà di scienze motorie sono più portati al miglioramento della salute degli studenti piuttosto che alla ricerca dei risultati; vuoi per il fatto che gli interessi economici che spingono alla trasgressione non esistono nella scuola statale.
Per concludere. Onde evitare di trasferire lo sport nei tribunali e nelle farmacie dovremmo inculcare a tutti i praticanti, sin dalla tenera età, i fondamenti che hanno caratterizzato gli atleti sin dai tempi antichi: lealtà e rispetto del proprio e dell’altrui corpo! In caso contrario l’attività sportiva, nata per migliorare la salute, finirà per distruggerla!
Tra l’altro sul piano etico e sociale, la lotta a questo autentico cancro dello sport fungerebbe da esempio e da stimolo positivo pure per i giovani e giovanissimi che sempre in maggior numero e con maggior frequenza si avvicinano al mondo della droga.
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