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 Anno II n° 17 OTTOBRE 2006    -   LENTE DI INGRADIMENTO



Somalia, Eritrea ed Etiopia: vicini litigiosi
Le influenze dei paesi del Corno d’Africa
Di Sara Giostra


Guerra, distruzione, fame, sofferenza, speranze disilluse. Questo è il caos in cui è precipitata la Somalia, terra martoriata da 15 anni di guerra civile, caduta nell’oblio internazionale dopo il drammatico fallimento della missione di pace ONU del 1993.

La popolazione è ridotta allo stremo. I dati ufficiali ci dicono che trovare una via d’uscita a questo caos è un obiettivo improrogabile: 2 milioni le persone uccise o sfollate dall’inizio della guerra civile e altre 500 mila quelle che soffrono di gravi carenze alimentari gravi. Sono 400 mila, infatti, i somali che cercano riparo altrove, mentre per chi è rimasto in Somalia la battaglia per la sopravvivenza è ogni giorno complicatissima: il 75% dei somali non ha accesso all’assistenza sanitaria e il 77% non dispone dell’acqua potabile. Secondo le Nazioni Unite il tasso di mortalità infantile e quello che misura il livello socio-economico del paese indicano che la Somalia è tra i paesi più poveri del mondo.

Solo dopo l’11 settembre l’Occidente tornava ad occuparsi di una Somalia che, al 99% musulmana, era già colonizzata dal radicalismo religioso. Attualmente, cioè da quando l’ ”Unione delle Corti islamiche”, pesantemente sospettati di favorire il proliferare i gruppi terroristici dediti ad Al-Quaeda, si sono impadronite di Mogadiscio e poco più, il paese è tornato a ricoprire un ruolo importante nello scacchiere geopolitico mondiale, nel quadro della lotta al terrorismo.

Ma allora sarebbe opportuno chiedersi in che modo e perché i rapporti di potere che hanno caratterizzato (e continuano a caratterizzare) il travagliato percorso della Somalia dal conseguimento dell’indipendenza (1960) fino alla situazione attuale sono ancora così fragili, instabili, frammentati, caotici e irrisolvibili.
Non si può prescindere dall’esprimere una considerazione sui giochi di potere esercitati dai paesi confinanti, anche perché la storia della Somalia è stata da sempre caratterizzata da pressioni e influenze positive o provocatorie dei suoi “vicini di casa invadenti”, cioè quei paesi che fanno parte del Corno d’Africa.

Cerchiamo di capire perché gli equilibri interni della situazione politica somala preoccupano e attirano l’attenzione degli altri paesi confinanti (e non solo).
In primo luogo prendiamo in considerazione le caratteristiche salienti di questo paese. Pur essendo una terra povera, la Somalia diventa allettante per la presenza “dell’oro nero” (il petrolio si trova a Garowe, Alula, Dusamareb, Brava) e di gas naturale, uranio e diamanti. Si aggiunga poi il fatto che la Somalia è diventata la discarica mondiale di rifiuti tossici e terra di traffici illeciti (armi e droga).

Inoltre, dell’immenso continente Africano la Somalia rappresenta insieme ad Etiopia, Eritrea e una porzione del Kenya il Corno d’Africa, che continua a mantenere l’importante caratterizzazione di area-ponte tra l’Africa subsahariana ed il Medio Oriente.

Come sottolinea Anna Maria Turi (Qualcosa di nuovo sul fronte somalo – Limes n°4 2005) «È chiaro che l’Etiopia, con un migliaio di chilometri di frontiera con la Somalia, e una consistente parte del proprio territorio etnicamente somalo, rimane il paese interessato più da vicino alle vicende somale».
L’Etiopia, con i suoi 70 milioni di abitanti, è il secondo paese più popoloso dell’Africa ed un mosaico etnico assai complesso che lo rendono teatro di frequenti tensioni interrazziali. La distinzione fondamentale è tra gruppi semitici cristianizzati e gruppi camitici islamizzati.

I rapporti tra Etiopia e Somalia sono stati caratterizzati da un passato burrascoso, infatti Mogadiscio ha sempre accusato l’Etiopia di essersi annessa indebitamente la regione dell’Ogaden, la regione al confine tra i due stati ma abitata da popolazioni di origine somala (ricordiamo la «guerra dell’Ogaden» del 1977).

Allo stato attuale l’Etiopia guarda con preoccupazione l’affermazione delle Corti islamiche, per timore che i fondamentalisti islamici possano influenzare negativamente i già difficili equilibri interni del Paese (le relazioni diplomatiche tra i due paesi si raffreddarono notevolmente tra il 1995 e il 1998, periodo che coincise con la presenza di Bin Laden in Sudan).
Ancora oggi in Etiopia sono innumerevoli i dissidi etnici che infiammano il Paese e sono tanti i malumori nei confronti del governo centrale che si sono trasformati in resistenza attiva. Queste tensioni irrisolte esplodono in scontri etnici violentissimi con decine di morti e migliaia di sfollati (come successo recentemente a Gambella). L’invadenza dell’Etiopia (che sostiene il Presidente somalo Yusuf, la cui presidenza si è caratterizzata fin da subito per una concezione laica dello stato, seppure in un paese al 99% islamico) si è spinta fino ad appoggiare apertamente l’iniziativa IGAD (Inter-Governmental Agency for Development, l'agenzia che riunisce i paesi dell'Africa orientale) per la pacificazione del Paese e la Conferenza di Pace conclusasi a gennaio 2005 con la formazione delle istituzioni statuali di transizione.

Avere un alleato a Mogadiscio per il governo di Addis Abeba oggi più che mai rimane un obiettivo vitale, considerato che il paese gode di ottima stima da parte degli Stati Uniti. Infatti, secondo il “Dossier sulla situazione Etisia – Eritrea 2006” (pubblicato dal Servizio Studi affari Internazionali” del senato della Repubblica) l’Etiopia è attualmente considerata dagli Stati Uniti, un partner importante nella strategia di lotta al terrorismo condotta nella regione del Corno d’Africa, in particolare nel contesto della Combined Joint Task Force – Horn of Africa. La cooperazione comprende la condivisione di informazioni di intelligence, la formazione di personale di polizia etiope e diversi programmi congiunti nell’ambito dell’anti-terrorismo.

Ma è pur vero che l’orientamento dell’Etiopia nel corso della storia è stato condizionato dalla storica rivalità con l’Eritrea.
Anche perchè, in Eritrea è attivo il “Movimento Eritreo della Jihad Islamica” che fornisce supporto ai movimenti di guerriglia somali anti-etiopici e, secondo un rapporto ONU, le milizie dell’UIC sarebbero sostenute militarmente dal governo eritreo. A sua volta le Corti islamiche accusano Yusuf di essere un burattino manovrato dall’Etiopia e di voler scendere a compromessi con l’odiato vicino. Quindi situazione quanto mai fluida e tesa.

Anche i paesi arabi hanno continuato ad esercitare una certa influenza, in virtù del fatto che la Somalia fa parte della Lega Araba. In particolare Il Cairo , avrebbe interesse a mantenere l’Etiopia sotto pressione per impedirle di minacciare il flusso delle acque del Nilo Azzurro con opere di diversione che costituirebbero per l’Egitto un limite all’utilizzo dell’acqua. Uno dei nodi più complessi nel contesto regionale è determinato dalla difficile gestione delle risorse idriche, in particolare di quelle condivise dall’Etiopia con la Somalia e con l’Egitto.

Quale futuro per i paesi del Corno d’Africa e per la Somalia? Nei prossimi mesi si giocherà una partita decisiva. L’opzione più ragionevole è stata quella presentata dall’IGC, Internacional Conctact Group, i cui promotori sono Usa, Gran Bretagna, Svezia, Italia, Norvegia e Unione Europea e con la collaborazione esterna di Unione Africana e Lega Araba in qualità di osservatori.
L’ICG ritiene di avviare il processo di costruzione dello stato somalo solo attraverso un fase di tregua, pace e confronto politico tra Corti Islamiche e il Governo somalo di transizione guidato da Yusuf.
Le trattative successive vedono il graduale inserimento delle Corti nelle istituzioni di transizione.

Però sono numerosi i problemi che il nuovo governo dovrà affrontare: dalle frizioni interne per l'arrivo di un contingente di peacekeepers che garantisca la sicurezza almeno a Mogadiscio, ai difficili rapporti con il Somaliland.
Senza dimenticare gli scontri interclanici hanno insanguinato il centro del paese. Certo non sarà un’ impresa facile. E’ pur vero che le possibilità di recupero della situazione in Somalia sembrano dipendere sempre più da un sostanziale e concreto intervento degli Organismi internazionali (ONU, UE).

La Comunità Internazionale non puo’ correre il rischio di fallire un'altra volta, e sarebbe opportuno che non ripiegasse su interessi egoistici. Ha il dovere di cercare di superare il ristretto ambito dell’attività “controterrorismo” e operare per cercare di risolvere con impegno e determinazione le cruciali situazioni interne (istituzionali, di sicurezza ed economiche) del popolo somalo, che versa ormai da troppi anni in condizioni disperate.



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