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Cricio è vivo: fogli sparsi

Se l’avessi saputo prima!

Diario di una strana giornata. Un treno a lunga percorrenza in orario! E tante altre stranezze in un giorno solo

Di Cricio


Un treno a lunga percorrenza in orario. L’ho potuto verificare di persona e, abituato ai continui e vistosi ritardi di TrenItalia, mi affretto a comunicarvelo perché lo ritengo proprio un evento straordinario, che ha caratterizzato il mio assurdo viaggio ad Arezzo.

Assurdo perché?
Innanzitutto il motivo: depositare in cancelleria la domanda al Presidente del Tribunale di Arezzo di apportare le modifiche intervenute nelle due testate colà registrate di cui mi occupo: Spaziodi Magazine e Fatti & Opinioni.

Per fare questo, udite udite, viene preteso che il deposito sia fatto “di persona” o tramite un delegato, cioè qualcuno che si rechi fisicamente deambulando alla cancelleria, depositi gli scarni fogli contenenti “secondo modello” le informazioni richieste e corredati dalle fotocopie dei documenti di identità e con una marca da bollo da € 14,62. Tutto qui! Ma non lo si può fare per raccomandata.

Piegandomi all'assurda imposizione, avevo trovato chi gentilmente si era offerto di intraprendere un viaggio da Perugia ad Arezzo per fare il “deambulante” incaricato, ma il tempo a disposizione era, a mio avviso, troppo breve; il deposito deve essere eseguito entro 15 giorni dalle avvenute modifiche. I documenti li avrei dovuti trasmettere per posta e se le poste li avessero persi o avessero ritardato la consegna all’incaricato deambulante, cosa sarebbe successo? Visto che c’era un comodo Eurostar che da Bergamo mi avrebbe permesso di raggiungere Arezzo in tempo utile per andare in cancelleria e rientrare in giornata, ho optato per portare il tutto “a mano”.

Così ieri mattina sono salito sull’Eurostar delle 6:12 che collega Bergamo a Roma, sperando che il consueto ritardo non mi facesse perdere la coincidenza a Firenze Rifredi con l’Intercity che mi avrebbe portato ad Arezzo.
Il treno parte già con qualche minuto di ritardo ed a Bologna purtroppo questo si accumula e supera già il tempo dato per la coincidenza. Inutile agitarsi, speriamo che il treno aspetti, comunque ce n’è uno successivo che arriva un’ora dopo, ma a quel punto sono tirato con i tempi per raggiungere la cancelleria prima della chiusura.
Stiamo arrivando a Firenze Rifredi, quando la gentile voce all’altoparlante di servizio ci comunica che la coincidenza ad Arezzo ci sarà col treni IC... anche lui in ritardo. Bene, ce l’ho fatta!

Fatta? Ma che dico...? Sceso dal treno vedo qualche binario più in là un treno in attesa sui binari. Sarà lui, penso. Quindi giù di corsa dalle scale del sottopassaggio, nessun annuncio esplicativo dagli altoparlanti, nessun cartello indicatore delle destinazioni dei treni sui binari (mai vista una stazione più squallida di questa!), mi muovo a caso e risalgo verso i binari, vedo che ho superato il treno che invece è ancora fermo qualche binario più in giù.
Via di corsa giù di nuovo e di nuovo su per la rampa di scale, quando sbuco sul binario il treno ha già chiuso le porte e si sta muovendo: perso... ho il fiatone, il cuore in gola e la bocca secca!

Ridiscendo le scale per raggiungere la stazione e cercare di capire come raggiungere ora Arezzo. Questa stazione è la più strana che abbia mai visto; sembra un sogno di Kafka: una gran quantità di binari vuoti, nessuno in giro, nessuna voce che indirizzi dagli altoparlanti, nessuno a cui chiedere, nessun cartello indicatore e il sottopasso che ti obbliga ad uscire dalla stazione con sbarramenti al rientro.
Sono perplesso, quando sento finalmente il gracchiare di un altoparlante che con voce metallica annuncia: “L’Intercity delle 10:15 provenente da Milano e diretto a Roma Termini è in arrivo al binario 3, ferma a Firenze Campo Marte, Arezzo... ma è il mio! Allora ce l’ho fatta.

Arrivo ad Arezzo, solo 10 minuti più tardi del previsto. Mi inerpico per le stradine che portano a Piazza Grande, dove c’è il Tribunale e svolgo in pochi minuti la mia pratica.

Poi fuori, non è ancora mezzogiorno, questa volta mi dirigo verso la Rocca che l’anno scorso non avevo visto. Salgo dalla strada che si diparte dal fondo di Piazza Grande, sono ormai alla fine della salita quando vedo avanzare un vecchietto sorridente, vestito elegantemente con un bastone da passeggio con il manico d’argento. Quando arriva alla mia altezza con voce gentile mi dice:
- Buon giorno.
- Buon giorno.
- Come mai da queste parti?
Il dialogo mi sembra strano ma, rispondo gentilmente anch’io:
- Visito Arezzo.
- Cosa è quella cosa lì?
Mi indica così la macchina fotografica che penzola a tracolla, sono perplesso, cosa rispondo? Che domanda strana, lì per lì invento una risposta che non sia offensiva:
- Ah, è la mia macchina fotografica, la porto sempre con me.
- Sì...
E così dicendo si avvicina a me e passa una braccio attorno alla vita.
Non so quale sia stata la mia faccia o se i miei muscoli si sono irrigiditi, fatto sta che il vecchietto molla immediatamente la presa e prosegue con un sorriso:
- Buona passeggiata allora.
- Buona giornata.
E così si allontana. Sono allibito, credo di aver subito qualcosa che non mi era mai capitato. Ma resto confuso, cosa di me lo aveva attratto? Non sono un giovincello anzi, non credo di essere attraente, allora? Proseguo nella mia esplorazione della parte alta di Arezzo, ma l’incontro mi ha lasciato un poco sconvolto.

Arrivo al parco, questi grandi alberi con i loro tronchi secolari mi ridanno un poco di tranquillità, poi sento le campane suonare il mezzogiorno. Forse è meglio se vado a pranzare, così poi mi metto a scrivere. Mi sono portato il portatile, che ora mi pesa, ma è mia intenzione proseguire a lavorare sul racconto che sto scrivendo, il primo racconto della mia vita, anzi forse si può ormai chiamare “romanzo”.

Ridiscendo da Corso Italia, mi fermo a guardare le vetrine e a leggere i menù appesi fuori dai ristoranti e dalla pizzerie. Non ho fretta, ma il portatile pesa e verso la mezza mi decido a cercare l’Hostaria dove avevo pranzato l’anno prima. Mi ero trovato bene e non era stata costosa.

Ne vedo alcune nel vicolo dove mi ricordavo fosse, ma nessuna di quella mi sembra quel locale dove mi ero fermato.
Ad un certo punto vedo sul fondo del vicolo il locale che cercavo, anche se mi sembra che qualcosa sia diverso. Mi avvicino. Sì, è lui: riconosco il portone dove una ragazzina ha fatto un lungo discorso al citofono con la madre.
Mi studio allora il menu affisso, non ho voglia di carne o di pesce, la corsa per le scale di Rifredi mi ha scombussolato lo stomaco e voglio pranzare con cose gustose, ma niente carne o pesce. Alla fine decido, prosciutto e melone e scamorza alla griglia.

Soddisfatto della decisione, mi appropinquo ad un tavolo apparecchiato per due, appoggio il portatile su una sedia e faccio per sedermi sull’altra quando un urlo mi giunge alle orecchie: - Please...
Mi giro e vedo arrivare come una furia l’ostessa, una giovane donna morettina, minuta con occhi infuocati che prosegue:
- The service beginning at one o’clock...
Resto stupito, sembrava gentile quando l’avevo intravista prima, ora ricorda mia moglie, che non è né minuta né morettina. Confuso raccolgo il PC e balbetto:
- Ahh, at one? Excuse me...
E confuso mi allontano. Ma cavoli, come ha fatto a prendermi per inglese? E che pepe! Certo è cambiato qualcosa lì, la gentilezza dell’anno scorso non c’è più, poi se mi fermavo ad aspettare l’una lì seduto cosa succedeva? Gli avrei forse consumato troppo la sedia in ferro? Boh, che giornata questa: incomprensibile!

Proseguo nel vicolo e sbuco su una piazza, scendo ancora e riprendo il vicolo successivo che torna verso Corso Italia, sempre alla ricerca di un posto dove pranzare, sempre più perplesso, e con lo stomaco sempre più in disordine.
Mi lascio convincere da una pizzeria-ristorante, ho deciso ripiegherò su una pizza; so che va bene quando sono così, meglio non rischiare con piatti che magari poi non riesco a mangiare.

Entro, non c’è nessun avventore, mi preoccupo: che sia una abitudine di Arezzo iniziare il servizio all’una? No! Chi mi accoglie è una persona simpatica che mi rassicura: “C’è da aspettare una decina di minuti, non di più, si sieda dove vuole, dentro o fuori nel giardino”. Un sospiro di sollievo, ci sono ancora ristoratori che sorridono.

Ordino una pizza al prosciutto crudo. Mentre aspetto incomincio a chiacchierare, racconto dell’avventura nel locale precedente e l’assurdità del motivo che mi ha portato ad Arezzo. Il ristoratore chiama la moglie, penso che sia sua moglie, “Senti qui cosa succede al Tribunale” dice e rivolto a me: “Lei lavora in Tribunale”.
Ecco che mi riconcilio con la vita.
Poi arriva la pizza e la affronto con decisione e quasi fame.
Entra anche il pizzaiolo che si siede su una sedia vicino alla porta verso le cucine. È seguito da un bambino che è stupendo. Agitato come sanno essere i bambini intelligenti, senza strafare, ma gioca con il pizzaiolo a base di discorsi e gesti. È un divertimento unico.
La pizza è veramente buona e la mangio con piacere, stranamente la finisco prima che sia fredda.

Allora ordino anche dei formaggi. Alla fine un buon caffè chiude il pasto. Ma la cosa che mi ha rianimato è la loro ospitalità, l’umanità che riescono a trasmettere.


Mentre pranzavo mi è venuta un’idea. Se al ritorno perdo la coincidenza a Bologna sono nei guai; infatti non c’è altro treno che mi porti a Bergamo, dovrei farmi cambiare il biglietto per Milano e poi da lì raggiungere Bergamo, ma cosa mi trattiene ad Arezzo? Nulla! Tanto vale che prenda il primo treno per Bologna e lì aspetti lavorando al racconto. Quindi scendo velocemente verso la stazione. Lì arrivato, vado all’ufficio prenotazione a chiedere e mi dicono che c’è un treno alle 14:55. Ho quasi un’ora di attesa, esco dalla stazione e cerco un posto dove sedermi e lavorare un poco.

Trovo una panchina nel piccolo parco che c’è fuori dalla Stazione. Lavoro per un poco, ma la posizione è scomoda e disturbata dal traffico.
Chiudo il PC e torno verso la stazione, prima avevo cercato al buffet, ma non cerano tavolini liberi, adesso forse c’è posto. Infatti trovo quasi tutti i tavolini liberi, ho sete ed ordino una birra, ormai però le 14:55 sono vicine, non ho voglia di riaprire il PC e passo il tempo leggendo un libro.

Siamo ormai vicini all’arrivo del treno, mi alzo e vado verso il binario su cui dovrebbe arrivare. Preparo il biglietto, quando mi accorgo che, a differenza di quello dell’andata, questo riporta i dati del treno che devo prendere con la prenotazione del posto. Allora torno allo sportello e chiedo se si può cambiare la prenotazione. L’impiegato risponde di sì, ma che prima deve verificare se c’è posto libero. La verifica non è soddisfacente, c’è posto fino a Firenze, ma da Firenze a Bologna no. Rinuncio, non mi viene neanche in mente che da Firenze a Bologna avrei potuto restare nel corridoio.

Credo di essere abbastanza frastornato da questa giornata.

Cerco le toilette, le vedo nella solita costruzione a fianco della stazione. Accidenti che stile, mi aspettavo i soliti servizi più o meno igienici, puzzolenti ed invece trovo cose di “lusso” pulite e funzionanti alla perfezione.

Uscendo adocchio un giardinetto, con una aiuola centrale, con un grande ombroso pino marittimo; ai fianchi del pino, a distanza, due panchine, una è occupata da due ragazze che parlano fra di loro, io mi sistemo sull’altra, riapro il PC ed inizio a lavorare intensamente.

Sto preparando un dialogo con Concetta, la cosa mi coinvolge molto, anche emotivamente, sono ricordi dolci e laceranti nello stesso tempo. Quanto era bello quel periodo.
La concentrazione viene interrotta da una delle ragazze sedute sull’altra panchina, che mi trascina nei loro scherzi con una battuta, cerco di rispondere spiritosamente, ma mi accorgo nello stesso tempo che la posizione che ho tenuto sta procurandomi un bel mal di schiena, non posso restare in quella posizione. Finisco il pezzo su cui sto lavorando e ancora una volta chiudo tutto, mi alzo e vado a cercare una posizione piu comoda per la mia schiena, la trovo nelle poltroncine in alluminio dell’atrio della Stazione.

Chiudo gli occhi per rilassarmi un poco. Il brusio della sala mi culla, qua e là qualche voce più alta. Ad un certo punto sento il cicaleccio di voci di ragazze, apro gli occhi, sono circondato da ragazzine, che parlano tra di loro come se io non ci fossi, ma mi circondano.
Una sta parlando al cellulare, avvisa casa che arriverà in ritardo perché il treno che viene da Roma è in ritardo di 10 minuti. Suo padre si è seccato, ma cosa avrebbe detto se invece del treno da Roma avesse dovuto prendere quello da Milano che ha 40 minuti di ritardo?
Richiudo gli occhi ed il loro chiacchierio mi tiene compagnia, capisco poco di quello che dicono, perché usano termini di un loro gergo, a me sconosciuto. Parlano italiano, ma un italiano fatto di troppe parole che non conosco. Possibile? Eppure...

...

Il tempo è passato. Guardo il tabellone: il treno da Napoli per Trieste che devo prendere. È lì; la colonna del ritardo è vuota, sembra che sia in orario.
Mi sposto sul binario 4 dove deve arrivare e, quando arriva, mi accorgo che strano a dirsi è puntuale, malgrado siano già quasi 5 ore che viaggio. Così è fino a Bologna.
Anche a Bologna gli altoparlanti continuano a snocciolare ritardi dei treni, ma il mio è arrivato in perfetto orario, ora sono sicuro di arrivare a casa in serata.
I binari sono pieni di gente, devo attendere 40 minuti, preferisco uscire dalla stazione e andare in un bar tranquillo.

...

Il tempo è trascorso velocemente e ora sono di nuovo sul binario dalla stazione di Bologna in attesa del treno. Arriva l’Eurostar per Milano, con 5 minuti di ritardo, ergo anche il mio, che lo deve seguire, arriverà in ritardo. Infatti, ma con solo 3 minuti, però poi invece di ripartire entro 3 minuti, come dovrebbe, si ferma di più e così il ritardo si allunga.

Davanti a me si è seduto un giovane biondo riccioluto, con una bella faccia sorridente, che mi apostrofa subito con un bel: “Buonasera”. Ecco già questo mette allegria. Anche si arriva in ritardo ormai non è più un problema. Al mio fianco invece piomba una biondina, media età, silenziosa, che immediatamente si metta a leggere Gioia.

L’ambiente questa volta è movimentato. Nei sedili dall’altra parte del corridoio c’è un gruppo che ha dimenticato a casa il biglietto e dalla Stazione Termini stanno rincorrendo il treno con un fax con la copia dei biglietti. Questo anima il viaggio fino a Modena, dove loro scendono.

Dopo quattro parole il ragazzo di fronte a me inizia ad ascoltare musica con il lettore MP3, ma scommettiamo fermata per fermata il ritardo che accumula il treno.

Ho lasciato PC e libro nella borsa messa nel porta bagagli e ora mi annoio, non ho sonno, mi guardo intorno. Vedo, nello scompartimento di fronte al mio, proprio in diagonale, una bella morettina, proprio con il viso che piace a me, e così mi metto a studiarne gli atteggiamenti, cercando di non fissarla troppo. È strano come il suo viso cambi: dolce quando, come me, pensa e osserva quello che la circonda e invece duro, astioso, quando parla al cellulare, chissà forse quelle telefonate non le gradisce, ma non lo saprò mai.

Passata Cremona sento una donna dello scompartimento dove c’è la morettina che chiede come poter raggiungere un hotel a Mozzo. Io abito nel comune vicino, non sapevo che ci fosse un hotel lì. Pensa di prendere un taxi, ma una signora, sempre dello stesso scompartimento, la sconsiglia: è costosissimo il taxi a Bergamo, anche perché la zona urbana è piccolissima e si sconfina subito nell’extraurbana.

Penso che potrei accompagnarla io, alla fine non mi porta molto fuori strada. Ma dovrei alzarmi e far scomodare la silenziosa biondina. Rimando a dopo Brescia, se scende lì posso muovermi liberamente, altrimenti le chiederò di passare.

Stiamo avvicinandoci a Brescia quando la biondina silenziosa si alza e si allontana. Allora approfitto e mi faccio avanti, chiedo:
- Chi deve andare a Mozzo? Io abito vicino e la posso accompagnare.

Mi aspettavo fosse una donna matura, chissà perché; invece è la ragazza seduta in fianco alla morettina che sgrana gli occhi felice:
- Ma davvero? Mi può accompagnare? Non le reco troppo disturbo?
- No, abito nel comune a fianco e non è certo un problema allungare il viaggio di qualche minuto. Ma dove deve andare di preciso, lo sa?
- Si in via Dorotina, 11, mi hanno detto che è a tre chilometri dalla stazione...
- No, sono molti di più, ma è proprio vicino a casa mia, ma via Dorotina è tagliata della statale e ha delle parti con accessi a senso unico, si potrebbe fare spiegare meglio il posto, così siamo più sicuri.
- Chiamo col cellulare, però poi ci parla lei che conosce il posto...
- Sì, non c’è problema.

Così scopro che vicinissimo a casa mia c’è un hotel, non lo sapevo. Se l’avessi saputo a Natale mi sarei risparmiato un bel po’ di problemi.
Poi esce un’altra faccenda: la ragazza, che è di una vivacità e spontaneità straordinaria, si accorge di avere fame, sono ormai le 22 e dalle nostre stime il treno non arriverà prima delle 22:40. Come fare? I ristoranti a quell’ora chiudono, io non voglio ritardare ulteriormente il rientro a casa, la moglie si arrabbierebbe. Viene un’idea, davanti alla stazione c’è un MacDonald’s, io l’auto l’ho a una decina di minuti a piedi dalla stazione. Intanto che vado a prendere l’auto, lei può andare a comprarsi qualcosa al MacDonald’s.

Siamo ormai a Bergamo, con i 25 minuti di ritardo previsti. La ragazza dice di avere una valigia molto pesante, penso che sia quella sulla mensola porta bagagli sopra i sedili, no quella è la piccolina, ce ne è un’altra nel bagagliaio all’inizio del vagone. Accidenti, quello è un armadio con le rotelle! La aiuto a sbrigarsi con le valige e usciamo insieme così le spiego dove farsi trovare dopo aver fatto rifornimento di cibarie.

Vado a prendere l’auto, abbasso i sedili dietro per allungare il bagagliaio e parto.
Eccola là, esattamente dove le avevo indicato, con il suo valigione è perfettamente riconoscibile a distanza. Mi fermo e assieme carichiamo quel sarcofago di valigia.
Durante il viaggio mi racconta di lei, sta andando per studio a Siviglia, ha 24 anni e raggiunge così il suo ragazzo spagnolo, conosciuto l’anno prima con l’Erasmus.

È una ragazza decisamente sveglia e senza timidezze, fiduciosa. Arriviamo all’hotel, l’aiuto a scaricare il valigione, poi saluti e ringraziamenti.
Non le ho chiesto neanche di mandarmi una cartolina, ma forse è meglio così. Resterà un bel ricordo che chiude una giornata stranissima.
Ma non è così, la giornata non è finita, infatti quando arrivo a casa mia la moglie è incazzata nera e mi apostrofa: “Ma non potevi mangiare qualcosa prima di arrivare a casa?”

Già sarei andato a cena volentieri con la ragazza, se l’avessi saputo prima!

Argomenti:   #arezzo ,        #ferrovia ,        #racconto ,        #viaggi



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