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Il ruolo delle potenze internazionali in Africa


Di Giovanni Gelmini

Per anni l’Africa è rimasta in disparte, senza grandi prospettive dipendendo in modo sia economico che culturale dal mondo che la circondava. Ora sembra essersi risvegliata e questo lo si legge purtroppo attraverso i fatti di sangue che la dilaniano e che, a differenza dei decenni passati, non sono circoscritti, ma imperversano su ampi territori.

Esiste un Nord Africa strettamente legato alla zona mediterranea dell’Europa e al medio oriente, l'Africa sub-sahariana, l’Africa del sud e quella del cosiddetto Corno d’Africa.

Da sempre siamo abituati ai conflitti tribali africani, ma non possiamo nascondere che dietro a questi conflitti esistono gli interessi di potenze che forniscono le armi e l’appoggio ai “signori della guerra” o in qualunque modo li si voglia chiamare.

Negli anni novanta si è assistito a due fatti che hanno cambiato la realtà geopolitica africana: il genocidio ruandese e lo smantellamento del regime razzista nel Sudafrica. Questo ha cambiato l’atteggiamento delle potenze occidentali e le istituzioni finanziarie che hanno rinunciato all'ideologia dell' "aggiustamento strutturale", cioè dello sfascio degli pseudostati post coloniali nati dopo la fine della seconda guerra mondiale, al fine d proseguire lo sfruttamento delle loro risorse senza difficoltà.

Qui, seppure nel silenzio rotto da eventi sanguinosi, si gioca una partita importante nel confronto globale fra Cina e Stati Uniti. Inoltre qui è presente una forma di terrorismo che si lega a quello islamico fondamentalista.

La penetrazione cinese inizia nel 1996, quando le sanzioni decretate dai paesi occidentali al regime che governava il Sudan, spalanca le porte di questo continente alla Cina. Questa non entra solo per lo sfruttamento delle fonti energetiche, ma fornisce al paese anche infrastrutture e armamenti, così raggiunge il controllo economico del paese, dando anche l’appoggio politico internazionale.

Questo è il primo esempio di inserimento della Cina in un ‘altro continente e qui è evidente, come avevo già sostenuto in altri articoli su questa grande potenza asiatica, che l’interesse cinese è essenzialmente economico.
Da una parte per la Cina i paesi africani sono una fonte di materie prime necessarie al suo sviluppo ( prodotti energetici, minerali preziosi, legnami) dall’altro diventano mercati di socco per i prodotti cinesi. Ma per garantirsi questi mercati i cinesi offrono anche tutto quello che serve: dalle armi ai medici.

A differenza dei paesi occidentali la Cina non impone clausole politiche se non quella di non riconoscere la Repubblica di Taiwan. Si disinteressa in pratica della politica che il potere locale fa e così risulta più interessante per i poteri rispetto ai legami con gli yankee.

La Cina ha portato i suoi interessi così in tutti i paesi Africani che dispongono di risorse naturali, dalla Nigeria al Corno d’Africa

Gi interessi di Usa e Cina si scontrano in particolare in Sudan e in Nigeria, ma la Cina difficilmente cederà le posizioni raggiunte, poiché queste forniscono una quota sostanziosa dei materie prime a lei necessarie e come già detto, a differenza degli occidentali, non interviene nella gestione del potere locale e gode di un vantaggio “psicologico” rispetto agli Stati Uniti.

Gli Stati Uniti sono quindi svantaggiati rispetto ai cinesi sia dalla posizione ideologica loro, che presuppone la loro visione etica come l’unica “vera” da imporre a tutto il mondo, sia dalla mancanza di politiche coerenti.
Sembra che la Casa Bianca abbia altre cose a cui badare che gli interessi in Africa. Ad esempio il Pentagono considera l'Africa come un teatro pressoché insignificante. Così non vengono finanziate missioni diplomatiche che invece sarebbero utilissime nelle aree più in fermento a causa della penetrazione del fondamentalismo islamico.
Questo atteggiamento sembra anche legarsi a una posizione religioso-ideologica di Bush che è legato ai circoli dei cristiani evangelici ultraconservatori e invece ha difficoltà a trattare con gli islamici.

Uno dei punti più dolenti in Africa è l’attività di cellule terroristiche jihadiste. La presenza in Iraq di terroristi africani è del 25% e questo mostra il peso che queste cellule hanno nel territorio africano.

Gli Stati Uniti su questo punto hanno una serie di problemi che nella pratica impediscono una azione efficace. Questi vanno da un’organizzazione di competenze territoriali, che crea confusione, alla visione del “gendarme” che deve garantire la libertà. Le loro attività si basano troppo sulla forza e sulle azioni militari, e troppo poco sulla politica e sulla dissuasione. Gli interventi “muscolosi” e le sanzioni, però spianano la strada alla Cina, che lasciando autonomia ai governi locali, si disinteressa della presenza delle cellule terroristiche, fino a quando queste non interferiscono con i suoi interessi.

Proviamo ora a vedere lo scenario geopolitico del continente africano dall’interno.

Al disfacimento degli imperi coloniali si sono sostituiti in un primo tempo governi “rivoluzionari” di “sergenti “auto-elevatisi al rango di Presidenti. Questi regimi, spesso sanguinari, sono staiti in genere appoggiati dai paesi europei e questo oggi pesa nel rapporto tra Europa e Africa.

Nel tempo però alcuni paesi si sono affermati per la loro capacità di generare “stato”, cioè politiche e organizzazione. Oltre a paesi stoici dell’area mediterranea, come Egitto e Marocco, si sono aggiunti quelli che hanno saputo trovare una relativa stabilità al loro interno come la Nigeria, l’Etiopia, la Repubblica Democratica del Congo e l'Angola.
Sicuramente però lo Stato che ha una struttura più stabile e che quindi cerca di fare valere la sua leadership è il Sud Africa. La sua stabilità politica gli ha permesso di passare dalla gestione “bianca” con l’apartheid a quella attuale senza traumi o scosse. Il Sudafrica presenta ora una economia in espansione, ancora in mano ai bianchi, infatti il dopo apartheid ha sancito che il potere economico rimanga in mano agli eredi dei colonizzatori e il potere politico vada all'African National Congress, a dominanza nera.

All’interno di questo quadro, il Corno d’Africa si presenta come una delle zone più disastrate sotto l’aspetto della stabilità politica e uno dei fronti in cui si deve combattere realmente la guerra al terrorismo.

Qui però il terrorismo ha una foggia particolare: azioni di gruppi terroristici contro altri gruppi della Somalia, Yemen e di altri paesi.

La regione è posta lungo il confine virtuale che divide il mondo musulmano, tradizionalmente presente lungo il corso del Nilo e le regioni costiere, dall’Africa nera cristiana e animista. È un’area piena di conflitti interni e regionali, che oggi si intersecano con la guerra al terrorismo.

La Somalia, in particolare, è considerata uno «Stato fallito» ed è in mano a signori della guerra e a gruppi integralisti che si contendono il potere.
L’Etiopia ha svariati contenziosi proprio con le confinanti regioni somale, ma il fronte principale è quello che l’oppone all’Eritrea con l’attuale pace «armata». A sua volta l’Eritrea a avuto problemi, ora solo sopiti, con tutti i suoi vicini. Oltre alla guerra con l’Etiopia e alle tensioni con il Sudan, con cui è stata combattuta una guerra durata un ventennio, negli anni Novanta ha aperto con lo Yemen un contenzioso sulle isole Hanish, piccolo arcipelago posto all’imboccatura dello stretto di Båb al Mandab, poi risolto con un arbitrato internazionale che ha dato ragione allo Yemen.

Questi conflitti hanno comportato nel Corno d’Africa una lunga tradizione di appoggi esterni da parte di vari paesi a gruppi e movimenti di opposizione interni ai paesi avversari.

Come sono i rapporti all’intero di questa realtà?
Etiopia, Yemen e Sudan sostengono il cartello d’opposizione dell’Alleanza delle forze nazionali eritree.
L’Etiopia sostiene il Consiglio della riconciliazione somala.
Invece l’Eritrea aiuta il Fronte di liberazione degli Oromo in Etiopia e l’Alleanza nazionale democratica in Sudan.
Infine l’Egitto e Gibuti sostengono il governo nazionale di transizione in Somalia, il Sudan aiuta la Lord’s Resistance Army in Uganda e la Jihåd islamica in Eritrea e l’Uganda sostiene l’Esercito di liberazione popolare del Sudan (Spla) . Potemmo definire questa situazione come “tutti contro tutti”.

In tutto questo come troppo spesso dobbiamo rilevare, manca una politica unitaria e significativa dell’Unione Europea, anche se l’Africa è forse il continente più vicino a noi sotto molti aspetti.

L’approccio che i nostri governi hanno verso l’Africa risente ancora dell’impostazione coloniale. Ogni nazione tende ad occuparsi delle proprie ex-colonie che sono viste un ambito “esclusivo” da cui gli altri paesi devono astenersi. Questa politica estera verso l’Africa è molto sentita dai paesi che più hanno avuto una presenza coloniale come la Francia e la Gran Bretagna.

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