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La Somalia e il Corno d’Africa Di Giacomo Nigro
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La Somalia è la punta del Corno d’Africa che si protende in avanti nel mare e pare l’appendice cornea di un rinoceronte che vuol colpire la penisola arabica. Generalmente in Italia ci si ricorda di questo Paese quando cade un italiano (è stato il caso di Suor Leonella Sgorbati missionaria della Consolata uccisa recentemente e di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin giornalisti Rai caduti nel 1994) altrimenti semplicemente si dimentica la sua esistenza: quasi una rimozione. Eppure l’Italia ha giocato e gioca laggiù un ruolo preminente prima come nazione colonizzatrice poi come principale partner economico. Tentare di tratteggiare un quadro completo e significativo di questo ruolo in poche righe è compito arduo data la complessità degli avvenimenti.
Questo Paese nacque nel 1960 dalla fusione della Somalia italiana con il Somaliland ex protettorato inglese e che da allora è diventato uno degli stati più instabili del mondo. La repubblica almeno sulla carta era uno stato democratico, ma intendere la democrazia somala come un'acritica trasposizione degli istituti giuridici della costituzione italiana, basata cioè sulla partecipazione popolare attraverso i partiti politici, fu un errore. Si verificò così il paradosso di una costituzione che rifuggiva il tribalismo in quanto nemico dell'unità del popolo somalo e che al contempo lo fomentava, in quanto unica forza capace di costituire un catalizzatore elettorale: i partiti somali si identificavano per linee di clan e quindi in formazioni clientelari. La Somalia del 1960 detiene tutti i record negativi dell'Africa, fin da prima dell'indipendenza è chiaro che potrà sopravvivere solo in grazia della generosità degli aiuti esterni organizzati dall’AFIS il cui principale esito è stato, analogamente a quanto accaduto in Italia col piano Marshall, la nascita di una repubblica democratica fondata sulla corruzione ed il falso in bilancio, comoda per gli interessi economici dei bianchi, sempre predatori, devastante per il popolo. A mantenere la coesione di questo edificio impossibile a reggersi concorrono gli strumenti classici dell' oppressione: nazionalismo, tribalismo, repressione. La borghesia che si forma all'ombra dell'indipendenza è inefficiente, corrotta, ma dotata di imponenti finanziamenti: fra il '60 e il '65 Mogadiscio riceve sotto forma di aiuti 171 miliardi di dollari, più altri 130 di crediti agevolati. Una massa imponente di denaro che non migliora comunque la situazione della gente somala il cui reddito pro-capite resta di 25 mila lire l'anno. Secondo il mandato ONU l'Italia avrebbe dovuto risolvere definitivamente il contenzioso di frontiera con l'Impero d’Etiopia ma ciò non avvenne. Con un certo cinismo la politica italiana tese a mettere la nuova classe dirigente somala in condizioni di dipendenza. Essendosi creata una situazione di attrito alle frontiere, la Somalia necessitava di ingenti stanziamenti militari, lo stesso pansomalismo sancito dalla costituzione portò al conflitto coi vicini e quindi la potenza militare divenne argomento centrale. Mogadiscio si creò quindi nemici e sospetti: la vertenza Ogaden con l'Etiopia, il Northen District col Kenia, la colonia di Gibuti con la Francia... si tratta di questioni non indifferenti perchè Etiopia vuol dire USA e Kenia significa Gran Bretagna. L’indipendenza aveva messo in una certa agitazione i 3.000 cittadini italiani rimasti in colonia, agitazione che già nei primi mesi della repubblica somala viene calando. Appare chiaro che non ci sono pericoli: il governo somalo non intende procedere a nessuna nazionalizzazione. Gli espropri sono rarissimi, tutti più o meno sollecitati dagli stessi espropriandi che vedono il carattere di grande affare dell'esproprio stesso: il governo di Roma copre generosamente le perdite subite dagli imprenditori. Nel 1967 la Somalia è virtualmente in guerra con tutti i suoi vicini e la situazione diviene insostenibile. E' a questo punto che il gruppo dirigente di Mogadiscio compie una virata politica di 360 gradi: alla fine di una complessa resa dei conti fra le varie frazioni della SYL il presidente della repubblica e del partito viene deposto e sostituito dal primo ministro. E' un vero e proprio golpe di palazzo, ma, nel giro di tre mesi dal 15 luglio '67, la nuova dirigenza somala liquida il contenzioso con tutti i vicini e rientra a pieno titolo negli organismi internazionali dai quali era stata, di fatto o di diritto, messa al bando. Le ragioni di questa virata sono oscure ma non troppo: colte di sorpresa dall'avvicinamento russo, la diplomazia italiana, ovviamente, ma anche quella tedesca, avevano lavorato bene nel convincere la parte più moderata della SYL che l'amicizia occidentale era estremamente più generosa di quella sovietica. Subito dopo la "rettifica" dell'organigramma la Somalia ottiene un nuovo prestito da parte di Usa, Italia e Germania per svariati milioni di dollari oltre ad un vantaggiosissimo contratto di concessione per alcuni piccoli giacimenti di uranio ad imprese italiane e tedesche. Arrivati i finanziamenti la nuova leadership pone in atto la sua politica espellendo l'ala progressista del partito, incarcerandone molti dirigenti e preparando le nuove elezioni dopo aver modificato la legge elettorale: vengono privati del diritto d’essere eletti tutti i dipendenti pubblici che sono il settore dove più forte è l'influenza degli espulsi dal partito, si opera una drastica riduzione del corpo elettorale incarcerando molti dei non in linea con la nuova politica, si fanno elargizioni in puro stile democristiano laddove i governativi sono più forti. Con queste tecniche il nuovo governo si prepara al trionfo elettorale. Infatti i governativi ottengono 80 seggi dei 123 del parlamento mentre le opposizioni si frantumano in 27 partiti diversi: poi, fra la pubblicazione dei risultati e l'apertura della sessione parlamentare, 42 deputati di opposizione chiedono ed ottengono l' adesione al gruppo parlamentare governativo. Quando il parlamento si apre, il solo seggio dell'opposizione viene occupato da Addizirak Hang Husseini, il leader dell'ala radicale della SYL espulsa a luglio. Con 122 voti su 123 deputati il nuovo governo può liquidare definitivamente la partita con le opposizioni: appellandosi allo stato di emergenza promulgato nel momento di maggior tensione con l' Etiopia, e mai abrogato, vengono sciolti partiti, chiusi giornali, deportati in campi di concentramento i militanti di opposizione. La democrazia in Somalia ha termine. Dopo le elezioni del marzo '69 il partito di governo aveva instaurato una dittatura di fatto: l'opposizione, anche se si radica nella intellighenzia, soprattutto fra la sua parte più giovane, resta divisa e non riesce a trovare una linea politica adeguata alle condizioni di estrema repressione in cui si trova ad operare. L'alternativa al potere però cova in un altro settore importante della società somala: l'esercito. L'esercito somalo ha parecchie carte da giocare sul piano politico: è compatto (forse l'unica istituzione che lo sia davvero), è popolare fra la gente (soprattutto dopo le vicende di frontiera della metà degli anni 60), ha una forza materiale direttamente spendibile nell'azione politica. Il golpe è alle porte. Nel gruppo dei golpisti emerge una figura, quella del generale Mohammed Siad Barre. Classe 1921, allievo alla scuola sottufficiali dei Carabinieri di Firenze, nel 1955 diviene capo della polizia di Mogadiscio e nel 1960 vicecomandante in capo dell'esercito e responsabile dei servizi segreti: quattro anni dopo raccoglie fra le sue cariche anche quella di comandante in capo dell'esercito. Siad Barre non è comunque l'unico noto all'ambasciata italiana: di 25 membri del consiglio rivoluzionario ben 14 sono passati per le accademie italiane. Nonostante questo l'ambasciata italiana e la Farnesina vengono colti di sorpresa dal golpe. La giunta provvisoria si assume l'impegno di salvaguardare gli investimenti stranieri nel paese e di rispettare i patti sottoscritti dal precedente regime: tanto basta al ministro degli esteri Aldo Moro per affrettarsi a riconoscere il nuovo regime, primo fra tutti i governi. Fra i primi giornali ad occuparsi della nuova realtà "rivoluzionaria" della Somalia, fra coloro cioè che si occupano di costruire intorno al regime di Barre una credibilità sociale e anticolonialistica, spicca la stampa del Pci: Unità, Paese Sera e Rinascita. Proprio quest'ultima, nella sua veste di organo ideologico del più grande partito comunista d'occidente, gioca un ruolo fondamentale nel costruire un clima internazionale favorevole verso il regime di Siad Barre: gli articoli di Luigi Pestalozza (che diventerà in seguito consulente del ministero somalo dell'informazione) fanno rimbalzare nel mondo l'immagine di una Nuova Somalia che vuole uscire dal servaggio neo colonialista e dalla spirale di scandali che questa comporta; una piccola nazione povera, ma intenzionata a riacquistare indipendenza reale e dignità dopo gli anni degli imbrogli. Sbarcano in terra somala la Cooperativa Muratori e Cementieri di Ravenna e l'Italturist, un patto di socialismo (mattoni e villaggi turistici progettati) che viene rinnovato ad ogni anniversario "dell'ottobre" dalla presenza sul palco delle autorità di nomi importanti del partito: Paietta, Secchia, Giovanni D'Alema, latori ogni volta di palpitanti messaggi di solidarietà e amicizia del segretario generale Enrico Berlinguer. Una love story lunga otto anni che viene interrotta bruscamente dalla guerra dell'Ogaden e, soprattutto, dal rovesciamento delle alleanze internazionali nel Corno d'Africa. La guerra del '77 in Ogaden è per il Pci un colpo duro: da una parte la rivoluzione somala di cui è stato per lunghi anni cantore estasiato e dall'altra la nuova situazione creatasi in Etiopia con il colpo di stato che detronizza il Negus Hailè Selassiè e porta al potere una giunta militare "di sinistra". La posizione del partito è, a questo punto, di grave imbarazzo anche perchè il caso Somalia cade nel pieno della marcia di avvicinamento del Pci verso il potere, la politica di solidarietà nazionale: quello che mette in imbarazzo il Pci non è certo il conflitto fra due paesi “socialisti” ma la campagna stampa che i settori contrari all’ingresso del Pci nell'area governativa lanciano contro il partito strumento del neocolonialismo sovietico in Africa. Se la politica democristiana è stata, nelle sue motivazioni, quella tradizionale dello stato italiano, un po' di rapina un po' megalomane, quella socialista è stata mossa da ragioni meno confessabili. Una motivazione è sicuramente di politica interna ed è la polemica con il Pci: il gruppo dirigente craxiano cerca di aprire un terreno di attrito anche sul fronte della solidarietà col terzo mondo in cui dimostrare la modernità del modello socialista. La direzione politica del fronte somalo viene affidata a Pillittieri che condensa il suo pensiero in un librettino tutto sommato banale, ma che, attraverso una prefazione di Bettino Craxi, diviene linea politica. I concetti sono semplici: la Somalia è un esperimento di socialismo "occidentale", cioè filo occidentale in terra d'Africa, ed un promettente mercato per gli affari. Così la politica estera vede una divisione in sfere di influenza che assegna la Somalia ai socialisti, vede i ministri degli esteri democristiani Colombo e Andreotti tesi alla conquista di una partnership in Etiopia e la carriera diplomatica saldamente ancorata alla linea della composizione del contenzioso tramite trattative che nessuno vuole. In questo periodo ci sono moltissimi piani di mediazione proposti dalla Farnesina che ha trovato una mediazione fra le necessità dei titolari democristiani e di altri esponenti di governo, Spadolini ministro della difesa, per esempio, basata su una costituzione di regioni a statuto speciale (modello Alto Adige) all'interno dei confini riconosciuti: un progetto forse utopistico date le condizioni generali in cui si opera ma che potrebbe essere perseguito anche in tempi medi. Dopo l'uscita di scena del presidente Siad Barre nel 1991, è iniziata una violentissima guerra di potere tra i vari clan del Paese, guidati dai cosiddetti "signori della guerra". Nel '92 sono intervenuti gli Usa e contingenti di pace internazionali, che non sono riusciti a riportare l'ordine nel Paese, in mano soprattutto alle milizie del clan di Aideed. E’ questa l’epoca in cui Ilaria Alpi e Miran Hrovatin hanno perso la vita per aver scoperto qualcosa di inconfessabile per le nostre autorità. Nel 1995 la truppe ONU se ne sono andate, lasciando affondare la Somalia in una spirale di violenze. Nell'agosto del 2000 una conferenza di riconciliazione nazionale tenutasi nel confinate Djibouti ha eletto Abdiqasim Salad Hassan presidente del primo governo nazionale somalo dal 1991. Ma fin dall'inizio questi sta affrontando la dura resistenza di vari gruppi armati, soprattutto dell'Esercito di Resistenza degi Rahanwein (RRA) guidato da Hassan Mohamed Nur, appoggiato dalla vicina Etiopia. Quasi mezzo milione sono stati i morti, tenendo conto anche delle vittime della carestia generata dalla guerra. Un Governo di Transizione cerca d’insediarsi nella Capitale Mogadiscio, tramite un accordo con i locali signori della guerra che ancora la controllano. Il nuovo Presidente cerca l'appoggio della Comunità Europea, infatti il Primo Ministro è stato ricevuto e dal Ministro degli Esteri italiano Fini e dal Commissario Europeo che si occupa dello sviluppo in Africa. Insomma il cordone ombelicale che lega l’Italia alla Somalia non si è mai rotto nonostante le accuse del governo statunitense di legami con Al Qaeda ed i timori della comunità internazionale che le Corti Islamiche stiano seguendo in Somalia il modello dello stato talebano in Afghanistan. Da ultimo sono arrivate le condanne sia per l’omicidio di Suor Leonella Sgorbati missionaria della Consolata uccisa recentemente, sia per l’attacco al Presidente del Governo di Transizione Abdullahi Yusuf. Mentre il governo etiope, tra i principali sostenitori del governo somalo, definisce tali attacchi come un tentativo di creare caos politico. Attualmente gli abitanti della Somalia sono circa 8 milioni dei quali il 70 per cento analfabeta, 90 per cento musulmani sunniti. Priva di ferrovie ed autostrade la Somalia possiede una rete stradale di soli 7 mila chilometri. Circa il 50% dei somali è nomade ed i dromedari sono il loro principale mezzo di trasporto. La storia continuerà in sordina? Argomenti: #comunismo , #corno d'africa , #eritrea , #etiopia , #europa , #fini , #geopolitica , #italia , #somalia Leggi tutti gli articoli di Giacomo Nigro (n° articoli 139) il caricamento della pagina potrebbe impiegare tempo |
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