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Doping: un po’ di storia


Di Silvano Filippini

Andando indietro nel tempo (anni ’60), mi ricordo del periodo in cui trascorrevo il servizio militare presso la Compagnia Atleti di Roma e, per la prima volta, feci conoscenza di questo terribile cancro. Fu un’esperienza sconvolgente scoprire che atleti ventenni erano costretti ad assumere amfetamine (allora nel ciclismo si utilizzavano solo quelle), persino per allenarsi sulle lunghe distanze. Allora, in parte, li giustificai, pensando che il livello culturale piuttosto basso di quei giovani atleti non consentisse loro di rendersi conto del pericolo che correvano, facendo ricorso a quei medicinali. Evidentemente mi sbagliavo! Il cancro del doping aveva già tarlato le basi dello sport e, presto, si sarebbe diffuso anche in tutte le altre discipline sportive dove il livello culturale appariva ben più elevato.

Negli anni successivi si scoprì che i Paesi dell’Est per parecchio tempo avevano scelto la via del “doping di stato programmato”, utilizzando gli atleti come cavie presso le “Scuole centralizzate dello sport” dove venivano riuniti i migliori giovani emergenti e mantenuti a spese dello Stato (Unione Sovietica, Germania Orientale e Romania su tutti). Il bubbone scoppiò al momento del crollo del muro di Berlino quando iniziarono anche i processi contro gli allenatori della DDR, accusati di aver iniettato agli atleti sostanze proibite, facendo loro credere che si trattava di vitamine. In alcuni casi le atlete sono state costrette a cambiare sesso o a dover rinunciare ad avere figli a causa del sistematico uso di anabolizzanti (ormoni maschili), mentre molti maschi sono divenuti impotenti per via delle stesse sostanze.

Anche lo sport a stelle e strisce non è esente. Sino a pochi anni fa aveva snobbato il doping, limitandosi a rari controlli facilmente aggirabili, ma ha dovuto ricredersi. Ne è stato coinvolto anche il presidente Bush il quale, finalmente, ha definito il doping una piaga da combattere. Del resto si trattava del classsico “segreto di pulcinella”, specialmente negli sport dove l’uso di anabolizzanti era “indispensabile”.
Infatti nel Football Americano iniettarsi gli steroidi era divenuta una pratica talmente consueta che persino in una finale del Superbowl i protagonisti risultarono imbottiti di anabolizzanti. Tra l’altro era ormai risaputo che da anni il Bay Area Laboratory Cooperative (BALCO) distribuiva steroidi a tutti gli atleti che ne facevano richiesta.
Nel mondo dei professionisti di Baseball si arrivò persino all’assurdo di iniettarsi il GH (ormone della crescita) nello stomaco e, contemporaneamente, farsi fare punture di Testosterone nei glutei, oltre a spalmarsi una crema anabolizzante sul corpo e a mettere sotto la lingua un medicinale chiamato the clear (per cancellare le tracce degli altri medicinali).

Poi ci si meravigliò se qualche atleta (magari diciassettenne, come in effetti è accaduto) era talmente “imbottito” da suicidarsi. Infatti gli steroidi anabolizzanti aumentano anche l’aggressività sino a instaurare deliri di onnipotenza che fanno perdere il senso del pericolo. Tale situazione è dovuta anche al fatto che nel Baseball il controllo antidoping esiste soltanto da pochi anni e ci vorrà molto più tempo per correggere la diffusa mentalità autolesionista.

Tra l’altro l’ultimo scandalo sul doping USA ha portato alcuni rei confessi a vuotare il sacco, coinvolgendo anche il ciclista Amstrong e gli atleti della squadra olimpica di Basket che alle olimpiadi di Atene fecero la figura di dilettanti, pur essendo professionisti affermati e ai recenti campionati mondiali non sono andati più in là del terzo posto.
Del resto si sapeva che i controlli incrociati sangue e urine avrebbero smascherato i bugiardi, per cui senza sostanze dopanti la loro carica agonistica venne meno. E che dire del recente rientro della velocista Marion Jones, pescata immediatamente durante i campionati statunitensi. Infatti non era pensabile che alla sua età e dopo un periodo di inattività dovuto alla squalifica per doping e alla maternità, potesse ottenere risultati di rilievo senza far uso di sostanze dopanti. Semmai il fatto più sconcertante è legato all’uso di EPO che, normalmente viene usato dai fondisti.
D’altra parte non si può pretendere una rapida inversione di mentalità in una nazione in cui non è neppure richiesto il certificato medico per iniziare un’attività sportiva a livello dilettantistico.

Per quanto riguarda il mondo del Calcio italiano, per anni nessuno venne mai scoperto a far uso di anabolizzanti, nonostante i controlli antidoping, semplicemente perché qualche “mente eccelsa” del governo pedatorio aveva deciso arbitrariamente che nel mondo del pallone gli anabolizzanti non servivano e, quindi, sarebbe stato del tutto inutile controllarli. Servivano, eccome! Non solo per aumentare la massa muscolare dei quadricipiti, ma anche per recuperare più velocemente la fatica, visto che anche i calciatori avevano iniziato, negli anni ottanta, ad allenarsi più intensamente. Esattamente come facevano già da tempo gli atleti di tutti gli altri sport, nonostante i guadagni meno principeschi. Ecco perché il processo alla Juventus risale proprio a quel periodo.

Proprio in quel periodo aveva cominciato a prender piede l’uso dell’EPO (eritropoietina), grazie al medico italiano Conconi che lavorava nel centro medico sportivo di Ferrara “sovvenzionato” dal CONI. Negli anni precedenti costui si era dedicato agli studi sull’autoemotrasfusione che, inizialmente, non venne considerata come doping. Del resto si trattava di allenarsi per almeno un mese in altura (oltre i 2000 m) in modo che i globuli rossi aumentassero notevolmente e, poi, prelevare una certa quantità di sangue reso più denso e depositarlo in emoteca in attesa di reimmetterlo quando l’effetto dell’altura sarebbe scemato. Una volta che anche quella pratica venne inserita nell’elenco dei sistemi dopanti a causa dei numerosi effetti collaterali negativi e pericolosi, il medico si dedicò all’EPO. Nonostante la squalifica del dottore e la chiusura del centro ferrarese, ormai l’ormone si era diffuso in tutti gli sport di tipo aerobico, ciclismo in testa.

Una volta approfonditi e intensificati i controlli antidoping, i guru della chimica vietata hanno cambiato sostanza affidandosi al GH (ormone della crescita) che, oltre a produrre un utile effetto anabolizzante, ha il difetto di generare acromegalia (aumento di dimensione delle ossa delle estremità), soprattutto nei soggetti giovani. Se ne sono accorti i fornitori di abbigliamento delle nazionali giovanili del ciclismo perché in media i numeri di scarpe e dei guanti apparivano sproporzionati alla taglia dei giovani atleti. Ora anche questo ormone viene ricercato, grazie al controllo incrociato sangue-urine, per cui il sistema-doping ha iniziato a mescolare varie sostanze nei più svariati e micidiali coktail. In tal modo la ridotta presenza dei singoli componenti difficilmente può venire smascherata dall’antidoping. Del resto è risaputo che i maghi del doping hanno un enorme vantaggio: cambiare sostanze in continuazione. Ogni volta che l’antidoping riesce a scoprire il metodo per evidenziarle nel sangue o nelle urine, si passa ad un altro farmaco.

Per sopperire alla rinuncia forzata dell’EPO, si passò anche all’utilizzo della macchina ipobarica che simula la situazione di alta montagna dove la pressione di ossigeno è inferiore e costringe l’organismo ad aumentare il numero di globuli rossi cioè di quei “vagoncini” adibiti al trasporto dell’ossigeno dai polmoni alle cellule, comprese quelle muscolari. Siccome il metodo rischiava di alzare eccessivamente l’ematocrito, ripristinando i pericoli dell’eritopietina, la commissione antidoping lo vietò. Ecco che gli atleti, anziché recarsi in ospedale o in centri specializzati che dispongono della camera iperbarica dove sarebbero stati smascherati, iniziarono a procurarsi un piccolo dispositivo (altitrainer) da tenere a casa o in albergo e che svolgeva la medesima funzione. Ma poi fu bandito anche quello.

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