Si potrebbe pensare che lai jihad sia una reazione del mondo islamico alla mancanza di etica dell'attuale cultura occidentale, ma non è così. Studiando la storia del Corno d’Africa si comprende facilmente come ci si trovi di fronte ad un fenomeno antico e che, come tutte le guerre, ha una base economica e di conquista del potere.
La struttura tradizionale della società somala e sempre stata di tipo egalitario-tribale, ma questo non ha impedito la nascita di qualche sultanato, come ad esempio quello di Awadal, situato fra la città di Harar (Etiopia orientale) e le coste somale settentrionali, che divenne un centro di studi islamici. Proprio da qui fra i secoli XIV e XV venne sferrata la prima offensiva legittimata come jihad, rivolta contro i miscredenti abissini dell’altopiano. I musulmani, comandati da Sa‘d al-Døn, vennero sconfitti dall’imperatore Yishaq, ma è proprio nelle cronache di questa guerra troviamo per la prima volta il termine «somali».
Dopo un secolo, nella prima metà del secolo XVI, il nuovo sultano di Harar, Ahmed Gragn «il Mancino», attaccò gli altopiani abissini settentrionali con truppe somale ed afar appoggiate dai turchi ottomani. Nuovamente la legittimazione di questa spedizione fu di natura religiosa: Ahmed si proclamò imam e spinse sulla necessità di una guerra santa contro gli «infedeli» abissini. L’imperatore etiope Galawedos riuscì a difendersi grazie ad una vittoriosa controffensiva, ma la minaccia d’islamizzazione dell’altopiano fu solo rinviata di qualche secolo.
L’Etiopia sentiva di essere sempre più un’isola cristiana assediata dai musulmani, e verso la fine del 1800 i tentativi d’invasione provenienti dal Sudan rafforzarono ancor di più quest’idea.
Si deve ricordare che i sultanati presenti nei territori della Somalia e dell'Eritrea rappresentarono un eccezione. Alla “democrazia pastorale” più diffusa infatti, quella su base clanica, non apparteneva il sistema politico centralizzato, e anzi, il potere dei capi e delle istituzioni rimaneva molto debole, e le decisioni importanti venivano prese dal consiglio del clan, lo shir.
Ancora adesso continua a sopravvivere questo sistema di organizzazione sociale, basti pensare che ancora oggi ogni adulto somalo che appartiene ai clan d’origine pastorale può agire secondo il costume tribale: per vendicarsi può per esempio uccidere un membro del clan avversario con l’aiuto dei parenti più stretti.
Il legame tra Islam e struttura sociale somala è relativamente debole. Lo ritroviamo però nella tradizione orale, secondo la quale i fondatori dei principali clan erano immigrati arabi e ad essi viene attribuita la diretta discendenza dal Profeta. Queste leggende sono una fertile base per lo sviluppo delle confraternite sufi (mistiche) che, nonostante professassero e praticassero l’islam, si dedicavano anche alla poesia e al culto degli antenati, e tolleravano culti spiritistici di possessione (zahar) di origine pagana preislamica.
Nel 1894 però un giovane S¡ayh-, Mohammed Abdillahi Hassan, durante un pellegrinaggio alla Mecca fu colpito dalla predicazione di Mohammed Saleh, discendente del Profeta e fondatore della confraternita Âåliõiyya, che predicava un islam rigido e puritano.
Un anno dopo poi, al suo ritorno in Somalia, rimase impressionato dalla crescente influenza che la Gran Bretagna esercitava sugli usi e costumi somali e dalla nascita di una scuola che stavano fondando i missionari. Così Mohammed Abdillahi divenne nel proprio paese un «riformatore» religioso (introducendo un'interpretazione dell'islam che oggi definiremmo fondamentalista) e dichiarò un jihad contro gli infedeli nel 1899, quando i territori somali erano oramai colonizzati da francesi, britannici e italiani, dimostrandosi anche un duro nemico dei colonizzatori.
Unificò sotto la sua guida molti clan diversi, con l'obiettivo di liberare i territori somali dagli invasori e salvare gli abitanti dall’influenza “corruttrice” cristiana.
Nel 1920, dopo la sua morte, le rivalità tra i clan riemersero e l'esercito si sciolse, ma il Mohammed Abdillahi (il mullah) rimase una fonte d’ispirazione per il nazionalismo somalo.
La parentesi coloniale tacitò le lotte tra clan, e si arrivò così al 1960, quando la Somalia ottenne l'indipendenza, aiutata in questo traguardo dall’amministrazione fiduciaria italiana che aveva avuto incarico in tal senso dall’Onu nel 1948, dopo la seconda guerra mondiale.
Purtroppo già nel 1969 la democrazia finì, abbattuta da un colpo di Stato militare guidato dal generale Siyad Barre. Il generale sostenne la compatibilità dell’islam con il socialismo adottando il linguaggio ideologico marxista ed allineando la Somalia con il Patto di Varsavia. Durante il suo governo il Corano veniva interpretato da funzionari statali invece che dai mullah, e neanche il cambio di alleanze nel 1977 (la Somalia divenne un alleato dell’Occidente mentre l’Etiopia passò dalla parte dell’Urss) mutò quest’approccio.
Nel 1977 Siad Barre iniziò la guerra dell’Ogaden. La ragione del conflitto era la questione nazionalista «pan-somala»: lo scopo dichiarato era riconquistare l’altopiano che ha tradizioni somale, ma Barre ha giustificato l’intervento anche con riferimenti ad Ahmed «il Mancino» e il mad mullah, i condottieri islamici del passato che avevano combattuto gli “infedeli abissini”. Questa operazione allontanò però da Barre il modo internazionale. L'Urss lo abbandonò, e Carter gli rifiutò l'aiuto che gli aveva fatto sperare. Anche l'Italia, non rendendosi (o non volendosi rendere) conto né dell'intensità della rivolta interna né della crudeltà della repressione, per manovre di partito tolse a Siad Barre l’appoggio.
Così nel 1978 l’esercito etiopico, appoggiato da truppe cubane e rifornito dall’Urss, cacciò i somali oltre la frontiera.
Questa guerra ha segnato l’inizio della crisi somala. Sono seguite guerre civili e tra clan, il regime Barre è crollato e con lui le strutture statali. Nel 1989 è stato assassinato il vescovo cattolico di Mogadiscio, Pietro Colombo.
Il 28 gennaio 1991 Mogadiscio insorse e Siad Barre fu costretto alla fuga. Le etnie si contendevano le spoglie di un paese ormai disastrato precipitandolo nell'anarchia, e così la Somalia diventa lo “Stato fallito”, con vaste aree in preda ai “signori della guerra” e alle milizie dei clan. Solo le regioni nord-occidentali (ex Protettorato britannico del Somaliland, autodichiaratosi indipendente) e nord-orientali (Puntland) rappresentavano delle isolate eccezioni.
La comunità internazionale tramite l’invio di caschi blu e oltre una dozzina di conferenze di pace ha tentato a lungo di pacificare la Somalia, ma senza successo. L’apparto statale è collassato, ovunque imperversava l’anarchia, ed in molte zone (in particolare a Mogadiscio) soltanto i tribunali islamici riescivano ad assicurare l’ordine e la giustizia, seppure in minima misura, usando la legge islamica. I tribunali poi spesso erano finanziati dagli imprenditori, soprattutto i commercianti, bisognosi di sicurezza per svolgere la propria attività.
In questo periodo si è assistito anche al rientro in patria degli esuli e degli emigrati nei paesi del Golfo. Un ritorno che ha portato con se la diffusione di un islam puritano e rigido, opposto a quello tradizionale di impronta sufi. Questa corrente, detta wahhabita dal nome del suo fondatore, Muõammad b. ‘Abd al-Wahhåb (1703-’92), predicava un ritorno all' “epoca d’oro” dei primi califfi e al suo islam puro, diffondendosi rapidamente.
Lo scopo è di tornare ai testi sacri interpretati alla lettera e si pretende di applicare alla vita sociale e politica le dottrine in essi contenuti, per la costruzione dello “Stato perfetto”.
Il wahhabismo ha costituito quindi un terreno fertile per la nascita dell’Unione islamica, un gruppo estremista emerso dopo la caduta del regime di Siyad Barre che si segnalò per operazioni militari e terroristiche.
Tra il 1876 e il 1897 erano arrivati molti “colonizzatori”, che avevano ottenuto in concessione parte delle terre conquistate per essersi distinti nell’esercito etiopico. I discendenti di questi colonizzatori col passare degli anni avevano smesso di essere in maggioranza agricoltori, ed erano diventati la base dell’amministrazione statale.
Nel maggio 1991 però, dopo la caduta di Menghistu, i rifugiati etiopi d’etnia somala sono tornati precipitosamente in patria, fuggendo da una Somalia che sprofondava sempre più verso l’anarchia. La loro reazione fu forte nei confronti dei discendenti dei colonizzatori, e questo ha portato all'unione fra il Fronte nazionale di liberazione dell’Ogaden (Fnlo, sostituito all’Flso), un'ideologia nazionalista-irredentista (la questione «pan-somala») e l’Unione islamica.
Tra gli avvenimenti storici più recenti, è noto che dal 1991 al 1996 il governo integralista sudanese ospitò Osama Bin Laden, che probabilmente proprio durante questa visita si rese conto dell’importanza strategica del Corno d’Africa nell’ottica islamista di Al-Qå‘ida. Un'importanza sottolineata anche in uno dei messaggi televisivi diffusi subito dopo l’11 settembre: Bin Laden parlava in una stanza “arredata” con una cartina geografica del Corno d’Africa.
Possiamo ben comprendere quindi come il Corno d’Africa è stato periodicamente terreno di scontro nel corso dei secoli, scontro fra le civiltà cristiano-ortodosse di agricoltori semiti dell’altopiano e quelle dei pastori nomadi musulmani del bassopiano orientale ed arabi di quello occidentale.
Se da un parte abbiamo sempre registrato questi scontri, non possiamo tacere la presenza in Etiopia nel corso dei secoli di una sostanziale tolleranza verso le minoranze musulmane residenti nelle zone cristiane dell’altopiano e verso le minoranze cristiane stabilitesi nei bassopiani dominati dai musulmani.
Escludendo la parentesi comunista (1975-’91) l’Etiopia e l’Eritrea sono rimaste saldamente ancorate all’Occidente, una posizione che è rimasta immutata anche dopo l'arrivo al potere dei movimenti di liberazione tigrini (in Etiopia) ed eritrei. Sono paesi che non sono entrati a far parte della Lega Araba.
L’islam adottato in Somalia non è di tipo integralista, ma sufi, che ben si adatta alla struttura sociale basata sulla discendenza patrilineare formata da clan e sottoclan, che si fondono o si frammentano a seconda delle circostanze. E' una struttura di stato/non stato in qualche modo “evanescente” per la nostra cultura, e che permette certamente l’insediarsi di momenti in cui sembra che l’integralismo e le spinte jihadiste unificatrici prendano piede, ma fino ad ora la tradizione clanica ha avuto il sopravvento.
È difficile riuscire a riappacificare questo territorio senza tenere conto di questa caratteristica fortemente insita nella loro tradizione.
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