REGISTRATO PRESSO IL TRIBUNALE DI AREZZO IL 9/6/2005 N°8


Anno II n° 18 NOVEMBRE 2006 TERZA PAGINA


Ricordo dal Ghetto
Di Annamaria Gengaro


“... Una bimba dagli occhi curiosi, paffutella e pigra, adorava sedersi ai loro piedi per ascoltare le “fiabe” di vita vissuta.

La signora Anita era ebrea, e, negli anni della guerra, era una giovane sposa che viveva nel ghetto di Venezia. Abitava in una delle Calli, aveva una bella casa con le stanze grandi e luminose, raccontava, con l'altana che guardava i tetti delle case sul Canal Grande. Se si sporgeva un po' vedeva il campanile di una chiesa, Venezia è piena di “cese”, “canaii”, “gati” e… “sorsi” (topi) naturalmente, le vecchie e care “pantegane” che “le spaventa anca i gati coi so oceti rossi come el fogo”.

Nel ghetto di Venezia le leggi razziali, all'inizio, venivano interpretate un po' a modo loro, la gente era abituata a convivere con razze e religioni diverse, mori, arabi, nordici, slavi, turchi, ostrogoti e, forse, i veri nemici, per un veneziano erano gli austriaci, quelli del… “… sul ponte sventola bandiera bianca!” Quelli erano ancora nel sangue dei veneziani e quel “bafetin” di Hitler era austriaco, e Mussolini “ghe 'ndava drio!”.”Tute monade! I 'brei xe venesiani da sempre, no i xe miga foresti, par cosa vuto che i sia nemisi!”!

Solo pochi accettavano le norme razziali, la maggior parte dei veneziani continuava la loro vita senza dar retta alle grida fasciste o naziste.

Venezia è, ancor oggi, una repubblica a sé stante nel sangue dei suoi cittadini, la mentalità del vero veneziano autoctono è il prodotto di secoli di vita sul mare, di commerci di tutto e con tutti. La vera “razza superiore” per chi è nato a Venezia, è il veneziano puro, frutto della miscela dei più pregiati DNA, selezionati dalla vita dura del marinaio, dell'esploratore, del commerciante.

Anche il dialetto è una barriera per gli estranei, solo se nasci nelle calli, tra l'odore dell'urina dei gatti, mescolata alla salsedine e alla muffa dell'umidità permanente, solo se muovi i primi passi sul granito lucido dei corridoi in penombra, solo se succhi il latte da un seno offerto davanti ad una finestra sul canale, solo se ti addormenti con la nenia della “Nineta”, solo allora fai parte di quella razza eletta, che non rinuncia alla sua flemma se non per bestemmiare quando interferisci con la loro quiete, di quella parte di umanità che non permette ad alcuno di imporle il suo pensiero, capace di rispondere, magari tra i denti, senza mai chinare, se non in apparenza, il capo.

Così la signora Anita ed il suo piccino continuavano a vivere nel ghetto, dovevano solo fare attenzione...”

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