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Anno III n° 1 GENNAIO 2007 IL MONDO - cronaca dei nostri tempi |
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Videouccidimi, l'esecuzione di Saddam è sul telefonino
La visione dell'orrendo che tutto crea e tutto distrugge
Di Paolo Russu
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Qualche anno fa nessuno avrebbe mai immaginato di poter visionare dagli schermi del proprio televisore, o addirittura dal computer di casa per non parlare (fantascientificamente) dal cellulare la morte di un individuo: immaginiamoci se questo personaggio avesse risposto al nome e cognome di Saddam Hussein.
L'evento è invece accaduto nel 2007, e le immagini hanno fatto presto il giro del mondo, colpendo come un pugno nello stomaco e mostrando con doppia crudezza chi uccideva e filmava, e chi veniva ucciso.
Si è dibattuto a lungo se fosse giusto o no ripagare con la stessa moneta chi per tanti anni (con connivenze più o meno dichiarate) ha sparso sangue tra iracheni, iraniani, curdi e kuwaitiani; ma a cose fatte una seconda realtà si manifesta forte agli occhi di tutti: la videocronaca dell'esecuzione. Quale messaggio contiene e quali considerazioni scatena il gesto di impugnare un videofonino e documentare un giorno normale quotidianità e l'altro, atrocità? Solo qualche settimana fa guadagnava la ribalta il caso del disabile della scuola di Torino, vittima di soprusi e vessazioni filmate in classe e poi mandate on line: allora ci fu sdegno, riprovazione da più parti e condanna di quella che purtroppo era l'infelice conclusione di un percorso fatto di ignoranza e cattiveria gratuita. Bravata, eccessiva euforia dall'utilizzo del mezzo, incoscienza, che da quei 15 minuti di gloria "in video" che a tutti spettano secondo Woody Allen, in piccole dosi giornaliere, magari procurate meschinamente. Ma oggi? La vittima del filmato stenta ad essere riconosciuta tale da chi la guarda, e chi ha ripreso ha forse pensato così di dominare per un attimo eterno un momento atipico, quasi impossibile, l'uccisione di un dittatore che a tutto era sfuggito, ma non alla verità del documento "live". Proprio lui in vita attuò sistematicamente il raggiro della verità, facendosi sostituire svariate volte in pubblico da sosia che avevano il triste compito di rischiare la pelle al suo posto, lasciando vivo in tutti il dubbio se fosse Saddam o no l'uomo dentro la divisa verde militare. La giustizia irachena (??) ha già messo in atto provvedimenti contro gli autori del video incriminato, quasi a voler dimostrare che una nuova morale, fatta di affannosa intransigenza democratica mista a vecchie pratiche si affaccia nella terra dell'ex-Raìs. Ciò che nessuno sembra in grado di fermare è l'imporsi dell'ambiguità della notizia nella sua totalità, corredata ormai sempre (le Twin Tower aihmè dimostrano) dalla presenza di un video. In tutto questo è ancora protagonista la rete, che si ripropone sempre più come nuova e onnicomprensiva fonte di divulgazione del vero (o presunto tale) ammantandosi dello scomodo ruolo di testimoniare tutto maledettamente e subito e di spappolare giorno dopo giorno le piccole barriere quotidiane che ci tenevano lontani da violenze mai viste, da bestemmie mai sentite e quindi forse neanche ipotizzabili. Senza dimenticare che allo stesso tempo il web diventa fortissimo strumento di disvelamento di informazioni un tempo nascoste e inaccessibili, nonché primo megafono e costante sirena antiaerea dei mali del mondo troppo lontani da noi per essere conosciuti e capiti. La video morte di Saddam, riconfigurata non solo sotto la luce della macabra testimonianza, può essere vista anche come la definitiva condanna di un sistema, quello della pena di morte, così ipocrita e contraddittorio da doversi "mascherare" per arrivare a compimento; niente di più eloquente di un cappuccio nero in testa può rappresentare la vigliaccheria dell'uomo che si erge a giustiziere e che considera la morte di un altro uomo come una semplice tappa della sua vita, magari da filmare. Che sia impiccagione o sedia elettrica poco importa. La possibilità di prender visione alla pena di morte inflitta a Saddam sembrava aleggiare, nonostante il goffo stupore (addirittura di chi l'ha predisposta), da un po' di tempo: abbiamo visto tutto di quest'uomo, di questa guerra e delle sue nefandezze e abbiamo visto tutto da quando vedere è diventato sbattere la faccia contro il mondo e non più guardare per conoscere passo dopo passo. Niente stupore quindi, l'abitudine all'orrore è cosa assai distante per alcuni e quotidiana realtà per altri, ma la linea sembra assottigliarsi pericolosamente. Quel filmato ed i suoi simili (non dubito futuri) potrebbero portare a diverse conseguenze, come la creazione di una nuova coscienza nello spettatore/uomo, colpito nel quotidiano da dosi di orrore così massicce da cercare un antidoto buono nella società che gli salvi lo spirito, e contemporaneamente filmare sghignazzante l'assassinio grazie al quale può impossessarsi dell'antidoto stesso. |
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