Analizzeremo oggi un alto linguaggio, quello delle imprecazioni – quelle paroline che alcune persone hanno sempre in bocca.
Nulla di male a rimasticarsi tra i denti certe volgari (propriamente: del volgo) parole, ma… da dove vengono?
Parliamo in primis del tanto amato verbo fottere – così in uso, soprattutto nella variante anglofona, to fuck. Parole così di moda nella moderna fiction, tanto che basta sentire dal televisore giungere una frase come «Ci ha fottuto!», per contestualizzare la pellicola quale ambientata nel contemporaneo.
Ma la parola fottere con tutti i suoi derivati è in realtà molto più antica di quanto potremmo pensare.
L’etimologia è ampia, e riscontrabile in diversi ceppi linguistici.
Il latino futùere e il greco phyteyc stanno al pianto, quale metafora di creazione. Phu (greco) e fu (latino) equivalgono a nascere (da cui, anche, feto).
Uscendo dal bacino mediterraneo, arriviamo in Scandinavia. C’è il norvegese fukka (copulare), gli svedesi focka (copulare) e fock (pene), entrambe le etimologie risalenti al periodo norreno (VII-XII secolo d.C.).
Impossibile sapere se siano derivate dai precedenti greci, ma quel che è certo è che la parola fottere ha una sua lunga, eterogenea e articolata storia.
Dopo esserci quindi immaginati un Cardinale Richelieu che intercala i propri discorsi sul nemico con epiteti quali «Fottuti spagnoli!» (e doveva suonare più o meno come foutre), passiamo alle grandi regine dell’arte del fottere, oggi offese con la parola troia.
Così i romani chiamavano un maiale, porcus troianus, da tavola imbandita: da cui, il senso di scrofa gravida – e, in negativo, ha delle caratteristiche della scrofa il mangiare (quindi, ricevere) ogni cosa (ogni persona, senza differenziazioni) e la sozzura.
Il termine puttana, invece, ha la stessa origine del termine putto: è ragazza giovane, che per traverse vie diviene dal connotato negativo – inizialmente, possiamo immaginare, scisso dal senso di meretrice che oggi appartiene a questa parola.
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