Sono passati più di dieci anni, da quando nel 1996, a Roma, durante il Vertice Mondiale dell’Alimentazione, fu sottoscritta una dichiarazione d’intenti comuni per dimezzare il numero di persone costrette a soffrire la fame entro il 2015. E questo non è avvenuto.
Allora si calcolava che 854 milioni di persone erano nelle condizioni di soffrire la fame, e oggi, anziché arrivare a 412 milioni, non solo l’obbiettivo resta ancora lontano, praticamente irraggiungibile, ma addirittura si è verificato un indubbio peggioramento: ogni anno sempre più persone che presentano gravi problemi di denutrizione. I costi umani ed economici della fame sono destinati inevitabilmente ad aumentare se questa tendenza non verrà capovolta: ogni dollaro investito produrrebbe da 5 ad oltre 20 volte tanto, in termini di utile.
Nei Paesi in via di sviluppo milioni di bambini soffrono di sintomi acuti o cronici di malnutrizione; dato soggetto ad aumento esponenziale durante i periodi di scarsità alimentare stagionali oppure in seguito a carestie o disordini sociali. Sempre più spesso si verificano casi di bimbi nati con insufficienza di peso e con crescita ritardata: coloro che sopravvivono tendono a soffrire di ritardi nella crescita e di malattie durante l'infanzia, l'adolescenza e fino alla maggiore età, e le donne divenute adulte finiscono per partorire a loro volta altri bambini con peso insufficiente. Emergono inoltre dei legami tra malnutrizione nella prima età, compreso lo stato fetale, e lo sviluppo di successive malattie croniche come la cardiopatia, il diabete e l'ipertensione.
La Fao punta per ridurre il numero di sottoalimentati, soprattutto nei paesi in cui le condizioni sono maggiormente critiche, allo sviluppo rurale. Il settore agricolo viene giustamente definito da questo ente come «il motore dello sviluppo per le economie rurali e l'aumento del rendimento agricolo può aumentare le derrate alimentari, ridurre il loro prezzo, ma anche il mobilitare l'economia locale generando la richiesta di beni e servizi». Per sconfiggere la fame è necessario, oltre che indirizzare i programmi e gli investimenti verso le aree con i maggiori tassi di sottonutrizione, rafforzare la produttività a livello di piccoli imprenditori; creare condizioni idonee per gli investimenti privati e istituire meccanismi di protezione per i gruppi più vulnerabili.
È evidente che dove la fame è diffusa, oltre alle enormi sofferenze che causa, sottolinea Hartwig de Haen, vicedirettore generale del dipartimento economico e sociale della Fao, vi è «perdita di produttività e di reddito oltre la durata della vita dei bambini che ne soffrono, tra i 500 miliardi di dollari e un trilione, al valore corrente».
Su questa linea la Fao, negli ultimi decenni, ha permesso a numerosi Paesi membri di ottenere finanziamenti necessari per sostenere progetti agricoli, per un totale di 800 miliardi di dollari di investimenti. Nel 2002 fu quantificata in un costo supplementare di 19 miliardi di dollari la spesa da utilizzare per lo sviluppo agricolo e per il conseguente aumento di produttività nelle zone rurali, ed altri 5 miliardi per gli interventi di emergenza che forniscono accesso immediato al cibo. Tali spese furono ritenute l’unico modo per dimezzare il numero degli affamati nel mondo entro il 2015.
Eppure gli aiuti dei Paesi donatori risultano in netto calo. Se nel 1984 furono versati quasi 8 miliardi di dollari per il sostegno dei programmi agricoli, nel 2002 la cifra si è ridotta a circa 3 miliardi; inoltre i Paesi del Nord del mondo adottano tutta una serie di azioni economiche che frenano la produzione agricola dei Paesi sottosviluppati e l'esportazione dei loro prodotti. È stato calcolato che sarebbero sufficienti circa 24 miliardi di dollari da destinare ad infrastrutture, ricerca, aiuti alimentari d'emergenza e altri interventi prioritari in campo rurale e, nel caso in cui questa spesa fosse accollata in parti più o meno uguali fra Paesi ricchi e Paesi Poveri, i primi subirebbero una perdita pressoché insignificante rispetto al proprio PNL.
Tuttavia, aumentare semplicemente la produzione alimentare non assicurerebbe comunque l'estinzione della fame nel mondo. Risulta imprescindibile uno sforzo per stabilire un certo grado di sicurezza alimentare al fine di eliminare la fame e la malnutrizione, non solo per la generazione attuale ma anche per quelle future. La causa primaria della fame del mondo non risiede in una produzione alimentare insufficiente, bensì nell'impossibilità per i più poveri di acquistare gli alimenti prodotti. I prezzi dei generi alimentari divengono eccessivamente alti in rapporto ai redditi medi della popolazione del Terzo mondo. Nei Paesi industrializzati i costi alimentari rappresentano il 20-25% del reddito familiare, mentre il resto viene destinato ad altre spese (vestiario, mezzi di trasporto, alloggio, divertimenti etc.); viceversa, nei Paesi più poveri la spesa alimentare costituisce fino all'80% del reddito familiare. Se qui da noi raramente la povertà implica fame e denutrizione, nel Terzo mondo, al contrario, diventa immediatamente tale.
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