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Sea Senza titolo - Varese, 2006
acrilici,inchiostri,penna bic 20 x 60 cm
© seacreative
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L’incubazione della street art avviene proprio qui, in strada.
Difficile trovare una collocazione alla vera e propria nascita. Potremmo collegarla all’arte di Keith Haring, fatta dalle stesse bombolette spray che sono rimaste costanti da allora a oggi.
Acrilici, resistenti all’acqua, e un muro come tela da firmare. Taggare, in gergo, dalla parola “tag”, propriamente “etichetta” – ma per chi conosce un minimo l’ambiente, la parola “tag” riconduce automaticamente a una ben precisa cosa: la “tag” è la firma del writer. La “tag” non è altro che una parola, soprannome o nome d’arte, che il writer utilizza come base dei propri graffiti.
La tag, nel territorio del writer, è ovunque.
È questa l’unicità della street art: è di tutti.
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Bros L' udito Milano, 2006 spray su parete
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Non è fatta per essere rinchiusa in padiglioni, non necessita alcuna conoscenza per essere approcciata.
Anzi, quel che importa è che sia quanto più visibile nel quotidiano. Che sia sui muri dei palazzi. Sui vagoni dei treni, sparata a miglia all’ora, itinerante di città in città.
Sulla facciata di un cavalcavia, a dieci metri d’altezza.
Più la posizione in cui la tag si mostra è visibile, più il writer impone il proprio nome al territorio. La priorità, quindi – ancor prima di essere sociale in senso ampio – è segnare il territorio. La conquista della fama non avviene sui delicati e concettuali binari dell’arte contemporanea, ma si plasma nel circuito nella vita quotidiana.
Come movimento culturale, scisso dalle connotazioni artistiche, nasce nell’ambiente suburbano. Un movimento culturale, quindi, privo della cultura intesa in senso nozionistico, ma che urla a pieni polmoni la propria esigenza comunicativa.
Taggare, tradotto in termini legali, è un reato: deturpamento e imbrattamento di cose altrui. Come forma espressiva ha quindi un prezzo elevato, che si confronta non semplicemente con la morale, ma con tangibili rischi.
Ciò nonostante, la street art ha una storia che arriva fino a oggi. Vogliamo immaginare generazioni di singoli individui così tenacemente legati alla propria bomboletta spray da prendere le redini della storia e firmare non solo muri, ma anche libri e giornali.
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Dem e Run Senza Titolo
- Torino, 2006 © Dem
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Nel 2001 ritroviamo la street art suoi giornali di Milano:
| Corriere della Sera. Milano, 22 aprile 2001.
Colorati, simpatici, strani: dalla bomboletta spray è nato un popolo buffo e misterioso. E una colonia di pinguini conquista i panettoni di Milano.
La Repubblica. Milano, 4 agosto 2001.
La storia. Tra arte e graffiti, i panettoni e i murales di Pao. L’uomo che dipinge pinguini.
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L’uomo che dipinge pinguini. Pinguini ovunque nell’ambiente cittadino. Dove? Sui paracarri. Ce ne sono ovunque, grigi e tutti uguali, ora decorati a pinguino. Una tribù di pinguini sparsi per tutta la città, qualcosa in più rispetto a un blocco di cemento.
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Pao - Cocomero, 2003 vernice spray su paracarro 50 x 50 x 50 cm
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L’idea è semplicissima, ma serviva qualcuno che l’avesse e la mettesse in pratica.
Questo qualcuno è Pao, milanese, generazione ’77 e contesto punk e ska come curriculum. Altre referenze? Fatevi un giro per Milano.
TV Boy,invece, nasce a Palermo, e nel suo curriculum figurano studi d'illustrazione e graphic designer.
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IVAN e Tv Boy Poesia per la notte qualunque
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La sua opera sulla strada crea, appunto, il ragazzo televisione, tema che si ripropone inconfondibile anche grazie allo stile netto, semplice, grafico. È un’icona, un logo che muta nei dettagli ma rimane uguale nel nucleo.
L’avrete sicuramente vista, ma mai riconosciuta.
Non si riconosce il tessuto urbano in cui si vive: lo si vive – e l’arte si riallaccia alla vita vissuta, non a quella ipotizzata.
Tutte le immagini si riferiscono alla mostra STREET ART, SWEET ART - Dalla cultura hip hop alla generazione “pop up” (per non parlar del Leonka)
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PAC Padiglione d’Arte Contemporanea, Via Palestro 14 – Milano
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