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La nuova India

Il rapporto politico USA-India, dalla diffidenza di Nixon al nuovo corso con il riconoscimento all’India di potenza nucleare, ma cosa c’è dietro?

Di Giacomo Nigro

Sono passati appena trent’anni da quando l’amministrazione repubblicana di Nixon, all’epoca impegnata a sostenere il genocidio dei bengalesi da parte della dittatura pachistana, chiese all'ambasciatore cinese di attaccare l’India promettendo la protezione americana da una possibile reazione sovietica e ottenendo in cambio un netto rifiuto.

All’epoca, nelle parole di Nixon, gli indiani erano cortesi, ma traditori e i pachistani stupidi, ma fedeli e Indira Ghandi era una schifosa. Erano i tempi nei quali l’India guidava il terzo mondo uscito dalla conferenza di Bandung e flirtava troppo con l’Unione Sovietica per essere simpatica.

Crollata ogni fiducia nell’alleato pachistano, di fronte alla prospettiva di essere estromessa dall’Asia continente-guida emergente del secolo, la dirigenza americana ha deciso un drastico cambiamento nel quadro delle alleanze e si è aperta alla collaborazione con l’India. Il lupo perde il pelo ma non il vizio, l’antico adagio, come si vede, è quanto mai applicabile agli attuali dominatori del mondo.

Nel luglio 2005 accadde un evento molto importante dal punto di vista geopolitico: gli Stati Uniti riconobbero lo status nucleare dell'India formalizzando la partnership strategica fra gli USA e l'Unione Indiana e portandola ad un livello del tutto paragonabile a quella che Washington mantiene da un cinquantennio con il Giappone e l'Europa.

Nella totale indifferenza dei media occidentali (guarda caso) il Senato americano diede il suo consenso allo storico accordo, il provvedimento passò nella sessione detta dell’anatra zoppa, due giorni nei quali il vecchio Senato ormai scaduto approvò gli ultimi provvedimenti prima di entrare in una fase di latenza fino al gennaio successivo quando s’insediarono i nuovi senatori (e la nuova maggioranza) usciti vincitori dalle elezioni di mid-term. L'avvenimento ebbe la sua consacrazione durante una visita di stato del premier indiano Singh a Washington.

L'accordo nucleare tra elefante indiano e aquila americana ha permesso di tenere a bada il dragone cinese, pericolosamente amico dell'India da quando, un paio d’anni prima, cinesi e indiani, decisero di chiudere le vecchie rivalità di frontiera. Curiosamente, durante la crisi in Bangla Desh, gli americani cercarono di spingere Pechino, allora appena riavvicinata col ping pong, a far guerra all'India. Il presidente Mao ci pensò un paio di giorni, poi lasciò cadere.

Bush e il premier indiano Singh hanno deciso quindi che i loro due paesi possono condividere le loro conoscenze tecnologiche sul nucleare. Ben sappiamo, seguendo in questo giorni il caso Iran, che gli americani non sono teneri coi paesi che svolgono programmi nucleari a scopo militare (con la sola eccezione di Israele e, da poco, del Pakistan su cui chiudono un occhio) e si sono sempre rifiutati di collaborare in questo campo con gli stati che rifiutano le ispezioni dell'Aiea. Ma New Delhi non è Teheran e nemmeno Pyongyang.

L’accordo permette ad americani, francesi e anche agli italiani, attraverso le appendici multinazionali presenti sul territorio nazionale, di continuare a vendere una tecnologia ormai obsoleta ed antieconomica; l’India compra ma si assume il costo occulto dello smaltimento delle scorie, il vero buco nero nel quale scompare qualsiasi valutazione costi/benefici.

L’India grazie all’accordo è destinata a diventare una potenza regionale, il suo problema sarà la gestione del nuovo e più potente apparato militare e del profilo che il paese assumerà nelle politiche regionali ed internazionali una volta che avrà completato la sua transizione al nuovo status. La più grande democrazia del mondo, come viene spesso definita, in realtà è ancora una società frammentata tra caste, religioni e stili di vita ed impostazioni politiche spesso agli antipodi tra loro, compresa una forte componente nazionalista indù che evoca, in alcuni suoi aspetti, immaginari troppo simili a quelli dei neoconservatori americani per poter dire fin da ora che tutto andrà per il meglio.

In questo vortice di cifre stellari non si trova traccia di investimenti sociali, quindi i costi occulti degli accordi tra i grandi ricadranno sui piccoli. La maggiore disponibilità di energia non porterà la corrente elettrica negli slum indiani, i prodotti americani (e cinesi) faranno concorrenza ai prodotti locali e l’ingresso delle big company castrerà la possibilità per le aziende locali di farsi grandi.

Recentemente sono sorte complicazioni gravi per l’accordo. I contrasti tra Usa e India riguardano principalmente l’identificazione e la distinzione degli impianti nucleari civili da quelli militari, ove le installazioni civili sarebbero soggette a “salvaguardia” o ispezioni da parte dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica (AIEA).

I punti critici riguardano la categoria speciale dei reattori autofertilizzanti veloci (i cosiddetti fast-breeder), che in teoria producono più combustibile nucleare di quanto ne consumino. I fast-breeder costituiscono una ricca fonte di plutonio per scopi civili e militari. È stato reso noto che in India i fast-breeder, in passato considerati utili solo per la produzione di elettricità, vengono utilizzati per gli armamenti nucleari.

I recenti voti dell’India contro l’Iran sono stati criticati come parte dei tentativi di compiacere gli Usa e salvare l’accordo nucleare, cui Manmohan Singh attribuisce un grande valore. Tuttavia, i voti non sono certo una garanzia che l’accordo sarà consolidato e realizzato.

Sul piano della politica interna indiana sono sorti contrasti fra i pragmatisti della lobby indiana a sostegno della bomba e i pacifisti del movimento per la pace che, in crescita di popolarità, vede la questione in maniera diversa. Essi promuovono la distinzione tra impianti civili e militari, oltre alla totale trasparenza e al controllo pubblico di tutte le istallazioni civili. Non credono che le armi nucleari abbiano alcun aspetto positivo per la nazione indiana, né che siano utili per la sicurezza. Si oppongono alla loro esistenza e legittimazione con decisione.

Insomma un nuovo corso potrebbe aprirsi nell’area del mondo che pare destinata a subentrare all’impero americano nel caso quest’ultimo entrasse in una fase di declino più marcato determinato da un sempre più ampio isolamento dovuto alle miopi politiche dell’ultimo Presidente.

Argomenti:   #geopolitica ,        #india ,        #nucleare ,        #politica ,        #usa



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