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 Anno III n° 4 APRILE 2007    -   TERZA PAGINA



L’arma

Di Cricio


Lo sciamano alzò gli occhi e guardo fisso tutti.
Tutti si sentirono perforati dal suo sguardo. Ecco la sua parola:
“Ora andate nel bosco; cercate l’arma per uccidere il fantasma che è in voi; tornate solo quando l’avrete trovata”.

Lentamente tutti si alzano e piano, piano si avviano verso il grande bosco che sovrasta il pianoro in cui è la grande casa di pietra. Anche io mi dirigo verso il bosco, dobbiamo andare da soli, ogni prova la dobbiamo sempre superare solo con il nostro “io”.

Sono perplessa. Quale arma? Io ho paura delle armi, non ne ho mai avuta in mano nessuna. Quale arma si può adattare alla mia mano? Mano fragile, che ha sempre cercato nell’uomo la difesa a tutto. Ora devo addirittura cercare un’arma nel bosco, e poi renderla “mia”, una mia arma… non è possibile.

Immersa in questi pensieri cammino lungo un sentiero che si addentra nella vegetazione, tortuosamente ora sale verso la cima della collina. Mi coglie una idea: ma se resto sul sentiero difficilmente troverò un’arma. L’arma è sicuramente nascosta, non in vista. Devo scavare, forse? O cercare nei cespugli del sotto bosco.
Tra i cespugli vi sono dei fiori azzurri, rosa, bianchi, ma possono dei fiori essere un’arma? Certo i fiori si adatterebbero meglio alle mia mani, ma uccidono i fiori? No! Non possono essere i fiori. Ho mani piccole e dita affusolate, mi piacerebbe riempire le mie mani di fiori, ma così non potrei uccidere il fantasma che è in me e che mi impedisce di liberare il mio karma.
Continuo a camminare ora fuori dal sentiero tra cespugli che tappezzano il terreno tra gli alti tronchi di faggi.
Farò in tempo a trovare l’arma? Sarò capace di distinguerla? La paura di non farcela è grande. Mi sento ancora più indifesa, vorrei avere l’uomo con me che mi aiuti, ma l’uomo non c’è e non ci deve essere, devo essere sola a superare la mia prova.

Mentre cammino pensierosa, il mio sguardo è attratto da un pezzo di ramo che spunta da sotto la chioma di una felce. Un ramo breve, lungo come tre volte il palmo della mia mano e che termina con una punta lanceolata e acuminata, quasi tagliente: è un pugnale. Ecco la mia arma, è giusta per la mia mano!

Ma non sarà troppo piccola e debole? Basterà per uccidere il fantasma che c’è in me? È anche brutta! Il legno è irregolare, devo lavorarlo un poco. Ecco c’è quella pietra tagliente, la userò per togliere la corteccia e lisciarlo meglio. Mi accoccolo vicino alla pietra ed incomincio a passarlo sul suo piano rugoso, così da togliere tutte le irregolarità.

Il sole ora è alto e l’aria da tiepida si è fatta calda. Il lavoro al pugnale mi ha assorbito tutta e mi accorgo solo ora che è ora di rientrare alla Casa.
Mi alzo, i muscoli delle gambe sono dolenti per la posizione scomoda che ho tenuto a lungo ed un formicolio nelle gambe mi spinge a muovermi cercando di non sforzarle troppo.

Riprendo la strada a ritroso e intanto guardo di sottecchi la mia arma. Non mi convince, mi sembra debole e brutta, ma è l’unica che ho trovato e si adatta bene alla mia mano piccola di donna fragile.

Terminato frugale pasto, entriamo in un grande stanzone. Lo sciamano di dice: “rendete bella la vostra arma.”

Ora l’ho nelle mia mani, vedo quelle degli altri che mi sembrano tutte più belle, più potenti. Costruite con rovi legati o possenti con rami nodosi. Sembrano tutto più potenti e belle del mio pugnale. Mi metto ad abbellirlo, lo dipingo di bianco e aggiungo delle decorazioni sull’impugnatura.
Ecco ora è veramente mio: mi piace, lo sento bene nella mano. Lo impugno, fendo nell’aria colpi mortali per il mio fantasma, quello che vive dentro di me e mi costringe a vivere in modo diverso e complicato, impedendo che il karma mio possa raggiungere la perfezione.

È sera siamo seduti attorno ad un falò, siamo immersi nella meditazione, ognuno di noi ha con se la sua arma tra poco andremo ad uccidere il fantasma che è in noi.
Lo sciamano dice: “È ora! lasciate la vostra arma davanti a voi vicino al fuoco e disperdetevi nel bosco, uccidete il vostro fantasma”.

Tutti ci alziamo. Con attenzione metto il mio pugnale vicino al falò e come gli altri vado nel bosco, È notte, ma i raggi della luna piena passano qua e là tra le foglie degli alberi creando un gioco di luce spettrale. Devo uccidere il fantasma che alberga in me, ma ce la farò?
I disegni creati dalla luna mi danno i brividi, ogni foglia che si muove sembra voglia avvolgermi per risucchiarmi in un mondo diverso dal mio. La mia arma non è più con me a difendermi. So che tra poco il fantasma mi assalirà, chi vincerà?

Ecco un urlo, il primo; uno sta uccidendo il suo fantasma, seguono improperi e si sente la rabbia, la violenza sgorgare libera. Il primo è seguito da altri e il silenzio della notte è stracciato dalle urla di questa lotta.
Sono frastornata, impaurita, anche a me esce un urlo improvviso, non mi controllo, divento una bestia che si scatena e scarico così verbalmente il mio terrore verso questo fantasma che in me pilota i miei comportamenti.
La lotta prosegue per un poco.
Resto ansimante e sfinita sdraiata per terra. Devo riprendermi, è stata una lotta violenta che mi ha consumato tutte le energie, ma avrò ucciso il fantasma?

Sfinita mi rialzo e mi dirigo verso il falò. Adesso la luce della luna mi è amica e mi accompagna in questo tratto di strada che percorro lentamente.

Ora siamo tutti nuovamente ai nostri posti attorno al falò che crepita vivace.
Le nostre facce mostrano la fatica della lotta.
Lo sciamano dice: “Prendete la vostra arma e gettatela nel fuoco”.

Raccolgo il mio pugnale. Perché devo buttarlo? È la mia arma, l’ho creata con fatica, perché disfarmene? Sono perplessa, ma ubbidisco e getto il pugnale nel fuoco.
Lo vedo avvolto dalle fiamme. La vernice bianca, che con cura avevo messo, ribolle, si accartoccia e diventa nera. Poi, un attimo, si accende e diventa fiamma pura e dopo un attimo è diventato cenere. Più nulla della mia arma.
Scoppio in un pianto violento: la mia creatura è dissolta nell’aria, finita, morta. Sarà morto il fantasma che è in me?



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